mercoledì 25 luglio 2018

L'appello di Roberto Saviano



L'appello di Roberto Saviano: "Rompiamo il silenzio contro la menzogna"

"Perché vi nascondete? Scrittori e medici, attori e youtuber: tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo in questo paese mi sta bene"



Dove siete? Perché vi nascondete? Amici cari, scrittori, giornalisti, cantanti, blogger, intellettuali, filosofi, drammaturghi, attori, sceneggiatori, produttori, ballerini, medici, cuochi, stilisti, youtuber, oggi non possiamo permetterci più di essere solo questo. Oggi le persone pubbliche, tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo mi sta bene. Ogni parola ha una conseguenza, certo, ma anche il silenzio ha conseguenze, diceva Sartre. E il silenzio, oggi, è un lusso che non possiamo permetterci. Il silenzio, oggi, è insopportabile.

Chi in questi mesi non si è ancora espresso - a fronte di chi invece lo sta facendo con coraggio - tace perché sa, come lo so io, che a chi fa il nostro lavoro parlare non conviene. Spesso sento dire o leggo: "Chi esprime il proprio pensiero lo fa per avere visibilità", ma è una visibilità che ti fa guadagnare migliaia di insulti sui social e la diffidenza di chi dovrebbe sostenere il tuo lavoro perché si sente chiamato a dar conto delle tue affermazioni. Quello che nessuno ha il coraggio di dire è che spesso si tace per non essere divisivi, perché si teme che arrivino meno proposte, meno progetti. Ma se la pensiamo così, abbiamo già perso, perché ci siamo rassegnati a non stimolare riflessioni e ad assecondare chi crede che la realtà sia riducibile a parole d'ordine come "buonista", "radical chic", "taxi del mare", "chiudiamo i porti", "un bacione", "una carezza" ed emoticon da adolescente.

Spesso si tace perché si sa che prendere posizione comporta dividere non solo il pubblico che ti segue sui social, ma anche e soprattutto chi dovrebbe comprare i tuoi libri, comprare i biglietti dei tuoi spettacoli, venirti a vedere al cinema o non cambiare canale quando ti vede in televisione. Ma davvero credete che quello che sta succedendo sia accettabile? Per quanto tempo credete di poter sopportare ancora senza esprimere il vostro dissenso?

Con Berlusconi, in fondo, era tutto più chiaro: c'era lui e c'eravamo noi. Criticarlo portava conseguenze, reazioni forti, artiglieria di fango, ma c'era una comunità attiva, che si stringeva attorno a chi lo faceva. Prendere posizione contro Berlusconi non significava perdere share, copie, consenso. Con Berlusconi era agevole farsi capire anche Oltralpe perché il Cavaliere era in fondo la macchietta italica, un carattere riconoscibile della commedia dell'arte. Oggi non è più così e in questo governo si stenta a scorgere i germi di qualcosa di estremamente pericoloso. "Fai il tuo lavoro e basta" è il richiamo all'ordine che subisce il calciatore che esprime la sua opinione sui migranti, l'attore che indossa la maglietta rossa. E il richiamo all'ordine è già un ricatto: guadagni con il tuo lavoro, non accettiamo commenti politici da chi ha il culo al caldo.

Oggi c'è fastidio verso chi travalica i confini del proprio lavoro e del proprio ruolo per fare quello che sarebbe invece normale: controllare chi ci governa perché, anche se legittimato alle urne, non tradisca non solo il proprio mandato, ma soprattutto la nostra storia e i valori che ci hanno consentito di vivere decenni di pace. La nostra Democrazia è una Democrazia giovane e fragile, ma è prima di tutto antifascista e antirazzista.

Vi sembra che oggi questo governo si stia muovendo nel rispetto dei valori che sono alla base della nostra Costituzione? Che si stia muovendo e che stia comunicando all'interno di un perimetro di sicurezza? Non vi sembra piuttosto che i 70 anni di prosperità e pace appena trascorsi ci abbiamo resi permeabili a partiti politici xenofobi? Che ci abbiano resi disattenti se non disinteressati a vigilare su diritti che una volta acquisiti, se non li difendiamo, possono essere spazzati via da qualche post su Facebook e da una manciata di tweet?

Questo governo, in maniera maldestra ma evidentemente efficace, speculando sulle difficoltà di molti, utilizza come arma di distrazione di massa l'attacco ai migranti e alle Ong. Sta accadendo un orrore davanti al quale non si può tacere: mentre il M5S e la Lega litigano sui punti fondamentali del loro accordo, ci fanno credere che il nostro problema siano i migranti. E se mi rispondete che i governi precedenti hanno fatto altrettanto vi rispondo: non si erano spinti fino a questo punto, ma di certo hanno asfaltato la strada perché tutto questo accadesse. E se mi dite che avete votato per Lega e M5S per ribaltare il tavolo, perché era l'unico modo per mandare via una classe dirigente che aveva fallito sotto ogni profilo, vi dico: vigilate, non delegate, aprite gli occhi perché le cose si stanno mettendo male, male per tutti. Male non solo per i migranti o per le voci che dissentono, ma anche per voi.

Sant'Agostino scrive: "Se togliete la giustizia, che cos'altro sono i grandi Stati se non delle associazioni di ladri? [...] Se una di queste bande funeste si accresce con altri briganti fino al punto di occupare tutta una regione, [...] di dominare delle città, ecco che si arroga il nome di Stato". Quando la politica perde il sentiero della giustizia, si spoglia della sua carne lasciando scoperta l'ossatura banditesca. Sapete perché cito Sant'Agostino? Perché questo passaggio spiega bene come sia possibile che il potere, anche quando iniquo, anche quando ingiusto, anche quando incapace e anche quando criminale, viva indisturbato. Sapete di cosa si sostanzia l'omertà di fronte alle mafie? Se credete solo di paura vi sbagliate. Il pensiero che la protegge è questo: giudico un boss per quello che fa a me. Mi ha maltrattato? No. Ha intimidito qualcuno della mia famiglia? No. E allora per me va bene.

Allo stesso modo oggi pensare che, solo perché questo governo, per ora, non ha toccato noi personalmente - la querela a me è solo un granello se paragonata ai colpi mortali che questo governo sta infliggendo allo Stato di Diritto - e i nostri interessi, possiamo esimerci dal prendere posizione, è atteggiamento ingenuo e irresponsabile che sta legittimando scelte e comportamenti scellerati.

Questo non è uno scontro tra me e Matteo Salvini. Per me non c'è nulla di personale, sento fortissimi il dovere e la necessità di parlare per chi non ha voce. Per i seicentomila immigrati presenti in Italia che devono essere regolarizzati ora, subito, perché siano sottratti allo stato di schiavitù in cui versano. Per le Ong che hanno iniziato a fare salvataggi in mare, aiutando gli Stati europei e l'Italia a gestire un fenomeno che non può essere bloccato, ma solo ben amministrato perché è palesemente una risorsa. Quei politici che oggi si ostinano ancora a sostenere il contrario, di politica e di economia non capiscono niente e sono un pericolo per la tenuta sociale del nostro Paese che è un Paese multietnico. Fieramente multietnico.

Oggi chiedo a voi, miei concittadini, di mobilitarvi per i diritti di tutti, perché anche se a voi oggi sembra di non far parte di questi "tutti", siete già coinvolti. In nome di un presunto benessere, in nome di una maggiore sicurezza ci diranno che in fondo la libertà di espressione è una cosa da ricchi privilegiati, che parlare di diritti di chi fugge e trova inferno in terra e morte nel Mediterraneo è fare il gioco dei negrieri. Addirittura mi sento dire che con le mie critiche aiuto Salvini nei sondaggi: come sempre la colpa non è di chi appicca il fuoco, ma di chi tenta di spegnerlo. Salvini non sale nei sondaggi per colpa di chi lo critica, ma per responsabilità di chi tace e di chi mostra timidezza e timori.

La mobilitazione che vi chiedo è una mobilitazione che riguarda ciascuno di noi, parlate al vostro pubblico e non per me, che in tribunale e fuori so difendere da me le mie ragioni. Vi chiedo di mobilitarvi per difendere i diritti che a breve non ricorderete nemmeno più di aver avuto. Ci stanno facendo credere che non ne abbiamo bisogno, ma presto capiremo che più della tracotanza di questo governo, più dell'arroganza di Salvini, quello che ci sta condannando è il silenzio. La libertà d'espressione e la lotta per i diritti raccontati come "vizi" da élite contro il popolo, che invece invoca sicurezza. Ma la lotta per i diritti è sempre lotta per chi non può permetterseli e per chi spesso non può permettersi nemmeno di chiederli.

E ora voi mi direte: ma le nostre battaglie le facciamo con i nostri libri, con le nostre canzoni, con i nostri spettacoli, con la nostra ironia. È vero, è sempre stato così: ma ci sono dei momenti in cui diventa cruciale capire da che parte si sta e quindi non basta più delegare la resistenza alla propria arte. Dinanzi a menzogne che crescono incontrastate, a truppe cammellate di bugiardi di professione (al loro cospetto gli scherani di Berlusconi erano dilettanti), davanti al dolore che queste menzogne e questi bugiardi di professione provocano, abbiamo tutti il dovere di rispondere: NON È VERO!

Il solito antico scontro: l'arte che prende parte e quella che orgogliosamente disdegna l'ingaggio. La prima che si crede superiore alla seconda in nome dell'impegno e la seconda che si crede superiore alla prima perché rivendica il diritto alla purezza del disimpegno. Steccati che collassano dinanzi ai morti in mare e alle continue menzogne. Dovete parlare ai vostri lettori, ai vostri ascoltatori, a tutti coloro a cui con la vostra arte e il vostro lavoro avete curato l'anima. Abbiate fiducia in voi stessi, avete gettato le basi per essere ascoltati, non abbiate paura di dire a chi vi vuole bene che voi non state con tutto questo.

Ci sarà disorientamento all'inizio, riceverete critiche per aver rotto l'equilibrio dell'equidistanza, che però è fragile e già incrinato. Ma gli effetti virtuosi che domani avranno le vostre parole, vi ripagheranno delle reazioni scomposte degli hater oggi. Il trucco per delegittimarvi lo conoscete, quindi partite (partiamo) in vantaggio. Vi diranno: guadagni? Non puoi parlare. Era così che Mussolini trattava Matteotti prima che venisse ammazzato: sei figlio di benestanti? Non ti puoi occupare di istanze sociali. Pensateci: ma davvero siamo tornati a questo? E soprattutto, davvero stiamo accettando tutto questo? Accettiamo di essere intimiditi da questa comunicazione criminale? Dovremmo vergognarci del frutto del nostro lavoro? Accettare, come vogliono, che autentico sia solo chi tiene la testa bassa?

Scrittori, l'attacco al libro, alla conoscenza, al sapere è quotidiano. "Vai a lavorare" viene detto a chi scrive. Il primo passo di qualsiasi deriva autoritaria parte da disconoscere la fatica intellettuale, togliere alle parole la dignità di lavoro. In questo modo resta solo la propaganda. Editori, non sentite franare la terra sotto i vostri piedi? Prendete parte, non c'è salvezza nel prudente procedere. Bisogna investire casa per casa, strada per strada e conquistare lettori, ossia persone in grado di poter capire il mondo e non subirlo con le maree del rancore: la conoscenza è uno strumento preziosissimo di emancipazione dalla miseria personale, difendiamo questo strumento. Difendiamolo con tutte le nostre energie.

Tra i soccorritori di Josephine, l'unica superstite del naufragio che ha mostrato ancora una volta l'inadeguatezza della Guardia costiera libica a compiere missioni umanitarie, c'era Marc Gasol, uno dei giocatori di basket più forti del mondo, una roccia di due metri e dieci. Dite un po', cosa rispondereste a chi dice: Marc Gasol è ricco, non può occuparsi di chi soffre? Vi sembra un'obiezione plausibile, vi sembra che abbia senso o che siano i deliri di chi oggi ha paura? E allora uscite allo scoperto, oggi l'Italia ha bisogno delle vostre voci libere. Non abbiate paura di chi, più di ogni altra cosa, teme il dissenso perché non ha gli strumenti per poterlo gestire, se non in maniera autoritaria.

E un ministro della Repubblica che querela uno scrittore su carta intestata del ministero sta mettendo in atto un gesto autoritario: sta utilizzando la sua posizione per intimidire non solo me, ma anche voi. Da una parte c'è chi critica, dall'altra tutto il governo, che a oggi non ha manifestato alcun fastidio a essere strumentalizzato. Non mi fa paura la querela e non mi fa paura la solitudine. Ma voi dove siete finiti? Ricordate quando dicemmo "strozzateci tutti" a Berlusconi che avrebbe voluto strozzare chi scriveva di mafie? E ora, dove siete?

Quando ho criticato le politiche dei governi di centrosinistra mi veniva detto che diffamavo il Paese, che diffondevo disfattismo, che esponevo il fianco ai nemici della democrazia. In realtà attivare analisi e critica è il compito (direi il dovere) di chi racconta la realtà; e le sue parole vanno in soccorso della libertà, non la boicottano. Ci siamo ridotti a subire l'offesa che prendere posizione critica su questo governo sia un favore a qualche potente? A qualche interesse? Coraggio!

Ho a lungo riflettuto prima di scrivere queste righe, non vorrei pensiate che vi stia chiamando a raccolta per difendere me, ma vorrei capiste che il tempo per restare nelle retrovie è finito. Se non prenderete parte vorrà dire che quello che sta accadendo sta bene anche a voi. In tal caso a me non resterà il rimpianto di non averci provato, ma voi dovrete assumervi la responsabilità di ciò che accadrà: o complici o ribelli.

"La storia degli uomini - scrisse Vasilij Grossman in Vita e destino - non è dunque la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell'uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell'umanità. Ma se in momenti come questo l'uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere". Voi siete il piccolo seme dell'umanità, senza di voi l'Italia è perduta. Allora, da che parte state?

sabato 21 luglio 2018

L'Italia isolata in Europa sull'operazione Sophia

20 luglio 2018

Sophia cambia ma l'Italia mantiene il controllo

Compromesso al Comitato poiltico e di sicurezza: Roma rinuncia alla linea dura sugli sbarchi, ma avrà delle concessioni. Rischiava di perdere il controllo strategico sulla rotte libiche.

«Non capisco», dice il funzionario del Consiglio Ue, «c'è un solo punto all'ordine del giorno, eppure non è ancora finita». L'Italia ha chiesto di rivedere il mandato sugli sbarchi dei migranti eventualmente salvati dalle navi militari dell'operazione Sophia con l'obiettivo di non accogliere più i naufraghi sulle nostre coste. La richiesta è arrivata sul tavolo del Comitato politico e di sicurezza mercoledì 18 luglio, la discussione è arrivata fino a sera, è ripresa di nuovo la mattina del 20 luglio e dopo più di sei ore e mezza di confronto Roma ha fatto una parziale marcia indietro e, come hanno confermato a Lettera43.it diverse fonti diplomatiche, l'incontro si è chiuso con un accordo. Si va verso la modifica di altri aspetti della missione, con l'apertura della revisione prevista per la settimana prossima.

VERSO LA RIAPERTURA DELLA REVISIONE STRATEGICA DELLA MISSIONE

Stando al registro del Consiglio, il 20 luglio la riunione del Comitato politico e di sicurezza è cominciata alle 9.42 con un solo punto all'ordine del giorno: l'operazione Sophia e poi le varie ed eventuali. Dopo più di quattro ore e mezza non si era ancora trovato un accordo. Nella pausa pranzo il nostro ambasciatore ha avuto il tempo di un faccia a faccia direttamente con il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, a Bruxelles per il consiglio sulla Brexit e pronto a discutere della missione militare più che di Gran Bretagna. Dopo altre due ore di discussione, l'argomento "zero sbarchi" che rischiava di far saltare il tavolo sembra essere stato accantonato, anche se Roma potrebbe strappare altri risultati nel confronto dei prossimi giorni e alcune sue richieste sembrano già essere state accettate.

UN CONFLITTO INTESTINO AL SISTEMA ITALIANO

Del resto il funzionario del Consiglio non era il solo a non capire questa battaglia nata da un conflitto interno messo in moto dal nostro ministro degli Interni Matteo Salvini, un conflitto che ha opposto il responsabile della sicurezza del Paese a una nostra stessa nave militare, che è stato esportato direttamente in Europa e che ora sembra essere rientrato. L'Italia sembra fare e disfare la tela da sola.

I SALVATAGGI DI SOPHIA SONO UN QUARTO DI QUELLI DI THEMIS

L'operazione Sophia ha come principale obiettivo quello della lotta ai trafficanti di esseri umani, la sorveglianza sul traffico di petrolio libico e l'addrestramento della guardia costiera. L'operazione è a comando italiano e anche se non è la sua ragione d'essere, salva i naufraghi come prevede il diritto internazionale del mare quando si trova di fronte a un'imbarcazione in difficoltà li trasporta nel porto sicuro più vicino. Secondo i dati del consiglio dell'Unione europea da quando è stata lanciata nel 2015, Sophia ha salvato 44.810 persone, un sesto della vicina operazione Themis.

GLI EFFETTI LIMITATI DELLA MODIFICA DEL MANDATO DI THEMIS

Themis è l'erede di Triton, cioè l'operazione che prevedeva nel suo mandato operativo l'obbligo di sbarcare nei porti italiani. Nel giugno dell'anno passato l'Italia aveva cercato di regionalizzare gli sbarchi di tutte le operazioni europee e anche delle Ong, ma aveva ricevuto il no di Spagna e Francia. Dopo il rifiuto il governo si era concentrato sull'obiettivo di modificare il mandato delle operazioni della Marina militare. A febbraio aveva ottenuto la morte di Triton e la nascita di Themis, con un'area di intervento molto più arretrata rispetto alla Libia e l'obiettivo del contrasto al terrorismo e ai traffici illegali, anche se le operazioni di ricerca e salvataggio restano una «componente chiave» della missione. Ma la novità formalmente più rilevante stava nell'aver cancellato l'obbligo di sbarco nei soli porti italiani. I suoi effetti concreti li abbiamo visti solo poi. Per posizione geografica, i soli altri porti che potevano rappresentare un attracco sicuro erano quelli di Malta. Tenendo conto delle dimensioni dell'isola, l'Italia aveva firmato con La Valletta un "gentlemen agreement" in cui si impegnava a farsi carico lei di tutti i profughi. Ora l'accordo con Malta non viene più rispettato. Ma la situazione non cambia poi tanto, se non fosse che il ministro dell'Interno ha deciso di chiudere i porti.

IL RISCHIO DI GIOCARE CONTRO I NOSTRI STESSI INTERESSI

Sophia si basa sulle stesse regole di Triton e quindi sull'obbligo che i migranti salvati vengano portati in Italia. Roma ha il comando della missione e la finanzia per la maggior parte. Nel momento in cui l'Italia ha chiesto di chiudere i porti italiani alle navi militari di Sophia, violando quindi non semplicemente il mandato dell'operazione, ma anche il diritto del mare che prevede che i migranti salvati vengano trasportati nel porto più sicuro, gli altri Paesi hanno semplicemente messo in discussione l'opportunità che Roma tenesse il comando della missione. Il rischio era che l'intera missione saltasse, aumentando ancora di più i morti in mare, già in crescita con la linea Salvini, e perdendo anche il controllo dell'addestramento della guardia costiera libica e del traffico illegale di petrolio. E a questo punto qualcuno a Roma deve aver valutato vantaggi e svantaggi e forse concluso che il rischio era giocare contro i nostri stessi interessi.

mercoledì 18 luglio 2018

Dove trova i soldi Tria per il reddito di cittadinanza

17 luglio 2018

Dove trova i soldi Tria per il reddito di cittadinanza

Il ministro dell'Economia ha detto che il nuovo ammortizzatore ne sostituirà altri: a rischio il Rei, l'assegno contro la povertà varato dal governo Gentiloni.



Il governo di Giuseppe Conte potrebbe cancellare il reddito di inclusione, ovvero l'unico strumento di contrasto alla povertà che - con fondi molto limitati - è stato varato dal governo Gentiloni nella scorsa legislatura, per far spazio al reddito di cittadinanza. L'orientamento dell'esecutivo Lega-M5s si evince dalle dichiarazioni del ministro dell'Economia Giovanni Tria che il 17 luglio è intervenuto in audizione alla Commissione Finanze del Senato.
«Le riforme vanno affrontate attraverso una rimodulazione e un cambiamento del sistema di entrate e uscite», ha spiegato il ministro. «Quando mi si dice "quanto costa?", rispondo che è una domanda mal posta, perché bisogna vedere quale è il disegno specifico della norma, ma anche perché il costo di un provvedimento non può essere tutto addizionale ma in parte sostitutivo». Tria ha spiegato che si tratterà di «trasformare strumenti di protezione sociale già esistenti in altri strumenti» poi si vedrà «il costo differenziale e come introdurlo gradualmente».

IL DRAMMA DELLA POVERTÀ IN ITALIA

Storicamente l'Italia non ha mai avuto un ammortizzatore sociale pensato esclusivamente per il contrasto della povertà. La scelta di concentrare le risorse sul contrasto alla disoccupazione tra i beneficiari di contratti tradizionali - con la cassa integrazione prima e i contratti di solidarietà poi - ha lasciato però senza coperta migliaia di cittadini che, specie con la crescita della flessibilità (o precarizzazione) delle forme contrattuali si è trovata a fronteggiare situazioni drammatiche senza poter contare su un aiuto concreto da parte dello Stato.
A fine del 2017, erano in condizioni di povertà assoluta il 6,9% delle famiglie residenti, cioè 1 milione e 778 mila nuclei per 5 milioni e 58 mila individui. Per povertà assoluta si intende l'impossibilità di accedere a un paniere di beni e servizi essenziali per uno standard di vita «minimamente accettabile». Si trovano invece in povertà relativa il 12,3% di tutte le famiglie residenti. Si considera «relativamente povera» una famiglia di due persone con meno di 1.085 euro disponibili di spesa al mese. I valori di povertà assoluta sono raddoppiati rispetto all'inizio della crisi, con una progressione che si è accentuata a partire dal 2012. L'Italia, insomma, si è scoperto un Paese di poveri.

IL REDDITO DI INCLUSIONE

Il reddito di inclusione (leggi di cosa si tratta) è in vigore dal dicembre 2017 ed è pensato come uno strumento specifico di contrasto alla povertà di carattere universale, non è cioè vincolato ad altre condizioni come l'assegno di accompagnamento, la cassa integrazione, l'assegno sociale. Tale misura è stata finanziata con 2 miliardi per il 2018, 2,5 nel 2019, tra i 2,7 e i tre a regime dal 2020. Questi soldi riescono a sostenere una platea di 2,5 milioni di persone, ovvero meno della metà delle persone in povertà assoluta e che vengono selezionate in base a criteri numerici e di composizione familiare (chi ha minori o persone non autosufficienti a carico viene privilegiato). Le famiglie ricevono un assegno mensile che, per un nucleo di quattro persone, arriva a un massimo di 460 euro. Tali famiglie sono seguite dai servizi sociali e perdono il diritto al sostegno in caso di rifiuto a cercare un lavoro o altri casi di condotta considerata incompatibile con l'aiuto pubblico. Il Rei è erogato per un massimo di 18 mesi.

Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio.

ANSA

DIFFERENZE CON IL REDDITO DI CITTADINANZA

Le differenze maggiori tra reddito di inclusione e reddito di cittadinanza sono due: il livello degli stanziamenti e i soggetti incaricati di gestire il suo funzionamento. Sul primo fronte, la proposta contenuta nel contratto dovrebbe coprire le esigenze di 4,9 milioni di cittadini erogando un assegno più pesante - 780 euro a persona anziché i circa 187 del Rei - e pesando così sulle casse dello Stato per 29 miliardi di euro. Inoltre, la gestione è affidata ai centri per l'impiego, che per questo andranno potenziati. Il reddito di cittadinanza, a dispetto del nome e per come è congegnato, ha delle analogie con il reddito di inclusione: in entrambi i casi sono misure universali. E in entrambi i casi viene erogato in maniera condizionata: se i beneficiari rifiutano un lavoro, può essere rifiutato.

LA PROPOSTA PONTE

Da diversi mesi alcuni economisti - tra cui oggi anche il presidente dell'Inps Tito Boeri in un'intervista a Repubblica - sostengono che il potenziamento del Rei potrebbe essere una buona strada per l'introduzione del reddito di cittadinanza in Italia. Boeri in particolare (ma non solo lui) calcola che aggiungendo 6 miliardi ai tre a oggi disponibili, il Rei coprirebbe una platea pari all'80% delle famiglie in povertà assoluta. Si tratta di meno persone di quelle coperte dal reddito di cittadinanza promesso dal governo, ma comunque una platea molto ampia. Il vantaggio, inoltre, è che la sperimentazione dei primi mesi ha consentito di "testare" il funzionamento di questo strumento ed eviterebbe di dover ricominciare da capo: per il potenziamento dei centri per l'impiego, infatti, il governo ha stanziato 2 miliardi di euro, e secondo i più scettici nemmeno basterebbero.

LA CHIUSURA DEL GOVERNO

Le parole di Tria di mertedì, tuttavia, sembrano escludere che il governo vada verso questa direzione.È più facile, a giudicare da quanto dichiarato dal ministro, che si vada a chiudere il Rei e, con i soldi risparmiati, si finanzi il potenziamento dei centri per l'impiego propedeutico al lancio del reddito di cittadinanza, anche per i noti problemi di copertura economica. Già nei mesi scorsi alcuni parlamentari del Pd, tra cui Tommaso Nannicini, avevano denunciato questo rischio.
«Le misure che sono oggi in campo per il contrasto alla povertà, come il reddito di inclusione, o per le politiche attive, come l'assegno di ricollocazione, sono coperte con risorse che, sommate, non sarebbero nemmeno lontanamente sufficienti a coprire le promesse grilline», ha commentato il deputato di Forza Italia Claudio Pedrazzini. «Oggi scopriamo, dunque, che il reddito di cittadinanza non sarà altro che un sapiente mix tra il reddito di inclusione approvato dal governo Gentiloni e la Naspi approvata dal governo Renzi. Spiegatelo bene a Di Maio prima che evochi un altro complotto!» ha ipotizzato in un post su Facebook per il Pd Alessia Rotta.

lunedì 16 luglio 2018

Libia porto sicuro per i migranti?

16 luglio 2018

Libia porto sicuro per i migranti? Ecco cosa ignora Salvini

Il ministro dell'Interno accusa l'Ue di ipocrisia. Ma non si possono cambiare le norme internazionali e di protezione per i rifugiati.



Matteo Salvini vorrebbe che la Libia fosse definita un porto sicuro e che l’Europa mettesse così fine al suo «bipolarismo» e alla sua «ipocrisia». «Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C'è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro», ha attaccato il ministro dell'Interno accusando la Commissione Ue di «aiutare gli scafisti», prima di sentirsi ribadire che l'ex Jamahiriya di Gheddafi non può essere considerata sicura.
Sull'ipocrisia, Salvini non ha torto visto che l'Unione si limita a non far attraccare in Libia le nostre navi, ma l'idea che si possa cambiare la normativa per definire le coste libiche sicure dimostra che non conosce ciò di cui sta parlando.
L’attività di ricerca e salvataggio di navi in difficoltà in mare è infatti regolata dal diritto del mare, mentre la questione del porto sicuro si rifà alle leggi sulla protezione internazionale dei rifugiati. E proprio questa divisione permette quell'ipocrisia che Salvini furbescamente attacca.

La Open Arms.

ANSA

Partiamo dall'inizio. Il salvataggio delle persone in mare è regolato dalla Convenzione delle Nazioni sul diritto del mare. L'articolo 98 infatti obbliga tutti gli Stati costieri a istituire un proprio servizio di ricerca e salvataggio, definendo e dichiarando a livello internazionale la propria zona di competenza. La Convenzione Sar (dall'inglese Search and Rescue) poi ha definito meglio gli obblighi nelle attività di recupero che devono garantire la sicurezza ai salvati.
In particolare le imbarcazioni che salvano i migranti devono garantire loro acqua a sufficienza, assistenza medica e possibilità di gestire le emergenze e offrire una sistemazione adeguata in termini di spazio e sicurezza sia alle persone recuperate sia all'equipaggio.
Se l'obbligo di soccorrere coloro che sono in pericolo in mare è fuori di dubbio, la stessa Unhcr, cioè è il comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ammette che in quelle Convenzioni manca chiarezza su ciò che accade dopo il recupero e in particolare circa lo sbarco in un porto sicuro. Le attuali normative si basano di fatto sulla legge sulla protezione internazionale e soprattutto sulle decisioni prese nel tempo dal comitato esecutivo dell'Unhcr.

LE LINEE GUIDA DELL'UNHCR

Nelle linee guida ad hoc stilate nel 2002, l'Unhcr precisa che «la sicurezza e la dignità di coloro che sono stati salvati e dell'equipaggio devono essere la priorità nel determinare il punto di sbarco». In questo caso va tenuto conto degli obblighi giuridici degli Stati ai sensi del diritto marittimo internazionale ma anche della legge internazionale sui rifugiati. E questo significa che vanno considerati di primaria importanza «il trattamento sicuro e umano di tutte le persone soccorse indipendentemente dal loro status legale o dalle circostanze in cui sono state tratte in salvo» e la protezione da trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
In più l'Unhcr, già nel 2002 sottolineava che combattere il crimine - e quindi la tratta degli esseri umani - «non può comportare una diminuzione dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati».

IL RUOLO DELLA LIBIA

In questi anni l'Italia, sostenuta dall'Unione europea, ha spinto per la creazione di una zona di ricerca e salvataggio libica. Tanto da finanziare direttamente la costruzione di un nuovo centro attrezzato per la Guardia Costiera. Con una propria autorità Sar, non solo la Libia è chiamata a coordinare i salvataggi dell'area di sua competenza, ma il centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma può chiamarla in causa anche quando si tratta di interventi in acque internazionali.
La Libia aveva annunciato una prima volta la creazione della zona Sar a dicembre 2017, poi aveva fatto un passo indietro per ribadirla ufficialmente il 28 giugno 2018. Il commissario alle Migrazioni dell'Unione europea Dimitris Avramopoulos aveva commentato: «Lo sviluppo della capacità delle autorità libiche di condurre operazioni di ricerca e salvataggio e di gestire la loro zona Sar in modo efficace e in linea con le norme riconosciute a livello internazionale è un elemento fondamentale del sostegno dell'Ue alla Libia nel settore della migrazione».

LA STRATEGIA DI MINNITI

La strategia è dunque ancora quella dell'ex ministro dell'Interno Marco Minniti: irregimentare le regole di intervento per le Ong - il codice di condotta è stato vidimato anche se ammorbidito anche dalla Commissione europea - in modo da scoraggiarne l'iniziativa e sostenere l'entrata sulla scena dei libici. Il nuovo governo Lega-M5s sembra aver dato direttive per coinvolgerli anche in acque internazionali. Peccato che in questo caso proprio l'Unhcr che collabora con l'Unione europea nel monitoraggio della condizione dei migranti abbia denunciato che il meccanismo rischia di far diventare la situazione dei centri «esplosiva».
Per di più la Corte dei diritti dell'uomo ha specificamente sentenziato che la Libia non è un luogo sicuro per i rifugiati e i richiedenti asilo. E infatti anche il tribunale di Ragusa occupandosi del caso della Ong Open Arms ha ribadito il concetto.

LA ZONA D'OMBRA DELL'UE

L'Ue dal canto suo si fa scudo con la legge. Siccome il diritto del mare prevede la Sar, che Sar sia. Però siccome la legge internazionale sui rifugiati va rispettata e la situazione in Libia non ne rispetta alcuno standard, allora «nessuna nave europea e nessuna operazione europea sbarcherà in Libia».
In questa zona d'ombra effettivamente l'ipocrisia prospera. L'alternativa di Salvini è invece il puro cinismo: buttare a mare le norme internazionali sui diritti umani che per fortuna, al contrario delle sue convinzioni, non si possono cambiare.

Migranti, arriva in Europa solo il 2% degli africani in fuga


la rotta del mediterraneo

Migranti, arriva in Europa solo il 2% degli africani in fuga



Migranti sbarcati in Spagna, nel porto di Algeciras
Migranti sbarcati in Spagna, nel porto di Algeciras
Si parte per disperazione. Come facevano i nostri avi ai primi del Novecento con le valigie di cartone. Per fame. Siccità. Per assenza di lavoro. Per guerre e persecuzioni politiche. Ma ridurre il problema delle migrazioni dall’Africa al cosiddetto «fronte Sud» è solo parte della verità, che è molto più complessa e tremendamente più estesa. È come voler limitare lo sguardo davanti a un affresco solo su un particolare.
Cinquantaquattro Stati, un miliardo di persone
L’Africa, ma sarebbe più corretto parlare di Afriche, è un continente enorme con oltre un miliardo di persone, 54 Stati diversi per condizioni politiche, economiche, climatiche e sociali. E poi ci sono i numeri. Che non parlano di una «invasione degli immigrati» verso l’Italia ma al contrario di un decremento degli sbarchi: nei primi sei mesi dell’anno gli arrivi sulle coste europee sono diminuiti di cinque volte rispetto ai picchi del 2016, dati Unhcr. Considerando che in Italia ci sono lavori che nessuno vuole più fare. Che i nostri vecchi sono accompagnati nell’ultima fase della vita da un esercito silenzioso di badanti. Che in agricoltura e in molte fabbriche sarebbe complicato immaginare di continuare la produzione senza la forza lavoro a basso costo degli immigrati regolari.
L’America è diventata la prima potenza mondiale grazie all’integrazione delle seconde generazioni di migranti. Il più grande imprenditore americano, Steve Jobs, era di origini siriane. L’attuale inquilino alla Casa Bianca è figlio di un immigrato tedesco. Il suo predecessore aveva una genìa kenyana. Addirittura l’uomo che siede sul soglio di Pietro, Papa Francesco, viene dell’Argentina ma è figlio di immigrati italiani.
Il nodo dell’integrazione
Il punto non è tanto «l’invasione» ma piuttosto una vera integrazione che trasformi i migranti, da scappati di casa in cittadini. Da fuggitivi a parte della società, energie vive per la comunità civile. Senza dimenticare i problemi. Che ci sono, dal contrasto al traffico di esseri umani alla ripartizione degli oneri dell’accoglienza. E andrebbero affrontati dalla politica in bancarotta etica - divisa - e non sui social. Per dirla con Rogers Waters, mente creativa dei Pink Floyd, che in questo periodo apre i suoi concerti con una frase, sempre la stessa, che ricorda il titolo del libro di un giornalista italiano più conosciuto all’estero che da noi, Vittorio Arrigoni, ucciso dagli islamisti nel 2011: «Restiamo umani».
Rifugiati e migranti economici
Intanto le parole. È sbagliato parlare di immigrati. Ci sono i migranti economici che arrivano da Sud o da Nord: sono quelli che vanno via dall’Africa per cercare un posto migliore dove stare. Poi ci sono i rifugiati. Quelli che scappano. Dal 2015 secondo la già ricordata Agenzia Onu per i rifugiati, le persecuzioni, le guerre e la siccità hanno portato a un aumento delle migrazioni forzate. Una persona ogni 113 nel mondo è costretta alla fuga. Dal 2015 - complice la guerra in Siria - 65,3 milioni di rifugiati hanno lasciato il loro Paese: un numero superiore agli abitanti di nazioni come Italia, Francia o Gran Bretagna. Ogni minuto in qualche posto del mondo 24 persone sono costrette a lasciare casa. Fino al 2005 erano sei al minuto.
Flussi in calo, solo 172mila sbarchi nel 2017

In Italia, nonostante la percezione, in termini assoluti il numero di rifugiati e di migranti è aumentato ma è basso se si considera il trend globale. I profughi nel 2017 in Africa sono raddoppiati, stando ai dati del Global report on internal displacement (Grid) del Norwegian refugee council. L’Africa subsahariana rappresenta solo il 14% della popolazione mondiale ma quasi la metà dei nuovi rifugiati si registra dal Sahara in giù: 5,5 milioni di persone, 46,4% del totale mondiale. Nord Africa e Medio Oriente hanno avuto 4,5 milioni di rifugiati. A questi vanno aggiunti i migranti economici. In totale nel 2017 hanno lasciato la loro casa in Africa circa 10 milioni di persone. Ma dal «fronte Sud» di Italia, Spagna e Grecia sono transitate verso l’Europa 172.301 persone, con 3.139 tra morti e scomparsi stimati (morti che potrebbero essere evitati con un accordo politico con i Paesi nordafricani, e una semplice rete di radar come accadde anni fa con i gommoni provenienti dall’Albania). Su 10 milioni di profughi africani insomma 172mila prendono la via del mare.
In fuga dalle guerre...


Il Paese africano che ha il più alto numero di rifugiati è la Repubblica democratica del Congo  (2,2 milioni) dove è in corso una guerra civile dimenticata da decenni nel Kivu con violenze e scontri tra bande armate e truppe governative. E dove è partita una nuova “corsa dell’oro” legata alla conquista dei minerali per alimentare le batterie. Batterie che muovono il mondo, dagli smartphone alle auto elettriche. Le major minerarie si affidano a sub fornitori locali per la gestione del processo estrattivo. In questo passaggio la catena produttiva allenta le maglie e si creano situazioni di sfruttamento e inquinamento ambientale. Centinaia di migliaia di persone lavorano nelle miniere, compresi donne e bambini in condizioni di lavoro durissime. Secondo Amnesty International, almeno un quinto della produzione di cobalto in Congo viene estratta da «minatori improvvisati». Chi può scappa. Il report Grid giudica la risposta internazionale alla crisi in Congo «gravemente insufficiente». Una crisi seconda solo alla Siria a livello mondiale.
...e dalla siccità
Per la prima volta sono state censite anche le persone costrette a spostarsi a causa della siccità in Etiopia, Somalia, Burundi e Madagascar (1,3 milioni). La World Bank stima che nel 2050 i rifugiati per gli effetti del cambiamento climatico saranno oltre 140 milioni. Numeri allarmanti di rifugiati si registrano anche in Sud Sudan (932mila) e Repubblica Centraficana, da anni alle prese con guerre civili a singhiozzo. Un’area di crisi recente è quella del Nord del Camerun con le violenze degli indipendentisti e gli attentati degli islamisti di Boko Haram che sconfinano dalla Nigeria. I ribelli sparano, i terroristi si fanno esplodere e la gente scappa. L’86% dei rifugiati africani vengono accolti nei campi Unhcr, in Paesi a basso reddito, vicini alle aree di crisi. I principali sono in Uganda, Sudan, Etiopia Kenya e Libano.

martedì 10 luglio 2018

Raggi, Meloni e Salvini

Raggi, Meloni e Salvini: esemplari di una politica senza responsabilità

La sindaca di Roma dimostra che chiunque può arrivare al potere, anche senza competenza. La leader di FdI imita l'alleato leghista. Il ministro dell'Interno in realtà è un vecchio politicante. Ecco perché l'Italia non si dimenticherà facilmente di loro.

Sono tre i personaggi che rappresentano bene la nuova destra e che resteranno nella memoria degli italiani. Certo non il premier per finta Giuseppe Conte, né il gagà napoletano Luigi Di Maio, neppure Beppe Grillo e ancor meno Alessandro Di Battista o Roberto Fico iscritti alla famiglia dei finti oppositori interni.
Nella memoria resteranno, per la loro rappresentatività del mondo che oggi domina e per la cultura di cui sono espressione, Virginia Raggi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Rappresentano tre tipi umani, tre esemplari politici di una politica sgravata dalla responsabilità, priva di corrispondenza fra interesse generale e tornaconto personale, priva di ogni moralità pubblica, concetto diverso dalla moralità che non fa commettere reati.

RAGGI, EMBLEMA DELL'ANTI-CASTA SENZA COMPETENZA

Virginia Raggi incarna il tema populista dell’incompetente che può giungere ai piani alti del potere soppiantando competenza e esperienza. Centinaia di migliaia di romani l’hanno preferita e continuano a farlo (ma sono molti di meno) perché rappresenterebbe l’anti-Casta, colei che realizza il sogno che chiunque può essere qualcuno. La sua caratteristica politica è quella di sopravvivere facendo fra il niente e il meno possibile e soprattutto disinteressandosi di critiche e problemi. Deve essere una donna molto serena o molto incosciente se continua a occupare un posto che di fatto è vacante.

Raggi è la realizzazione del progetto che chiunque possa dirigere la Cosa pubblica perché non serve saper fare alcunché. E soprattutto aver voglia di fare alcunché. Non sappiamo come sono le sue giornate, sappiamo solo che da quella stanza in cui si è rifugiata non viene fuori mai niente che migliori la vita dei romani. Forse passa i suoi giorni mandando sms, come una diciottenne attempata. Non era mai accaduto prima. Non si potrà dimenticarla.

MELONI E LA FAVOLA DELLA CENERENTOLA NERA

Giorgia Meloni è il classico pesce pilota, quello che viaggia a fianco della grande balena. Al principio della sua avventura, iniziata a conclusione della storia politica di Gianfranco Fini e col declino del Cavaliere, Meloni, altri burocrati dell’ex Msi e Daniela Santanchè, la vera nomade della destra, avevano pensato di richiamare a raccolta il fascismo disperso. La sua storia personale è stata raccontata come la favola della Cenerentola nera, famiglia sfortunata, baby sitter per vivere, percorso interamente svolto nelle stanze della destra romana. Ha trovato, infine, la strada maestra del photoshop che usa abbondantemente e con ammirevole sfrontatezza.
A mano a mano che la destra si è estremizzata, Meloni ha avuto sia la tentazione di fare a vita il pesce pilota di Salvini sia di entrare nelle fila dei leghisti, quelli di “Roma ladrona”, per capirci. Ancora oggi non ha scelto ma imita le battute del suo nuovo leader, ha scelto di praticare l’irrisione dell’avversario, cerca di mantenere a galla quel 4% elettorale che le garantisce stipendio e cortigiani. Ha la suprema faccia tosta di criticare doveri di governo, per esempio in tema di accoglienza, frutto dei gabinetti a cui ha partecipato come inutile ministra. Anche lei è un “tipo” italiano. Se Raggi rappresenta la furbizia nullafacente, Meloni l’ossessiva ricerca di un padroncino.

SALVINI, IL RE DELLA NUOVA DESTRA

Infine c’è il re della nuova destra, Matteo Salvini. Il suo personaggio, persino nel fisico, rappresenta l’italiano forte con i deboli e debole con i forti. Li abbiamo conosciuti a scuola, nella vita di ufficio, appartiene a quel mondo di sobillatori di professione che a poco a poco allarga il suo consenso usando senza parsimonia il messaggio dell’invidia e del rancore. È la prima volta, però, che un ministro degli Interni travalica in modo così plateale i compiti che gli sono attribuiti, è la prima volta che un ministro degli Interni irride i propri avversari, interni, di schieramento persino leader di altri Paesi e capi di Stato. Tutto gli è concesso nel linguaggio e la stampa di destra è felice di aver trovato l’uomo maledicente che sognava, quello che non sa cosa siano buona educazione, buoni sentimenti, doveri pubblici e senso dello Stato. Sarà un ministro indimenticabile.
Quando questa stria sarà finita non bisognerà fare prigionieri riguardo gente come lui. So che per scacciarli servirà una dura battaglia politica ma soprattutto un rigetto dell’opinione pubblica. Lui non è un disoccupato che è giunto per caso al vertice dello Stato, come Di Maio, è il prototipo del politicantismo vecchia maniera, del burocrate che ha saputo vivacchiare in un partito più grande, che è stato servizievole verso i suoi leader, che ha goduto della rendita degli incarichi parlamentari per fare altro rispetto a ciò per cui era stato pagato, soprattutto si è incaricato di dire agli italiani: siate più cattivi che potete.
Uno così non te lo dimentichi e quando l’opinione pubblica rigetterà (ci vorrà tempo, ma accadrà) il suo modo di essere resterà ai posteri come memoria di una Italia di cui vergognarsi perennemente.

lunedì 9 luglio 2018

più socialismo e più cristianesimo


Per sconfiggere la destra servono più socialismo e più cristianesimo
La rinascita della sinistra non può esaurirsi nei congressi. Ci sono mondi da esplorare che vanno dall'associazionismo alla battaglia sociale. Non citiamo a sproposito questo Papa: pratichiamo la sua misericordia. 


Sia i militanti che decideranno di partecipare al congresso del Pd sia quelli che faranno la stessa cosa con Articolo 1 e poi con LeU sanno perfettamente, come sanno bene coloro che non parteciperanno ai congressi citati, che la strada da percorre è un’altra. Ed è una strada che affianca la politica ma non è da essa determinata. Intendiamoci, non va escluso che ci sia prima o poi un colpo di scena. Troppi mondi vicini ai 5 stelle sono in fibrillazione per i migranti respinti, per le critiche ai magistrati di sinistra. Solo Travaglio non si accorge oppure, più probabilmente, se ne accorge ma cerca di metterci una pezza. Può darsi che il movimento 5 stelle perda qualche pezzo, può capitare che litighino con Salvini. Sarebbe azzardato escluderlo, sarebbe folle costruire una strategia su questo scenario.
Ci sono due territori da esplorare che sono vicini, spesso sono un unico territorio, ma chiedono diverse specializzazioni. Penso al territorio della battaglia sociale e al mondo dell'associazionismo
Il tema, che riguarda sia chi parteciperà ai congressi avendo l’animo in pena sia chi non lo farà, è quello di trovare un modo per alla destrutturazione, e quindi alla sconfitta della destra xenofoba e dei suoi alleati. Ci sono due territori da esplorare che sono vicini, spesso sono un unico territorio, ma chiedono diverse specializzazioni e soprattutto tanta dedizione. Penso al territorio della battaglia sociale dove l’interlocuzione con il sindacato è fondamentale e dove soprattutto va posto in primo piano ogni iniziativa che serva a dare protezione a chi non è protetto. Ci sono tante esperienze in corso, dai maestri di strada agli avvocati di strada, ai laboratori medici spontanei. Dovunque ci siano militanti di sinistra che non sanno dove spendere il loro tempo ma vogliono farlo in nome di valori indimenticati, possono nascere queste iniziative. Fuori dai partiti politici.
Il mondo dell’associazionismo è una delle esperienze più meritorie di questo Paese, va arricchito di tanti nuovi soggetti che non partecipano alla battaglia “nei” partiti di centro-sinistra. L’altro territorio è morale e ideale. Non bisogna avere paura dei cattivi pensieri e di chi ormai a viso aperto li predica. A viso aperto bisogna predicare solidarietà, misericordia, fratellanza. Il nuovo socialismo deve essere molto cristiano. Ciascuno di noi deve essere un po’ cristiano e rivendicare l’idea di una persona umana da difendere a ogni costo e in ogni momento. Questo associazionismo è prevalentemente cattolico, ma molti militanti della sinistra senza più patria possono impegnarsi, anche uti singuli, per tenere alta la bandiera della civiltà umana nei discorsi sui bus, nel supermercato, per strada.
La destra deve sapere che si muove su un corpo reattivo
Non bisogna nascondersi. Bisogna avere la testa alta, contrastare i nuovi prepotenti, prendere sempre le difese del più debole. Fatevi mandare affanculo, ma reagite sempre. La destra deve sapere che non si muove in una società inerte ma opera su un corpo vivo e reattivo. Siamo minoranza? Pazienza, come formiche costruiremo una maggioranza di chi vuole restare umano.
Queste associazioni potranno dare un contributo alla politica riunendosi in autunno con l’idea di “costruire ponti”: ponti nella politica, ponti nella società, ponti fra i cittadini, ponti fra etnie e religioni. Il socialismo oggi costruisce ponti. L’avversario, ovvero il nemico, irride chi costruisce ponti perché sta sfasciando la società, vive e si alimenta nello scontro fra umani, nella derisione, nel rancore, nella purezza etnica.
Non chiamerei alla battaglia antifascista perché questi sono peggio dei fascisti, c’è in loro il peggio delle tradizioni storiche reazionarie, dalla vandea ai razzisti americani, ai repubblichini di Salò, agli Ustascia. Noi dobbiamo avere una strategia di amore e di fratellanza ma non dobbiamo essere gente che porge l’altra guancia di fronte alle culture del cattivismo. Il socialismo è stato combattivo, anche il cristianesimo è stato combattivo.
In questi anni c’è stata una abbuffata di cultura laicista. È arrivato il tempo di mettere in primo piano quei pensatori per i quali la persona umana era al centro di tutti i ragionamenti. Serve a tutti noi, anche a noi atei, una ispirazione religiosa. Non citiamo a sproposito questo Papa, pratichiamo la sua misericordia come una missione civile. Da qui si riparte.