domenica 24 febbraio 2019

iniziamo a dire le cose come stanno, senza paura...


È ora di cominciare davvero la battaglia contro gli appestatori del web

La libertà non può essere libertà di insulto. La libertà non può essere impunità. La licenza di offendere via web non si può ammantare del diritto all'anonimato, del passamontagna di un nick. Siamo in un paese libero, non sotto una dittatura in cui chi esprime un pensiero o un'opinione non ortodossa rischia qualcosa. Colpire dall'ombra è il metodo dei sicari e dei codardi, e sui social è l'arma dei burattinai di troll, delle mosche lanciate a sciame per ferire e fare massa critica. Non si capisce perché quel che è vietato nella realtà fisica della nostra società dovrebbe essere invece concesso nella realtà "virtuale" di Internet.

Da tre anni metto in fila questi concetti, perché osservo una tendenza all'impunità sempre più estesa, e a un uso sempre più ribaldo del vuoto legislativo, lamentato anche dai dirigenti della Polizia Postale, sceriffi senza pistola del Far Web. Ogni tentativo di dibattito sull'argomento viene deriso da autoproclamati esperti (uno è finito a fare il segretario di un deputato M5s, chissà se sulla sua targa a Montecitorio c'è il nome vero o un nick).

Ma i tempi sono maturi per affermare per legge due concetti di fondo: la diffamazione via web vale quella a mezzo stampa, e nessuno può nascondersi dietro finte identità, sfruttando l'asimmetria territoriale tra forze dell'ordine italiane e proprietario extraeuropeo del social network. La legge sul cyberbullismo è solo un primo tassello del mosaico legislativo necessario per combattere lo strapotere degli avvelenatori dei pozzi, dei prepotenti incappucciati e dei loro zelanti teorici.

Enrico Mentana





Lezione di bullismo di Salvini

A teatro si chiama “abbattimento della quarta parete”. È il momento in cui l’attore entra in contatto diretto col pubblico per meglio captarne il consenso. Un tempo i puristi lo consideravano un arbitrio sgradevole, greve. Poi è diventato un’abitudine. Tipo i regolamenti di conti nel Pd.

Matteo Salvini lo ha sublimato in politica, per simulare, l’affabilità che gronda da tutti i canini. Un selfie, un altro, un tweet, un altro, finché qualche nativo digitale non ha capito come trasformare la narrazione farlocca in attentato social: avvicinarsi al Capitone, mettersi in posa, far partire la registrazione. E attaccarlo a favore di camera. Chiedendo più accoglienza e più 49 milioni, come un ragazzo di Ozieri. O addirittura – il che è oggettivamente più spiacevole, da evitare – equiparandolo ai rifiuti prodotti dal corpo dopo la digestione. Come ha fatto un’altra teenager che, pure lei, ha subito condiviso l’esito della bravata su Internet.

Come tutti i mattatori, il leader leghista non ha gradito lo scippo dello scettro, il passaggio da soggetto del tasto “invio” a oggetto del medesimo. Forse perché da teppista social a vittima di bullismo virtuale il passo è doloroso. Così, ieri, quando un gruppo di ragazzi sardi l’ha accolto intonando canti partigiani, il (vice)premier non ha esitato a riprenderne i connotati e irriderli su Facebook: «La solita foltissima protesta incontrata stamattina in Sardegna, con pugno chiuso e “Bella Ciao”, perfetto duetto per il prossimo Sanremo».

A seguire, le emoticon del saluto comunista e quella della bandiera arcobaleno. Perché una delle contestatrici, allegra, composta, bellissima, la sventolava: una bottarella omofoba per la claque non si nega a nessuno.

Il Ministro della Paura aveva già additato alla gogna dei suoi tre «poverette» – parole sue – che lo avevano blandamente contestato nel novembre scorso. Ma allora nessuno aveva studiato le contromisure che oggi paiono funzionare benone. Ché insieme alla quarta parete, stavolta, è andata giù la maschera del capocomico. Uno che i nemici, specie quelli non violenti, li fa identificare o li consegna ai propri kapò virtuali. Giustamente preoccupato. Perché sa che per qualunque mattatore saranno proprio i giovani a decidere quando cala il sipario

Luca Bottura


giovedì 21 febbraio 2019

Un partito, per favore, se avete l'idea di come rifarlo


Un partito, per favore, se avete l'idea di come rifarlo

Gianfranco Pasquino Professore Emerito di Scienza Politica nell'Università di Bologna





Sperare di fare crescere l'oggetto Partito Democratico a partire dalla sua attuale collocazione elettorale (e molto probabilmente abitativa dei suoi dirigenti e dei suoi parlamentari) ovvero le Zone a Traffico Limitato delle città italiane, oppure andare in mare aperto alla conquista di quella terra incognita che si chiama periferia (non solo geografica)?

Non dovrebbe essere questo il dilemma di fronte al quale i candidati alla segreteria del PD avrebbero l'onere e l'onore di dare una risposta iniziale? Finora non sono neppure riuscito a sentire il famigerato "silenzio assordante" di (in rigoroso ordine alfabetico che, casualmente è anche di vicinanza al Renzi/smo): Giachetti, Martina, Zingaretti.

Leggo, invece, che il PD, non di un segretario a capo di un'organizzazione sul territorio, avrebbe bisogno, ma borbotta Romano Prodi, di un padre (Scalfari scrive di un presidente certificando l'irrilevanza di Orfini, il presidente in carica).

Rigettando, in ossequio, come si conviene a una delle più viete e logore tradizioni della sinistra, il problema della leadership (l'aveva finalmente trovato, Michele Salvati, il leader dei suoi sogni: Matteo Renzi). Gli aveva anche consigliato di continuer le combat, nelle sue parole: "Renzi, stick to your guns".

Di recente ha argomentato, all'incirca per la trentesima volta in questi anni, la necessità di costruire un partito di sinistra liberale oppure liberale di sinistra. Quali ne siano i connotati di cultura politica (la presa in giro dei professoroni e dei gufi?) e quali le coordinate organizzative (oltre il giglio magico?) è, evidentemente, non soltanto per l'editorialista del Corriere, un problema irrilevante.

Per fortuna non così irrilevante da impedire ad Antonio Floridia di andare a vedere e valutare la democraticità del partito, le modalità previste dallo Statuto per garantire partecipazione e influenza, per coinvolgere simpatizzanti e potenziali elettori.

Poiché non è una detective story, la sua conclusione Floridia la mette nel titolo: Un partito sbagliato (Castelvecchi 2019). Alzata di scudi di Anzaldi, Ascani, Boschi, Romano, Serracchiani e del meritatamente ex-senatore Esposito, ripulsa sdegnata dei gruppuscoli dirigenti?

No, nessuno ha letto il libro né, in tutt'altri affari impegnati, troverà il tempo per leggerlo anche perché da leggere c'è già il Manifesto di Calenda, notissimo esperto di partiti e di rassemblements (a condizione che tengano fuori LeU), non di sistemi elettorali poiché il ruolo è occupato e presidiato da Ettore Rosato, quello della legge vigente.

Cartello europeista 'ha da esse' anche se, regole ciniche e bare, per il Parlamento europeo si vota con una legge proporzionale che suggerisce di trovare, costruire, appoggiare una pluralità di soggetti intorno a poche parole d'ordine con una pluralità di candidature di diverse estrazioni e con qualche curriculum europeo/europeista.

Il dilemma torna ineludibile: in quelle periferie si arriverà (non oso scrivere si "penetrerà") ancora con nome e logo del Partito Democratico oppure è preferibile cercare il nuovo, magari dopo un'ampia discussione fra persone che, da un lato, se ne intendono, dall'altro, garantiscono di impegnarsi per un progetto ideale di lungo periodo, non per ricompense immediate e tangibili?

La rottamazione fu soltanto il tentativo, fallito, di fare piazza pulita. Oggi e domani, trascorso il lungo inverno leghista-stellato, il compito è non trovare casualmente un contenitore, ma formare un'organizzazione di uomini e donne, che non è una ditta (oggi piccola bottega artigiana che rischia lo sfratto), ma neppure un veicolo personalizzato. Che non può più in nessun modo essere il Partito Democratico che vediamo. Che è uno strumento per fare politica intesa sì come ottenere voti e conquistare cariche, ma anche come dare rappresentanza (ai cittadini, non all'indistinto popolo) e offrire capacità di governo.

"Sentinella sentinella quando finirà l'inverno?" "Quando avrete preparato la primavera".


mercoledì 20 febbraio 2019

Terza Repubblica, fine primo tempo


Terza Repubblica, fine primo tempo

Siamo già immersi in un panorama che non somiglia più, per forma e sostanza, a quello che era a giugno: M5s è in rapida decomposizione, il Contratto di Governo stracciato (a proposito: che fine farà la legge anticorrotti?), la sinistra divisa in parti sempre più piccole

Lucia Annunziata Direttore, Huffpost Italia



La prima fase di quella che è stata, forse troppo frettolosamente, battezzata "Terza Repubblica", è finita. La Giustizia, terreno di scontro che ha condizionato i venti anni della Seconda Repubblica, si è ripresentata sulla scena, come il fantasma di Don Giovanni, e come Don Giovanni ha cambiato il corso degli eventi.

Il voto dei Cinque Stelle per sottrarre Matteo Salvini al giudizio di un tribunale - voto confermato dalla Giunta del Senato - e gli arresti dei genitori di Matteo Renzi, sono, è vero, due vicende non correlate e molto diverse (avvenute nello stesso giorno e alla stessa ora - per un caso, per malizia, o per destino che sia), ma si uniscono alla fine in un unico tratto: una identica fede nella superiorità della politica, o, forse sarebbe meglio dire, una assoluta fede nella intangibilità della politica. Con Di Maio e Salvini in difesa della supremazia del governo, e con Renzi convinto che l'arresto dei suoi genitori sia un attacco politico alla sua persona.

Sono certa che sia il Governo che l'ex premier respingano anche solo l'idea che i due casi abbiano un filo che li lega. Ma è difficile non vedere il nesso: le due posizioni hanno in comune l'opinione che la politica dovrebbe essere lasciata in pace a fare il proprio corso, incluso dalla giustizia. Il risultato finale è una inedita armonia fra parti, percorsi e convinzioni diverse, mai prima verificatasi nel pur complesso percorso della vita pubblica Italiana. Giulio Andreotti si presentò dopotutto a Palermo, riconoscendo il valore di un'aula di tribunale . E persino nei momenti più alti dello scontro intorno a Silvio Berlusconi solo i pasdaran del presidente osarono dire che bisognava difendersi dal processo e non nel processo.

Come e perché la domanda di Giustizia che ha alimentato e forgiato l'inizio della Terza Repubblica, come del resto la Seconda, si sia così malamente arenata, è tutto da comprendere.

Le conseguenze che produce sono però molto chiare già ora.

La battaglia contro l'immunità, ogni forma di impunità, è stata il perno intorno a cui il Movimento 5 Stelle ha costruito la sua dirompente affermazione. Per cui è facile prevedere che sarà il soggetto che pagherà maggiore prezzo da questo cambiamento di percorso.

Una scissione è una seria possibilità . Ma il salvataggio del governo nelle modalità con cui è avvenuto, porta a trasformazioni più serie fin da ora. Detto brutalmente: i pentastellati non hanno salvato il leghista, hanno affermato con il loro voto la scelta di rimanere al Governo senza se e senza ma. Convinti del proprio ruolo, o solo opportunisti, non è il punto. Il punto è che una volta esercitato l'opzione che governare è la priorità, perdono ogni potere di trattativa. Non ci sono limiti alle cose che potranno accettare da Salvini. Va bene, una qualche "prova di gratitudine" la incasseranno ora - la Tav, forse? Boh – ma nel lungo periodo si sono consegnati mani e piedi a una sola piattaforma e a un alleato-padrone.

Insomma, il Salvini che vince sui pentastellati allontana un'eventuale crisi di governo perché il leader leghista non ne ha più bisogno. Al contrario, gli fa comodo: un pezzo di pentastellati addomesticati in un partitino avrà bisogno di concessioni minori, e torneranno utili nell'assicurare alla Lega il consenso di una parte di elettorato, rendendolo più libero da alleanze a destra, soprattutto con Silvio Berlusconi.

Grazie a una sorta di eterogenesi dei fini, dunque, il Governo oggi è non solo salvo, ma più stabile: un addomesticamento dei Cinque Stelle a favore dei leghisti è una soluzione gradita a quelle che si chiamano "elite".

Il caso aperto dall'arresto dei genitori di Renzi ha un forte impatto anche nel Pd. Nella settimana prima delle votazioni delle primarie, la vicenda è destinata a far salire la pressione interna e a rimettere in giro veleno. Veleno spicciolo, come le voci che attribuiscono a una manovra "interna" al Pd scenari complottisti: "alla fine è una soluzione perfetta per fare fuori un personaggio scomodo" si ascolta. E basterebbe questa quota di veleno, sia pur spicciolo, a dare l'idea dell'impatto di questa storia. Ma c'è di più, perché la rabbia dei renziani, la rivolta del leader alla decisione dei magistrati, rimette in moto una situazione da tempo stagnante: quello che viene visto come un attacco "a orologeria" può mettere in crisi definitiva Renzi o può galvanizzare gli elettori renziani, i suoi supporter. I quali, come è possibile vedere dall'entusiasmo con cui seguono il tour di presentazione del suo libro, hanno ripreso voce ed entusiasmo.

Per altra eterogenesi dei fini, l'arresto dei genitori di Renzi potrebbe dunque essere l'avvio, la scintilla, per far partire il lancio del nuovo partito su cui l'ex segretario rimugina da tempo. Si tratterebbe di una ennesima scissione, ma anche di un ulteriore chiarimento a sinistra.

Siamo insomma già immersi in un panorama che non somiglia più, nella forma e nella sostanza, a quello che era, solo in giugno: la più potente delle forze in campo, il M5s, è in rapida decomposizione, il contratto di governo stracciato ( a proposito: che fine farà la legge anticorrotti?), l'area di sinistra divisa in parti sempre più piccole.

Certo la Terza Repubblica non finisce qui. Ma il primo tempo è concluso.


Cosa succede con l'autonomia in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto


Cosa succede con l'autonomia in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto

Alle Regioni andranno parte del gettito Irpef e dell'Iva per gestire formazione, infrastrutture e Sanità con maggiori poteri. Si va verso concorsi e contratti regionali per la Scuola.


  • ...
  •  



Con il Consiglio dei ministri del 14 febbraio è entrato nella fase decisiva (dopo lo stop di dicembre) l'iter che porterà Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto a gestire in maniera diretta risorse in materie centrali per la vita dei cittadini come la Scuola, la Sanità, le infrastrutture. L'autonomia differenziata, prevista dalla nostra Costituzione, è stata chiesta tramite referendum (Veneto e Lombardia) o accordi con il governo (Emilia-Romagna). A queste tre Regioni presto se ne aggiungeranno altre, soprattutto del Nord, mentre a Sud si teme che la strada imboccata porti a un ulteriore depauperamento, come ha accusato - tra gli altri - il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.



00:00

01:26


  •  





UNA QUOTA DI IRPEF E DI IVA RIMANE ALLO STATO

Uno dei nodi fondamentali di questo accordo riguarda proprio le risorse economiche: secondo l'intesa raggiunta il 13 febbraio tra Regioni e governo (il sottosegretario del Mef Massimo Garavaglia e la ministra per gli Affari regionali Erika Stefani), una parte di Irpef e di altri tributi erariali come l'Iva resteranno sul territorio per finanziare le competenze che passeranno dallo Stato alle Regioni. Per capire quanti soldi saranno gestiti da queste ultime, ci si baserà sul "costo storico", cioè su quanto lo Stato ha stanziato precedentemente. Dopo tre anni, dovrebbero essere individuati dei «fabbisogni standard». Lombardia e Veneto avevano chiesto di legare tali costi alla "capacità fiscale", cioè di poter trattenere e spendere di più in base alla loro maggiore raccolta fiscale. Ma il principio non è passato. C'è però una clausola ponte secondo cui se non si riescono a definire i fabbisogni standard, allora le Regioni avranno un ammontare di risorse non inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa per quelle fuzioni. Una clausola conveniente per il Nord, dove la spesa è inferiore al Sud.

SCUOLA, INFRASTRUTTURE, BENI CULTURALI, SANITÀ

Per capire invece di quali compentenze parliamo, è necessario fare un passo indietro. La Costituzione italiana prevede, all'articolo 117, 23 competenze concorrenti dove lo Stato esercita un controllo generale mentre l'attuazione pratica delle singole norme è demandata alle Regioni, secondo il principio della devolution che ha ispirato la riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Ecco il testo in questione, per chi vuole conoscere in dettaglio le singole competenze dove, a ogni modo, spiccano Sanità, istruzione, infrastrutture e beni culturali.



LE MATERIE CONCORRENTI SECONDO L'ART. 117 DELLA COSTITUZIONE

«Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».

LE RICHIESTE DELLE REGIONI

Secondo l'articolo 116, su queste materie le Regioni possono chiedere allo Stato «condizioni particolari di autonomia» che sono decise attraverso un'intesa con lo Stato che poi deve essere approvata con una legge votata a maggioranza assoluta dalle Camere. Lombardia e Veneto hanno chiesto l'autonomia su tutte e 23 le competenze concorrenti. L'Emilia-Romagna si è fermata a 15.

A OGNI REGIONE I SUOI PROFESSORI E STIPENDI DIVERSI?

Una delle questioni più dibattute riguarda le competenze in materia di scuola. Secondo una nota della Flc Cgil, il sindacato dei lavoratori della conoscenza, la questione non è all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri del 14 febbraio. Le richieste soprattutto da parte di Veneto e Lombardia sono però molto nette: i professori neoassunti passerebbero a lavorare alle dipendenze della Regione, e non più dello Stato. La Regione, inoltre, deciderebbe su eventuali aumenti contrattuali e anche l'arruolamento dei docenti si farebbe su base regionale. Il modello a cui si guarda è quello del Trentino Alto-Adige, i cui studenti sono al top nei test Invalsi. Critica la Cgil: «È falso che un contratto regionale possa migliorare la qualità dell'istruzione. È falso che stipendi diversi fra regione e regione incentiveranno il personale. È falso che concorsi regionali favoriscano la stabilità. È falso che sarà rispettata l'autonomia delle istituzioni scolastiche», continua il sindacato, secondo il quale «è vero invece che il diritto all'istruzione non sarà più un diritto universale, che si bloccheranno la mobilità professionale e lo scambio culturale. Il diritto all'istruzione non è regionalizzabile».

LE STRADE, LE FERROVIE E LE AUTOSTRADE CAMBIANO PADRONE

A oggi le Regioni gestiscono già parte del trasporto regionale su ferro (Trenord è partecipata dalla Regione Lombardia) e in molti casi anche le autostrade partecipando alle società concessionarie. Adesso Lombardia e Veneto vorrebbero che passassero al demanio regionale anche la proprietà delle infrastrutture, che sarebbe tolta quindi allo Stato centrale il quale perderebbe le funzioni di programmazione e controllo. Una ipotesi che vede fermamente contrario il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli.



Trenord, partecipata dalla Regione Lombardia

I LIVELLI DI ASSISTENZA SANITARIA DIVERSI DA REGIONE A REGIONE

Le competenze in materia di Sanità sono già in buona parte in mano alle Regioni. Ma i cambiamenti sarebbero sostanziali anche in questo caso. A oggi è compito dello Stato definire i Lea, ovvero i livelli essenziali di assistenza che dovrebbero garantire (nei fatti non succede) prestazioni omogenee sul territorio. Già oggi gli obiettivi dei Lea trovano applicazione sul territorio in maniera differenziata. Nel progetto di autonomia differenziata, i livelli di assistenza e quindi la spesa verrebbero definiti dalle Regioni. Le Regioni, inoltre, chiedono di poter decidere autonomamente sullo stanziamento di risorse aggiuntive per il personale e sulla formazione, con la possiblità di accordi specifici con le università. Anche in questo caso la ministra compentente, Giulia Grillo, ha posto dei paletti in una intervista su Il Mattino: «La Sanità è lo specchio del funzionamento di un territorio, se non c’è crescita sociale e solidarietà, il sistema non può funzionare. E su questo anche la Lega è d’accordo. La Sanità degli egoismi non fa bene a nessuno».






Quei talent scout stranieri a caccia di medici italiani


Quei talent scout stranieri a caccia di medici italiani

Arrivano nei nostri ospedali per reclutare i migliori laureati e specialisti. Offrendo loro condizioni economiche migliori. Mentre il Sistema sanitario nazionale rischia di rimanere senza risorse. Il punto. 


  • ...



  •  



Camici bianchi in fuga dall’Italia. Formati e preparati dalle nostre università e dal Servizio sanitario nazionale e poi lasciati andare. Almeno 1.000 l’anno. Tanti il nostro Paese ne ha persi tra laureandi, laureati abilitati, specializzandi e neo-specialisti dal 2005 al 2016 come ha calcolato l’Anaao Assomed, il sindacato della dirigenza medica e sanitaria. Un esodo che regala ad altre nazioni, in particolare Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia, l’investimento per la loro formazione scolastica ed universitaria, circa 150/200 mila euro per medico. Il costo di una Ferrari, dicono i sindacati. E il futuro non è roseo. Se non si inverte la tendenza, dice ancora l’Anaao, nel 2025 mancheranno all’appello almeno 16.500 specialisti.



La previsione del numero di pensionamenti dal 2018 al 2025 dei dirigenti medici del San è stata stimata considerando che nel 2018 abbiano acquisito il diritto alla quiescenza i nati nel 1953.

TALENT SCOUT STRANIERI A CACCIA DI MEDICI

Secondo Enrico Reginato, past president della Federazione europea medici specialisti ed esperto di sanità internazionale, già nel 2020 in tutta l’Unione europea mancheranno 260 mila medici, pari al 13,5% del totale. Per compensare questa emorragia, alcuni Paesi europei, Germania, Francia e Regno Unito su tutti, stanno inviando veri e propri talent scout per reclutare, alle migliori condizioni possibili, medici italiani e/o specializzandi con i voti migliori. Un po' come accade negli sport. Il più delle volte viene offerto uno stipendio doppio rispetto a quello che si maturerebbe in una struttura italiana, possibilità di carriera entro pochi anni e vantaggiose condizioni economiche per l’acquisto di una casa o la stipula di un’assicurazione.

LEGGI ANCHE: Più di 10 mila medici hanno lasciato l'Italia dal 2005 al 2015

L'ITALIA NON È ATTRATTIVA PER I DOTTORI STRANIERI

Questa situazione è particolarmente accentuata in Veneto, prima regione a denunciare questo “corteggiamento”. Ma a quanto risulta a Lettera43.it, comincia a estendersi anche in Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. La Germania è il Paese con il maggior numero di richieste, ma anche quello che offre la possibilità di lavorare immediatamente, a differenza per esempio di Francia e Spagna dove è previsto un esame che orienta a una specialità o a un’altra senza scelta da parte del candidato. La specializzazione negli ospedali tedeschi avviene in seguito, quando si fa già parte a pieno titolo di una struttura ospedaliera. Anaao Veneto e l’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri si dicono «molto preoccupati per l’evolversi della situazione».



Le 10 specialità mediche più carenti a livello nazionale nel 2025 con pensionamenti attesi in base alla legge Fornero del 2011. Il numero di pediatri mancante include anche i pediatri di libera scelta (PLS). Fonti dei dati sugli specialisti e sui PLS: CAT 2016; ministero Salute 2010.

Preoccupazione doppia perché l’esodo dei giovani medici italiani non è bilanciato da un adeguato flusso in arrivo di dottori stranieri in Italia. L’Ulss di Treviso, ad esempio, tramite la Camera di Commercio, ha cercato in Romania, Polonia e Ungheria medici disponibili a lavorare in regione. Nessuno ha risposto. «L’Italia oggi non è appetibile. In Francia il medico di famiglia percepisce non meno di 30 euro per ogni visita a domicilio e in un ospedale pubblico come primo stipendio si guadagnano 5.500 euro al mese», spiegano i medici veneti.

STIPENDI DOPPI E BENEFIT PER IL TRASFERIMENTO

Ma c’è anche chi dice no al trasferimento. Andrea Rossi, geriatra 41enne dell’Azienda ospedaliera di Verona e vicesegretario Anaao Veneto ha raccontato al quotidiano L’Arena di aver ricevuto una proposta per andare a lavorare nel Norfolk. «Per 15 ore settimanali, contro le 45-50 che faccio, lo stipendio si aggirava fra le 6 e le8 mila sterline al mese, grossomodo fra i 7 e 9 mila euro», ha sottolineato. Il pacchetto comprendeva poi un posto di docente all’università locale che avrebbe fatto lievitare lo stipendio a oltre 150 mila sterline, 170 mila euro, e cioè più del doppio rispetto a quanto guadagnato in Italia. Sul piatto altre 20 mila sterline per il “disturbo” di trovarsi una sistemazione, fino a quando l’ospedale non avesse fornito la casa. Insieme all’incentivo per la scuola dei bambini. «Oggi porto avanti anche attività di ricerca, mia moglie lavora come medico di medicina generale e abbiamo tre figli. Parlandone, abbiamo preferito declinare».

LEGGI ANCHE: Ipotesi di tagli alla Sanità, il governo smentisce

TRA 10 ANNI MANCHERANNO ANCHE I MEDICI DI FAMIGLIA

Un settore molto ambito dai procacciatori che arrivano in Italia è quello della chirurgia, considerata nel nostro Paese una professione "pericolosa", dal momento che cinque chirurghi su otto subiscono nella loro vita professionale almeno un procedimento giudiziario. Per questo, molti decidono di andare a operare all’estero dove le tutele e le garanzie sono maggiori. Inoltre, con il blocco delle assunzioni, più di 7 mila chirurghi andati in pensione non sono stati rimpiazzati spiegano dall’Acoi, l’Associazione dei chirurghi ospedalieri. L’Anaao Assomed lancia una previsione da qui a 10 anni: 47.248 medici dipendenti e 21.700 medici di base se ne andranno in pensione ma nessuno sembra porsi il problema di come potranno essere rimpiazzati. «Almeno un terzo dei residenti nella penisola non potrà avvalersi tra 10 anni del medico di famiglia.



Stima dei laureati attesi, delle domande per il concorso di specializzazione e imbuto formativo.

Tutto questo mentre i nostri medici migliori lasciano l’Italia», allargano le braccia dal sindacato. Secondo la Fimmg, la Federazione italiana dei medici di medicina generale, i dati potrebbero esser anche peggiori: entro il 2028 verranno a mancare 33.392 medici di famiglia. Sicilia, Lombardia, Campania e Lazio sono le regioni che registreranno, sia nel breve sia nel lungo periodo, le maggiori sofferenze.

LEGGI ANCHE: Il decalogo anti fake news su vaccini e salute

IL RICAMBIO GENERAZIONALE È RALLENTATO

Il blocco del turnover, introdotto in Italia con la legge 296 del 2006, rappresenta un ulteriore elemento che sta incidendo pesantemente sulle dinamiche di sostenibilità del nostro sistema sanitario, a differenza di altri Paesi europei dove invece si è pensato già da anni ad arrivare preparati a eventuali carenze di organico. Il ricambio generazionale poi è fortemente rallentato: nel 2017, secondi i dati dell’Oecd, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’età media dei medici ospedalieri è stata superiore a 54 anni, la più alta nel panorama europeo e la seconda al mondo dopo Israele.

SERVONO MAGGIORI FINANZIAMENTI PER LE ASSUNZIONI

In futuro mediamente si laureeranno oltre 10 mila medici ogni anno, ma il numero di contratti di formazione post lauream, che solo nel 2018 è arrivato a circa 7 mila, è da tempo insufficiente. La Legge di Bilancio per il 2019 prevede la partecipazione degli specializzandi dell’ultimo anno a concorsi per dirigenti medici del Sistema sanitario nazionale. L’incremento previsto è di circa 900 unità. Iniziativa, secondo molte associazioni mediche, condivisibile, ma ancora insufficiente. Non basta «sbloccare il turnover, ma incrementare anche il finanziamento per le assunzioni e attivare i diversi miliardi di risparmi effettuati dalle Regioni nell’ultimo decennio», dicono ancora dall’Anaao. E per quanto attiene la formazione dopo la laurea, si chiede di incrementare ad almeno 9 mila i contratti annuali, ma anche di avviare una riforma globale, «passando a un contratto di formazione/lavoro da svolgere fin dal primo anno in una rete di ospedali di insegnamento in modo da mettere a disposizione degli specializzandi l’immensa casistica e il patrimonio culturale e professionale del Ssn».

martedì 19 febbraio 2019

Federico Pizzarotti

E con questa direi che le regole a cui non si deroga sono finite. Dopo che...
"*Attenzione post che induce ulcera*"
"Tutto in streaming": sparito lo streaming (fin dal meraviglioso incontro in luogo segreto con Casaleggio padre che andò a prenderli in autobus privato per portarli chissà dove senza streaming, dopo l'elezione di Grasso presidente del Senato);
"Mai alleanze con i partiti" (con specifica menzione alla Lega): non c'è bisogno di spiegazioni;
"Tutti gli stipendi e le restituzioni rendicontati": appena li scoprono che non sanno manco controllare dei bonifici fanno sparire tutta la rendicontazione, così ora chiunque può tenere tranquillamente tutto lo stipendio;
"Qualsiasi carica nel M5S sarà elettiva": presidente non eletto, segretario non eletto, tesoriere non eletto, membri del direttorio non eletti, portavoce non eletti, responsabili comunicazione non eletti;
"Candidati scelti dalla base": è durata finché quelli scelti dalla base sono andati bene alla dirigenza, dopodiché sostituiti d'ufficio;
"Mai in televisione": è durata finché non ha fatto comodo andare in televisione (ma sempre e solo quando possono andare senza contraddittorio, altrimenti non sanno ribattere);
"Esame di Diritto Costituzionale per tutte le cariche elettive": pensa che risate se davvero dovessero sostenere loro un esame simile, non rimarrebbero abbastanza politici del M5S per una giunta comunale;
"Rotazione dei capigruppo in Parlamento": sparita;
"Fuori dall'Euro": no, no, dentro l'Euro, assolutamente (poi una parlamentare dice pure "non so cosa voterei a un referendum");
"Massimo due mandati, poi a casa": già dopo marzo avevano detto che, se si fosse tornati al voto, si sarebbe ripresentata la stessa squadra. E anche questa vedremo come andrà a finire alla fine
"Alleanze in Europa scelte dalla base": sondaggi con opzioni insensate e post di propaganda per indurre al voto dell'opzione desiderata dalla dirigenza. Stessa cosa successa con il voto di oggi 😎
"Si possono trovare 30 miliardi col primo decreto al primo consiglio dei ministri" (con tanto di sventolio di fogli): poi quei miliardi non esistono e si deve fare deficit;
"Siamo ultimi nella classifica della libertà di stampa": poi fanno liste di giornalisti sgraditi e appena vanno al governo e attaccano i giornalisti che li criticano;
"I ministri li sceglie il Presidente della Repubblica": il Presidente dice di no a uno fra molti e loro minacciano l'impeachment (senza sapere neppure cosa sia né che in Italia non esiste);
"Mai più governi non eletti" (i governi non sono mai stati eletti e non è previsto che lo siano): vanno al governo con un presidente del consiglio che non si era candidato tale e con una coalizione che non si era presentata alle elezioni;
"Mai più alleanze post elettorali fra partiti che si presentano divisi e poi inciuciano" (non si chiama inciucio, si chiama alleanza): vanno da soli, poi "inciuciano" con la Lega; ah no, ora è un contratto.
"Nessun Indagato": è durata fino al primo indagato M5s e ad ogni nuovo indagato si "correggono" le interpretazioni. Regole sempre applicate per i nemici e interpretate per gli amici.
"Fuori i partiti dalla RAI!" - RAI interamente occupata insieme alla Lega senza lasciare manco un usciere alle opposizioni;
"No al TAV": TAV... vedremo come andrà a finire
"No al TAP": TAP confermato;
"Niente più fondi alle scuole private": fondi alle scuole private confermati;
"Niente F35 acquistati": acquisto degli F35 confermato;
"Mai più condoni": fanno il condono fiscale e pure il condono edilizio;
E vediamo se oltre a frasi come : e allora il piddi, non saresti stato nessuno senza Grillo, sputi nel piatto dove hai mangiato, e tante altre frasi fatte, sarete in grado di fare una serena autocritica


domenica 10 febbraio 2019

Marco Revelli: "Italia irriconoscibile"


Marco Revelli: "Italia irriconoscibile"

"Non faccio altro che domandarmi come siamo precipitati nella ferocia e nell'ostentazione della cattiveria di questi anni. Il Pd? Una storia finita"



By Nicola Mirenzi



All'origine, c'è lo smarrimento: "L'Italia è irriconoscibile. Non faccio altro che domandarmi come siamo precipitati nella ferocia e nell'ostentazione della cattiveria di questi anni, trasformandoci nel buco nero dell'umanità, dopo i grandi slanci degli anni sessanta". Storico, sociologo, politologo, intellettuale di riferimento della sinistra italiana, Marco Revelli ha scelto come guida l'incertezza, per esplorare quel mondo frantumato, emotivo e a tratti anche psicotico, che, per comodità, e per star con le coscienze apposto, chiamiamo populismo: "La sinistra, credendo di combattere i populisti, si è schierata contro il popolo, ignorando i bisogni che manifestava. Si è presa gioco di Luigi Di Maio perché vendeva bibite allo stadio. Ha ironizzato su quelli che sbagliano il congiuntivo. Ha contestato, non il merito, ma il principio del reddito di cittadinanza, sostenendo che garantirebbe di fare la bella vita sdraiati sul divano. Come se non sapesse che i poveri esistono davvero, che ci sono ragazzi che fanno qualsiasi lavoretto pur di racimolare uno stipendio, seppur misero".

Sono dieci anni che Revelli naviga nel big bang politico, sociale ed economico che la crisi finanziaria ha innescato, osservando, partecipando, tentando di decifrare il senso dell'esplosione che ha distrutto il mondo con cui siamo entrati nel nuovo secolo, con la certezza che la storia era finita, la democrazia liberale aveva trionfato, e che si trattava soltanto di amministrare l'esistente: "È stata l'illusione alimentata dal neo-liberismo, e che continua in parte a essere alimentata anche oggi. L'idea che, prima o poi, tutto tornerà come prima. Come se noi fossimo seduti su un treno che ha deviato. Occorre semplicemente rimetterlo sui binari giusti". Mentre il populismo – è questa l'analisi che Revelli sviluppa nel suo libro appena pubblicato, "La politica senza politica", (Einaudi) – è in realtà la manifestazione di una patologia che viene da lontano, causata dall'erosione della democrazia, dalla distruzione dei partiti, dalla frantumazione della società, tutti prodotti altamente infiammabili, sui quali il crollo economico del 2008 ha funzionato come un fiammifero acceso in un lago di carburante.

Le fiamme hanno illuminato qualche verità, professore?

Hanno mostrato, a una società che non si sentiva più rappresentata, che ciò che provava era vero. 'Questi non sono i vostri rappresentanti – hanno detto i populisti –. Rappresentano altri: le oligarchie europee, i poteri finanziari, i partiti degli affari'.

Era così?

Il problema, si diceva, non era rappresentare: era governare. È il trampolino che il Pd, Monti, il centrodestra hanno offerto ai 5 stelle e alla Lega: negare che il principio di rappresentanza fosse compromesso, affermando che l'unico problema fosse la governabilità

Il populismo, dunque, serve alla democrazia?

No, la mina. Ma non si comprende la forza del richiamo populista se non si considera che esso è figlio dell'egemonia neo-liberista, basata sull'idea che certe politiche non si possono mettere in discussione, poiché è il mercato a chiederle. Questo ha aperto il vuoto. Perché, invece, la politica è fatta di scelte, alternative, decisioni che indicano una direzione. È così che, per reazione alla politica dell'inevitabilità, si è fatta avanti una politica dell'eternità. Il richiamo a ciò che rimane sempre uguale: il fatto che io sono bianco, parlo veneto, sono diverso dai neri che stanno venendo a invadermi.

Lei cita Luciano Gallino.

Perché è acutissima la sua definizione della nuova lotta di classe, quella che i ricchi fanno contro i poveri.

I populisti hanno riequilibrato il rapporto?

No, hanno finto di farlo. Donald Trump chiuse la campagna elettorale in West Virginia, nel parcheggio di un supermercato, davanti a una massa di lavoratori in tuta blu. Disse: "Finalmente, la classe operaia americana batterà un colpo". Sembrava Lenin. Invece, è un miliardario immobiliarista.

Però si sono affidati a lui.

Certo, ma non perché si aspettavano da Trump la riscossa: piuttosto, per fare più male possibile a chi avrebbe dovuto rappresentarli e ha smesso di farlo. In fondo, il voto populista è un voto di vendetta.

E se invece avessero votato i populisti proprio perché li sentono come loro?

Su questo non c'è dubbio. La sinistra è antropologicamente diversa dal popolo che vorrebbe rappresentare. Di Vittorio, prima di rappresentare i braccianti, è stato un bracciante. Oggi non c'è un solo leader della sinistra europea che emerga dal contesto sociale a cui vorrebbe far riferimento. Escluso Landini, che però è un sindacalista.

Che conseguenze ha, questo?

Che gli argomenti con i quali il centrosinistra si oppone a questo governo, che io considero tra i peggiori, sono falsamente anti-populisti: in realtà, sono anti popolari.

Per esempio?

Sposare, contro Salvini e Di Maio, le posizioni dei commissari europei, quelli che hanno massacrato la Grecia, è suicida. Una sinistra che fa questo, storicamente, non ha più ragione di esistere.

Zingaretti può invertire la rotta?

Con tutta la simpatia che provo, temo che la storia del Pd sia finita.

Da dove dovrebbe ripartire allora la sinistra?

Dall'ascolto. In fondo, da dove trent'anni fa è partita la Lega, dalle osterie, dai gazebo davanti ai supermercati, dai piccoli paesi. La sinistra che crede di avere solo cose da insegnare, ma niente di imparare, è spacciata in partenza.

Ma lei, che è un uomo della sinistra, non ha niente da rimproverarsi?

Se mi guardo indietro, mi accorgo che l'Italia che abbiamo prodotto nel Sessantotto è un'Italia che fa schifo. Abbiamo urlato: "Vogliamo tutto". Poco dopo, le catene dei supermercati promettevano: "Vi diamo tutto". Abbiamo aperto una breccia in una società autoritaria, ma dentro quella breccia si sono infilate un'infinità di veleni. Il disastro antropologico degli anni Ottanta e Novanta è anche un nostro figlio legittimo.

Suo padre era Nuto Revelli, scrittore e partigiano: cosa prova quando sente parlare di pericolo fascista?

Provo una sensazione contraddittoria. Da una parte, penso che abbia ragione Francesco Guccini quando avverte che c'è aria di Weimar, la macchia nera che sta avanzando la percepisco anch'io.

Dall'altra, però.

Mi danno fastidio i richiami formali e retorici all'antifascismo, perché il nemico che abbiamo di fronte non è un semplice residuo del passato. Quello che stiamo vivendo non è un rigurgito anti storico. Anzi, è molto più storico di noi, perché sta tragicamente dentro il nostro presente.