sabato 29 settembre 2018

Così il «regionalismo differenziato» mette a rischio l’universalismo del Ssn

di Nino Cartabellotta*
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Accanto all'onnipresente “affaire vaccini”, arma di distrazione di massa sapientemente utilizzata per dribblare i veri problemi della sanità pubblica, la ripresa dell'attività parlamentare ha visto protagonista la Ministra per gli Affari Regionali e le autonomie, Erika Stefani. Nella sua audizione davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali di Camera e Senato la Ministra ha infatti annunciato che sarebbe in dirittura d'arrivo per la presentazione in Consiglio dei Ministri un disegno di Legge che conferisce alle Regioni che ne facciano richiesta maggiori autonomie sulle materie di competenza, tra cui inevitabilmente la sanità.

Incomprensibile lo stupore che emerge dalle righe di autorevoli commenti per le potenziali conseguenze negative sul diritto alla tutela della salute e sui princìpi fondanti del SSN, considerato che la misura di fatto non porta nulla di nuovo sotto il sole, né si tratta di un “cambiamento” imposto dal Governo giallo-verde. Infatti, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto avevano già sottoscritto al fotofinish con il Governo Gentiloni accordi preliminari in tal senso e, seguendo la scia del precedente Esecutivo, il Contratto per il Governo del Cambiamento ribadisce che «l'impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'agenda di Governo l'attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte».
Il virus del regionalismo differenziato, per il quale purtroppo non esiste alcun vaccino, è molto contagioso: infatti, oltre alle 3 Regioni che hanno già sottoscritto gli accordi preliminari con il Governo, altre 7 (Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria) hanno già conferito al proprio Presidente il mandato di avviare il negoziato che prevede per tutte maggiore autonomia in ambito sanitario; Basilicata, Calabria e Puglia sono ancora alla fase iniziale dell'iter, pur avendo intrapreso iniziative per la richiesta di maggiore autonomia; al momento rimangono fuori dall'epidemia solo Abruzzo e Molise, che non risultano aver ancora avviato iniziative formali.

Nei fatti, il regionalismo differenziato ha permesso alla governance Stato-Regioni in sanità di percorrere in poco più di un anno l'intera gaussiana: il diritto alla tutela della salute delle persone è stato infatti catapultato dalla auspicata riforma dell'art. 117 della Costituzione, che con l'eliminazione della legislazione concorrente e la restituzione allo Stato di alcuni poteri esclusivi avrebbe dovuto porre fine (?) alle diseguaglianze regionali, all'attuazione dell'art. 116 che, inevitabilmente, finirà per aumentare le differenze tra 21 sistemi sanitari. Scorrendo infatti gli accordi preliminari già sottoscritti da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto si intravedono conseguenze inquietanti, e non sempre prevedibili, a seguito dell'attuazione delle maggiori autonomie in campo sanitario: dai vincoli di spesa in materia di personale stabiliti dalla normativa statale all'accesso alle scuole di specializzazione; dalla stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici agli accordi con le Università; dallo svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del SSR; dalla richiesta all'Agenzia Italiana del Farmaco di valutazioni tecnico-scientifiche sull'equivalenza terapeutica tra diversi farmaci agli interventi sul patrimonio edilizio e tecnologico del SSR. Last but not least, l'autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi che spiana ulteriormente la strada al secondo pilastro. Se in Emilia Romagna, come autonomia aggiuntiva, ci “si accontenta” solo della distribuzione diretta di farmaci, in Veneto sono previste ulteriori “perle” sulla gestione del personale del SSR: dalla regolamentazione dell'attività libero-professionale alla previsione, in sede di contrattazione integrativa collettiva, di incentivi e misure di sostegno per i dipendenti del SSR, ovvero una totale autonomia nella gestione della contrattazione di lavoro dei professionisti sanitari.
Eppure il fallimento della riforma del Titolo V, che ha già compromesso l'universalismo del SSN, è ampiamente certificato da innumerevoli diseguaglianze e iniquità tra 21 differenti sistemi sanitari: dagli adempimenti dei LEA alle performance ospedaliere documentate dal Programma Nazionale Esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all'uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia, dall'accesso alle prestazioni sanitarie agli esiti di salute. In questo contesto, è assolutamente certo che le ulteriori autonomie concesse dal regionalismo differenziato da un lato indeboliranno le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, dall'altro accentueranno iniquità e diseguaglianze disgregando definitivamente l'universalismo del SSN.

In tal senso, si concretizza una bizzarra, e apparentemente incomprensibile, contraddizione tra le potenziali conseguenze del regionalismo differenziato in sanità e la dichiarazione d'intenti con cui si apre il capitolo Sanità del Contratto per il Governo del Cambiamento: “È prioritario […] tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Tutelare il SSN significa […] garantire equità nell'accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”. Ma visto che il Contratto nasce dalla fusione dei programmi di due partiti, tutte le contraddizioni in sanità tra la visione centralista dei gialli e quella regionalista dei verdi possono solo essere frutto di un affrettato e distratto copia e incolla.
*Presidente Fondazione Gimbe

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