Yemen, anche per il governo gialloverde vale l'assunto: toglieteci tutto, ma non il business delle armi

Versano lacrime alla vista della foto della piccola Amal, un corpicino scheletrico che ha cessato di vivere lo scorso primo novembre, ma poi continuano a fare affari con coloro che hanno trasformato lo Yemen, per dirla con le parole di Geert Cappelaere, direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e l'Africa, "in un inferno per i bambini". Quella in Yemen non è una "guerra dimenticata". È una guerra combattuta, dalla coalizione a guida saudita, con armi vendute loro dall'Occidente.
Si può disertare, in segno di protesta, la "Davos del deserto". Esternare dichiarazioni indignate per il brutale assassinio del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi. Si può addirittura tirare in ballo l'impunibile erede al trono Saud, il principe Mohammed bin Salman. Tutto si può fare. Tranne una cosa: bloccare la vendita di armi (Merkel esclusa) a Riyadh. Quelle armi che stanno martoriando un popolo: quello yemenita. Secondo le stime delle Nazioni Unite di questa settimana, se non s'arriverà a un cessate il fuoco e a una pace duratura, oltre quattordici milioni di persone potrebbero letteralmente morire di fame.
Al momento solo la Germania ha congelato i contratti di vendita di armi verso l'Arabia Saudita, dopo l'uccisione del giornalista Jamal Khashoggi all'interno del consolato saudita a Istanbul, invitando anche gli altri Paesi europei a fare lo stesso. L'Italia, ha fatto sapere il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, sta "senz'altro valutando" la possibilità di bloccare la fornitura di armi all'Arabia Saudita. "Sulla vendita di armi a Paesi che violano i diritti umani fondamentali, noi del Movimento abbiamo sempre avuto una posizione chiara", affermano Simona Suriano, Yana Ehm, Santi Cappellani e Pino Cabras, parlamentari 5 Stelle in commissione affari esteri di Montecitorio. E hanno aggiunto: "Proprio per questo vorremmo che l'Italia adottasse in merito normative altrettanto chiare. E la Legge 185 del 1990 sull'export delle armi, purtroppo, non sembra capace di rispondere a tali esigenze, come comprovato dal rapporto tra il nostro Paese e l'Arabia Saudita". La coalizione a guida saudita ha provocato la morte di oltre 4.000 civili. E quei morti sono stati causati anche da bombe "made in Italy".
Qui arriva la promessa 5 Stelle. "Bombe italiane, morti yemenite": è il titolo di articolo apparso sul blog del M5S, richiamando quello del video reportage pubblicato dal New York Times, sulle armi prodotte in uno stabilimento in Sardegna e vendute all'Arabia Saudita. Quel reportage, scrive Fabio Massimo Castaldo di M5S Europa, "getta luce su una vicenda inquietante. Vicenda che il M5S ha portato all'attenzione dei più alti rappresentanti delle istituzioni italiane (grazie anche all'amico e collega Roberto Cotti) ed europee. Io stesso sono intervenuto più volte, durante la plenaria di Strasburgo, per denunciare quello che avviene in Yemen, dove si continua a combattere una guerra per procura, un massacro sotto silenzio". Per proseguire: "E le vittime di questo massacro sono soprattutto civili inermi, tra cui bambini. Aspetto, questo, evidenziato anche dal quotidiano americano attraverso alcune immagini. Più volte ho chiesto all'Europa di levare finalmente la sua voce e di agire anche sui propri Stati membri. Sì, perché non è tollerabile che a prevalere sia il timore di urtare gli interessi dell'Arabia Saudita e della lobby europea degli armamenti. Ci sarebbe la possibilità di poter fermare questa tragedia attraverso il rispetto degli otto criteri del Codice di condotta dell'Unione Europea per le esportazioni di armi del 2008. Criteri che l'Europa ha sempre calpestato, pur avendoli affermati, perché in proposito non è prevista alcuna forma di sanzione".
"Il M5S – ricordava l'autore - ha depositato un emendamento volto, invece, proprio a chiedere di sanzionare quei paesi che ne violano il rispetto dei criteri. Non vorrei che, a forza di chiudere gli occhi per proteggere l'utile (quello di alcuni Paesi), finissimo per diventare ciechi davanti all'indispensabile. Con il M5S al governo e con il suo rappresentante nel Consiglio europeo faremo di tutto per evitare di diventare complici di queste guerre per procura che non hanno fatto altro che portare, nel corso degli anni, morte e distruzione".
Ora al governo, il "governo del cambiamento", i pentastellati ci sono arrivati. Ma le armi all'Arabia Saudita continuano ad essere vendute. "Il Governo italiano – denuncia Amnesty International - sta continuando a fornire armi all'Arabia Saudita e agli altri membri della coalizione da utilizzare contro lo Yemen, violando il diritto nazionale ed internazionale. Tra le norme violate, ci sono quelle stabilite nel Trattato sul commercio delle armi a cui l'Italia ha aderito proprio per prevenire la sofferenza umana dovuta ad uno commercio sconsiderato e senza regole, oltre alla legge italiana 185 del 1990 che vieta espressamente la vendita di armi a Paesi coinvolti in conflitti armati. Anche bombe prodotte in Italia sono state utilizzate in questi anni di violento conflitto, come confermato dal Rapporto delle Nazioni Unite sul conflitto nello Yemen dello scorso 27 gennaio dove si mostrano le prove dell'utilizzo di bombe targate RWM da parte della coalizione araba nella capitale Sana'a".
Nelle scorse settimane, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta (M5S) ha annunciato su Facebook di aver chiesto conto al ministero degli Esteri della vendita di armi dall'Italia all'Arabia Saudita. La responsabile della Difesa fa anche sapere di aver chiesto di "interrompere immediatamente" l'export: "Ecco perché ho chiesto un resoconto dell'export, o del transito – come rivelato in passato da alcuni organi di stampa e trasmissioni televisive, che ringrazio – di bombe o altri armamenti dall'Italia all'Arabia Saudita". Per proseguire: "Fino ad ora, erroneamente, si era attribuita la paternità della questione al ministero della Difesa, mentre la competenza è del ministero degli Affari Esteri (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-UAMA), al quale venerdì scorso ho inviato una richiesta di chiarimenti, sottolineando – laddove si configurasse una violazione della legge 185 del 1990 – di interrompere subito l'export e far decadere immediatamente i contratti in essere. Contratti – ricordo – firmati e portati avanti dal precedente governo".
La presa di posizione di Trenta arriva giusto dopo che, un paio di giorni prima, Giorgio Beretta dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e sulle politiche di sicurezza e difesa di Brescia, era tornato, da Il Manifesto, sull'argomento dell'export di armi notando che il Movimento 5 Stelle, che nella scorsa legislatura aveva accusato Renzi e Gentiloni di avere "le mani sporche di sangue" per le continue forniture di bombe aeree all'Arabia Saudita, ancora non aveva fatto nulla per sospendere l'export di armi in Arabia Saudita.
Un passo, neanche troppo lungo, indietro nel tempo. Nel luglio scorso, la deputata Pd Lia Quartapelle ha presentato un'interrogazione in commissione Esteri nella quale chiedeva se il governo non ritenesse "opportuno, assumere iniziative per rivedere [...] i termini delle forniture di materiali di armamento ai Paesi impegnati nella guerra in Yemen". A risponderle il sottosegretario agli Esteri, il pentastellato Manlio Di Stefano: "il Governo presterà particolare attenzione affinché tutte le richieste autorizzative di esportazione di materiale d'armamento continuino ad essere valutate con estrema attenzione e particolare rigore". "Le valutazioni avvengono in un quadro di concertazione fra Paesi Alleati ed UE, tenendo anche conto dei rapporti bilaterali e della cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo", si legge ancora nella risposta di Di Stefano.
Una risposta che ricalca esattamente la linea del governo Gentiloni, a suo tempo tanto osteggiata dal M5S. Il Di Stefano di governo non sembra essere neanche un lontano parente del Di Stefano che nel 2016, dai banchi dell'opposizione, tuonava: "Europa e Italia fingono di non capire che le armi vendute all'Arabia Saudita vadano a finire nelle mani dei terroristi (e parliamo di uno tra i primi acquirenti al mondo nonché primo acquirente di armi italiane)". Scriveva il 29 luglio 2016: "Italia ed Europa dovrebbero contenere in tutti i modi quei Paesi che forniscono soldi e armi ai terroristi e responsabili dello scempio in Yemen".
"La posizione espressa dal sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ripropone sostanzialmente quelle manifestate dai precedenti governi Renzi e Gentiloni", aveva annotato a suo tempo Beretta. "Si tratta di posizioni che nella precedente legislatura il M5S aveva duramente criticato dai banchi di Montecitorio chiedendo che venisse bloccata l'esportazione di armi e articoli correlati prodotti in Italia o che transitino per l'Italia, destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen", ed invitando il governo ad "assumere questa posizione anche in assenza di una formale dichiarazione di embargo sulle armi da parte delle organizzazioni internazionali".
Insomma, un gioco delle parti, come lo definisce Maurizio Simoncelli, dell'Archivio per il Disarmo: "La risposta è talmente generica che lascia stupiti, considerando le battaglie che a suo tempo il Movimento ha sposato. Come del resto lascia stupiti che l'interrogazione sia stata presentata dalla Quartapelle che fino a poco tempo fa era in maggioranza". Insomma, cambiano i governi, ma l'andazzo resta sempre quello: toglieteci tutto, meno il business delle armi. Quelle armi che hanno ridotto lo Yemen in un inferno in terra. Un inferno per i bambini.