sabato 24 marzo 2012

FUGA TRA CONFUSIONE E REALTA' - terza parte

Terza parte



Dopo alcuni giorni mi ritrovai pensieroso a chiedermi cosa ci facevo in quel posto dimenticato da tutti, pensavo a una guarigione miracolosa dei miei affanni in quest’oasi di pace e tranquillità, invece stava montando in me un nervosismo verso me stesso che, forse, era peggio di quando ero in pianura, sarà la noia pensai, il non fare niente da mattina alla sera, ritornare sempre con  la testa ai soliti pensieri, non essere riuscito a scacciarli.

Mi venne in mente di riprendere la mia vecchia passione di scrittore in erba, detto fatto comperai carta, penna e tutto l’occorrente e felice come non mai mi misi a riempire pagine su pagine di quaderno, scrivevo tutto quello che mi passava per la mente senza nessuna logica,con rabbia, cancellando frasi, riscrivendole, strappando pagine; la Tina, seduta accanto alla stufa a rammendare tutto quello che c’era da aggiustare e altro, scuoteva la testa e borbottava:
“Lei ha studiato troppo, tutto quello scrivere, troppa sapienza, deve distrarsi, interessarsi di qualcos’altro, altrimenti ritorna in pianura che è ridotto peggio di prima; se, da quel poco che ho capito, lei è venuto in cerca di pace e di tranquillità, prima deve guardare se stesso, poi vedrà che qui non le mancheranno le occasioni per capire e trovare quello che cerca.”
Rimasi stupefatto dalla logica stringente della donna, poche parole semplici e mi aveva spogliato di tutte le ragnatele che avevo nel cervello, e pensare che è analfabeta, mi dissi, dandomi dello scemo, comunque aveva ragione, cominciavo a dubitare di questa mia fuga, sicuramente inutile, sulla frenesia di ricercare qualcosa che neanch’io sapevo bene cosa fosse; In fin dei conti perchè me ne ero andato via da casa? Cos’è che mi mancava? Forse la colpa era della monotonia quotidiana nel lavoro che mi faceva scoppiare il cervello, non riuscire a capire quello che succede tutti i giorni, quando accendi la televisione o leggi i giornali e ti rendi conto che vince chi urla più forte, chi usa gli insulti più feroci.
Osservavo gli abitanti del posto, gente decisa che vive in simbiosi con la natura, che sa scandire le ore e i minuti, il passare del tempo, fatto di piccole cose e di grandi silenzi, cosa c’era di diverso tra me e loro, cos’è che non riuscivo a capire. Una mattina mi ero alzato troppo presto, era domenica e la campana chiamava i fedeli alla messa; senza sapere bene perchè mi incamminai verso la chiesa, ombre veloci e furtive, vestite di nero, mi passavano accanto; entrai, era buio, solo nei pressi dell’altare c’era un pò di luce, rimasi in un angolo ad ascoltare la funzione, non partecipavo al dialogo tra il prete e le donne, non ne sarei stato capace, da troppo tempo non entravo in una chiesa, non ascoltavo una messa, sentivo però che quella funzione religiosa voleva dirmi qualcosa;  quando uscii mi sedetti su di una panca di legno a riflettere, cominciavo senza volerlo a capire ciò che non avevo trovato nemmeno nel silenzio della montagna o che, forse, non avevo voluto trovare: mi mancava l’umiltà di parlare con me stesso, cercavo di inserirmi nella natura, seppur bella e affascinante, e negli uomini che mi circondavano, senza capire la  mia arroganza, era come se io avessi voluto comperare la felicità; usavo la quotidiana merce di scambio a cui ero abituato, senza rendermi conto che quello che cercavo e mi mancava, non era possibile comperare in nessun modo, dovevo cercarlo dentro di me.
“Cosa fa lì seduto al freddo, venga a casa a scaldarsi, le preparo una bella tazza di brodo caldo, vedrà che cambia subito colore, poco ma sicuro.”
Sorrisi tra me alle parole della vecchia Tina e mi avviai verso casa, mi sentivo più leggero del solito, libero, non mi ponevo neanche il problema se tornare in pianura da mia madre e mia sorella e riprendere le vecchie abitudini di un tempo che ormai consideravo lontanissimo.
Scesi in corriera a S.Stefano, cercai l’ufficio postale e spedii un telegramma:
“E’ una splendida giornata di sole, tutto è normale, anzi normalissimo e io sto finalmente bene.
Non aspettatemi presto: anzi non aspettatemi più.” Roberto


fine


Copyright Checcuswriter  24 Marzo 2012 Tratto da "Gocce di emozioni 1" racconti di Francesco Danieletto


Era una giornata normalissima quando Roberto scomparve, e il fatto più insolito della sua scomparsa fu che nessuno la notò, nemmeno sua madre. Ma andiamo con ordine.”

“FUGA TRA CONFUSIONE E REALTA”
parte prima

Avevo deciso di andarmene, ci avevo pensato sopra tutta la notte, non ne potevo più di questa situazione; c’erano giorni in cui mi sembrava di scoppiare dalla rabbia per l’incapacità di gestire il solito menù quotidiano, mi sentivo come prigioniero di un guscio; che fossi dentro o fuori casa era lo stesso, l’impotenza di non poter fare niente altro che le solite monotone cose, mi creava  una profonda frustrazione che faticavo a scacciare, tanto che gli amici e i collaboratori di lavoro mi guardavano preoccupati, erano arrivati perfino a contattare mia madre e mia sorella, volevano capire cosa avessi e, se possibile, cercare di aiutarmi. Quale che fosse il mio male sicuramente non era curabile, da nessun dottore, l’unica cosa di cui sentivo il bisogno era di rimanere solo, senza rinchiudermi nella mia stanza naturalmente, dove chiunque poteva entrare a suo piacimento.  
Erano le cinque del mattino e alla chetichella scivolai fuori dalla finestra della mia camera, sicuro che in quel modo nessuno si sarebbe accorto di nulla, nè mia sorella, nè tanto meno mia madre, e, naturalmente, speravo il più tardi possibile.
Camminavo con passo spedito, guardandomi attorno e sperando vivamente di non incontrare qualche conoscente, al quale non avevo certo voglia di dare spiegazioni; avrei potuto prendere l’autobus per Venezia, ma sarebbe stato pieno di lavoratori della zona industriale e io mi sarei ritrovato come una mosca bianca in mezzo a loro. Qualche chilometro a piedi e arrivavo al paese successivo, lì c’era più abbondanza di autobus e avrei deciso cosa fare e che direzione prendere, in lontananza si vedevano il fumo e le fiamme delle ciminiere del petrolchimico di Marghera: l’odiata Marghera, quella che ti fa vomitare ma che ti permette di vivere, quella che sta facendo esplodere le mille contraddizioni di questa società, che ti pone di fronte alla realtà, che ti mette con le spalle al muro: devi scegliere, senza mezzi termini, in maniera assoluta, senza se e senza ma; ci sono momenti nella vita in cui ci facciamo mille domande, mille perché e il castello di finzioni e di bugie dette a noi stessi crolla miseramente: era quello che mi stava succedendo.
Ero quasi arrivato e mi fermai per qualche istante, i miei polmoni erano in deficit di ossigeno, decisamente non ero più abituato a camminate di questo genere, anche se mi aveva fatto bene, a volte la stanchezza aiuta a rilassarti; alle otto ero davanti alla biglietteria della stazione di Mestre, dove acquistai un biglietto di sola andata e salii sul treno diretto a Calalzo, poi da lì in corriera sarei arrivato a S. Stefano di Cadore, anche se la mia meta era ancora più in alto: Costalissoio, piccola frazione di poche anime che dominava la vallata; i posti li conoscevo alla perfezione perché, da piccolo, venivo sempre con mia madre a passare le vacanze estive.
Riflettevo su quanto stavo facendo, pensavo a mia madre e a mia sorella, chissà se si erano accorte della mia scomparsa, o se avevano pensato a una delle mie solite assenze, senza preoccuparsi minimamente, prese com’erano dalle loro pressanti occupazioni quotidiane, sicuramente all’ora di cena si sarebbero rese conto che non c’ero più, ero sparito, mi sarebbe piaciuto vedere le loro facce, chissà che reazione: rabbia, sgomento, delusione per non essere riuscite a capire i motivi del mio gesto, apprensione per un mio eventuale incidente, disgrazia o altro, che avrebbe scosso e interrotto la loro frenetica quotidianità. Tutto  sommato la cosa aveva ben poca importanza, si sarebbero dovute rassegnare, e comunque  non avevo volutamente dato spiegazioni proprio per essere lasciato in pace, non ne volevo sapere di quell’affetto preoccupato e apprensivo, tipico di quei genitori vampiri che, se potessero riuscire a respirare al posto tuo, sicuramente sarebbero all’apice della felicità.
Volevo capire se ero diventato una ruota impazzita, incapace di fermarsi, se un uomo poteva ancora essere tale senza dover accettare situazioni ipocrite, che accontentano tutti con il falso sorriso sulle labbra, con la convinzione di essere nel giusto perchè quella è la regola, perchè  così ti hanno costruito, se vuoi cambiare sei matto.    
Il treno continuava a correre, avevamo già passato la pedemontana, cominciavano le prime gallerie, e, con esse, anche i ricordi che mi evocavano queste cime; pensare a ieri quando, bambino venivo quassù proprio con mia madre e il consueto stuolo di parenti in settembre, il mese più bello per godersi la montagna, le passeggiate, l’andare per funghi nelle malghe, io curioso di tutto, tagliare il fieno con la falce più grande di me, la gerla che trascinavo per terra con fatica ma orgoglioso e provare pure a mungere le mucche e a berne subito il latte ancora  caldo del loro corpo.

Ero arrivato a Calalzo che erano le undici passate e come previsto dovetti aspettare la corriera per S. Stefano che arrivò dopo quasi un ora, nell’attesa avevo mangiato qualcosa di rapido in un bar nel piazzale della stazione, sapevo che ci sarebbero volute ancora alcune ore per arrivare alla destinazione finale che mi ero riproposto.
Raggiunsi Costalissoio che ormai era buio, eravamo alla fine di novembre e le giornate erano  sempre più corte, sapevo che quassù non avrei trovato alberghi, ma ero sicuro, se le cose non erano cambiate, di trovare qualcuno disposto ad affittarmi una camera e a darmi qualcosa da  mangiare un paio di volte al giorno, non ero uno di grandi pretese e mi sapevo accontentare.
Già quel silenzio irreale, interrotto dalle grida acute dei corvi, stava cambiando il mio umore, mi infondeva tranquillità; quella sera andai a letto di buon ora e dormii parecchio, ne avevo bisogno. Mi svegliai presto, non mi ricordavo neanche dov’ero, fu il cellulare che mi riportò alla realtà, era mia sorella ma non le risposi, anzi spensi l’apparecchio, spalancai le imposte e rimasi a bocca aperta ad ammirare lo spettacolo che si presentava davanti ai miei occhi, c’era una leggera foschia che ricopriva la valle e tutto era ricoperto di neve caduta durante la notte.
Mi vestii per bene, faceva un freddo siberiano anche se la “Tina” aveva messo dei piccoli bracieri sparsi intorno al letto, l’avevo sentita quando era entrata silenziosamente nella stanza e io, per non imbarazzarla, avevo fatto finta di dormire. Sceso in cucina trovai del caffé nero bollente con del latte a parte:
“Non sapevo come preferiva la colazione, così ho pensato di fare tutte e due le cose e lasciare che si arrangiasse lei.”
“Grazie ma non si disturbi troppo con me, vedrà che saprò adattarmi alle vostre usanze.”
La stufa a legna diffondeva un rassicurante calore e mentre mangiavo il pane con il caffelatte, la guardavo affascinato impastare con mani abili e sicure i “canederli” che sarebbero stati serviti sicuramente a pranzo.
“Dovrà accontentarsi di mangiarli con il sugo di salsiccia anche perchè non ho fatto in tempo a preparare il brodo -disse un pò contrariata, si vedeva che voleva fare bella figura – e, comunque, mi fa piacere che si fermi qui dà me qualche giorno, così almeno ho la possibilità di fare due chiacchiere con qualcuno, mio nipote è in trasferta per lavoro in Sicilia, ed è l’unico parente che mi è rimasto, poi sono sola.”
Mi faceva sorridere quel suo cadenzare l’italiano come fosse quasi una straniera, ma era tipico di queste valli, se si fosse messa a parlare in ladino, loro lingua ufficiale, sarebbe stato sicuramente peggio.
Uscii e mi incamminai verso la piazza, salutando le persone che incrociavo e mi fermai al bar tanto da prendere un po’ di dimestichezza con la gente del posto, notai la gentile diffidenza da  parte di chi vedeva in me un estraneo venuto a turbare la loro tranquillità, mi informarono che, televisione a parte, quassù giornali non ne arrivavano se non su ordinazione e venivano recapitati dalla corriera al mattino presto; era proprio quello che volevo, d’altronde il paese era rimasto quello di prima: il forno che faceva il pane anche per tutte le case sparse sul dorsale, con incorporato negozio di alimentari, cartoleria, tabacchi, bar.


2°  Continua ---- 17 Marzo 2012   


Tratto da "Gocce di emozioni 1" Racconti di Francesco Danieletto


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giovedì 22 marzo 2012



                   Oggi è la giornata mondiale della poesia, voglio scrivere su questo blog, alcune poesie che mi sono particolarmente care affinché tutti possano apprezzare il valore, non mio personale ma dei versi o dei pensieri che dovrebbero far parte, sempre, del bagaglio culturale di ogni persona.



Prigione

Sei un insetto che corre libero dentro la mia prigione, che divora la mia carne in una notte d’estate, non cercherò di afferrarti, mi accontento del colore dei tuoi occhi, grigi come le pareti. Guardandoti mi sento libero, anche se mi resta l’angoscia di essere inerme ai tuoi piedi.


Fiume

Il fiume più bello è quello che abbiamo sognato assieme, ci ha accompagnato per giorni, ha trasportato i nostri sogni, ha fatto crescere il nostro desiderio, fino alla foce, dove siamo annegati felici nel piacere. E’ stato bello quel giorno anche se non te l’ho mai detto: perdonami.


Follia

Voglio cercare in te la follia di chi esce in mare aperto, la ricerca di avventura, l’audacia di essere soli. Amo il tuo desiderio di cose lontane, l’impossibile da ottenere subito; mi hai visto affamato, sudato, sono entrato nel tuo bosco con la passione di chi cerca la preda. Ma non c’era disperazione nei miei occhi, solo lucida follia: credimi!

 

 


Sogno

Ti ho sognato una notte, correvi sopra gli alberi, la luna ti guardava con rimprovero; saltavi di ramo in ramo, giocando con le nuvole. Chiudevo gli occhi e ti fermavi, ti guardavo e mi sorridevi, poi sei caduta tra le mie braccia e qualcuno ha spento la luce, poi non ricordo più nulla e mi sembra strano che sia tutto finito.

 


Banchetto

Il vento se n’è andato in silenzio, non agita più le imposte della tua camera, si è mosso una sola volta, lo sai bene; i pettirossi tornano a cantare sull’albero ma non vogliono volare, lasciano a me l’ingrato compito. Ho bisogno di spiarti, di aprire quella porta chiusa, di cantare la tua bellezza, so che nulla è impossibile; ho avanzato del cibo, ti aspetto in silenzio, il banchetto non può finire adesso.


Nella mia anima

Amore ti prego, chiudi gli occhi e immergiti  nella mia anima, come fosse un sogno, lascia a me il compito di accarezzarti, di baciare le tue labbra, di farti volare tra le nuvole, il vento ci trasporterà verso l’ignoto, nelle profondità del piacere, lontani dal mondo.


Checcuswriter 21 Marzo2012


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martedì 20 marzo 2012

Il cuore che ride

QUESTA NOTTE IL SILENZIO



Questa notte
raccogli il silenzio,
adagialo sopra
una nuvola,
affidalo al vento.
Racconterà mondi
sconosciuti,
l’eco di voci lontane.
Sognerai il fruscio
di una foglia,
il battere d’ali
di un passero
affamato, mille suoni
mai ascoltati,
solo immaginati.
Imparerai a cantare
le stelle con voce
sommessa,
a dire dolcemente
ti amo, alla tua donna,
con pochi gesti
e sguardi accesi.
Lascerai che la vita
si riprenda se stessa,
dimenticando la morte
che troppe lacrime
e pianti provoca
in chi la subisce.
Aspetterai l’alba,
il sole rosso acceso
sull’orizzonte,
i nuovi rumori
di un mondo che
ormai non ti appartiene.

CHECCUSWRITER

CALICI VUOTI




Ingenui i tuoi occhi,
osservi il mondo
priva di parole.
Suoni sottili escono
dal tuo corpo,
si stendono come l’edera
sui muri delle case,
popolano la solitudine che
ha occupato il tempo.
Acini d’uva,
come fili di perle
cingono il collo, la mente,
vogliono ascoltare
la tua voce,
cacciano l’angoscia
trasportata dal vento,
trasformano nere
nuvole in sogni,
riempiono d’ebbrezza
calici vuoti.
Brindi a te stessa,
alla morte,
alla resurrezione,
alla vita.
Ingenui i tuoi occhi,
osservano le stelle,
le sentono respirare.


CHECCUSWRITER

lunedì 19 marzo 2012

TAV LETTERE ALLA NUOVA VENEZIA


TAV

La devastazione di un territorio non fa mai piacere a nessuno, soprattutto se è imposta dall’alto e se, chi, in quel territorio, ci deve vivere. Sto parlando della TAV, che tanto fa discutere la Val di Susa, il Piemonte e l’Italia intera. La cosa, vista da 600 Km. di distanza può anche sembrare incomprensibile, visto che si parla di una linea ferroviaria, mezzo di comunicazione, nei cui confronti, anni addietro si spingeva molto, contestando al contrario, la massiccia costruzione di autostrade, tangenziali e superstrade, rigorosamente a pagamento, cosa che succede tutt’ora, del resto. Non entro quindi nel merito, caso mai sono perplesso nel leggere che c’è pure un comitato no TAV della Calabria, con tutti i problemi idrogeologici e le frane che hanno… sicuramente un eccesso di solidarietà. La cosa che, magari da fastidio, è la strumentalizzazione che ne viene fatta, a man bassa , dai cosiddetti, No Global, Black-Block , ragazzi che sono diventati dei professionisti della guerriglia e che danneggiano la popolazione, quella che protesta civilmente perché lì ci deve vivere. I politici naturalmente si sono gettati a corpo morto nell’argomento, ormai siamo alla caduta degli “Dei”, chiamiamoli ancora così, visto che sparano contro il progetto, dimenticando quanto detto e fatto anni prima. Ma, voglio tornare a noi Veneti e in particolare al nostro territorio. Se per una ferrovia è successo tutto questo finimondo, qui da noi cosa succederà, con tutto quello che ci è stato “imposto” dall’alto, ossia Mose in via di ultimazione, fra qualche decina d’anni; prossima sub-lagunare, in modo che i turisti anziché una giornata intera si fermino a Venezia solo qualche ora, raddoppiando il flusso; camionabile e Romea commerciale, in dirittura d’arrivo e, ciliegina sulla torta quella grandissima speculazione immobiliare a nome Veneto City, buona solo a distruggere la “Riviera del Brenta. Andremo a la guere, comme a la guere? Un mio amico, tempo addietro ha scritto un sonetto ironico su quest’ultima opera, “Veneto… siti”, che è lo stile con cui ci distinguiamo ormai da anni per accettare tutto quello che i politici si sognano di notte, per realizzare poi il giorno dopo e con una celerità da record oltre tutto.   A proposito, un’ultim’ora ci informa che l’attuale Premier vorrebbe procedere, d’ora in poi e, prima dell’esecuzione delle grandi opere, come si usa in Francia, ovvero un “Debat pubblic”, una consultazione preventiva della popolazione che, in quei posti ci deve vivere. Mi sembra giusto, se non altro per evitare di arrivare a atti estremi come quelli che si vedono in questi giorni. E se fossimo proprio noi veneti a inaugurare queste nuove iniziative? Abbiamo già raccolto 11.000 firme in Riviera, snobbate dai sindaci favorevoli all’opera. Adesso s’intravede la possibilità di fare, non un referendum ma una consultazione preventiva degli abitanti, fatta in modo serio e responsabile, per far valere le ragioni di una cittadinanza, ormai quasi rassegnata, ai potenti di turno che, come al solito, fanno il bello e cattivo tempo sopra le loro teste. Fino adesso i “costruttori” ci hanno detto di aver fatto le cose in regola, facciamole fino in fondo, vediamo cosa succede. Oppure preferiscono le barricate come sta succedendo in Piemonte?

CHECCUSWRITER PUBBLICATA SULLA NUOVA VENEZIA

Marzo 2012  

sabato 17 marzo 2012

FUGA TRA CONFUSIONE E REALTA' - seconda parte

Seconda parte

Il treno continuava a correre, avevamo già passato la pedemontana, cominciavano le prime gallerie, e, con esse, anche i ricordi che mi evocavano queste cime; pensare a ieri quando, bambino venivo quassù proprio con mia madre e il consueto stuolo di parenti in settembre, il mese più bello per godersi la montagna, le passeggiate, l’andare per funghi nelle malghe, io curioso di tutto, tagliare il fieno con la falce più grande di me, la gerla che trascinavo per terra con fatica ma orgoglioso e provare pure a mungere le mucche e a berne subito il latte ancora  caldo del loro corpo.
Ero arrivato a Calalzo che erano le undici passate e come previsto dovetti aspettare la corriera per S. Stefano che arrivò dopo quasi un ora, nell’attesa avevo mangiato qualcosa di rapido in un bar nel piazzale della stazione, sapevo che ci sarebbero volute ancora alcune ore per arrivare alla destinazione finale che mi ero riproposto.
Raggiunsi Costalissoio che ormai era buio, eravamo alla fine di novembre e le giornate erano  sempre più corte, sapevo che quassù non avrei trovato alberghi, ma ero sicuro, se le cose non erano cambiate, di trovare qualcuno disposto ad affittarmi una camera e a darmi qualcosa da  mangiare un paio di volte al giorno, non ero uno di grandi pretese e mi sapevo accontentare.
Già quel silenzio irreale, interrotto dalle grida acute dei corvi, stava cambiando il mio umore, mi infondeva tranquillità; quella sera andai a letto di buon ora e dormii parecchio, ne avevo bisogno. Mi svegliai presto, non mi ricordavo neanche dov’ero, fu il cellulare che mi riportò alla realtà, era mia sorella ma non le risposi, anzi spensi l’apparecchio, spalancai le imposte e rimasi a bocca aperta ad ammirare lo spettacolo che si presentava davanti ai miei occhi, c’era una leggera foschia che ricopriva la valle e tutto era ricoperto di neve caduta durante la notte.
Mi vestii per bene, faceva un freddo siberiano anche se la “Tina” aveva messo dei piccoli bracieri sparsi intorno al letto, l’avevo sentita quando era entrata silenziosamente nella stanza e io, per non imbarazzarla, avevo fatto finta di dormire. Sceso in cucina trovai del caffé nero bollente con del latte a parte:
“Non sapevo come preferiva la colazione, così ho pensato di fare tutte e due le cose e lasciare che si arrangiasse lei.”
“Grazie ma non si disturbi troppo con me, vedrà che saprò adattarmi alle vostre usanze.”
La stufa a legna diffondeva un rassicurante calore e mentre mangiavo il pane con il caffelatte, la guardavo affascinato impastare con mani abili e sicure i “canederli” che sarebbero stati serviti sicuramente a pranzo.
“Dovrà accontentarsi di mangiarli con il sugo di salsiccia anche perchè non ho fatto in tempo a preparare il brodo -disse un pò contrariata, si vedeva che voleva fare bella figura – e, comunque, mi fa piacere che si fermi qui dà me qualche giorno, così almeno ho la possibilità di fare due chiacchiere con qualcuno, mio nipote è in trasferta per lavoro in Sicilia, ed è l’unico parente che mi è rimasto, poi sono sola.”
Mi faceva sorridere quel suo cadenzare l’italiano come fosse quasi una straniera, ma era tipico di queste valli, se si fosse messa a parlare in ladino, loro lingua ufficiale, sarebbe stato sicuramente peggio.
Uscii e mi incamminai verso la piazza, salutando le persone che incrociavo e mi fermai al bar tanto da prendere un po’ di dimestichezza con la gente del posto, notai la gentile diffidenza da  parte di chi vedeva in me un estraneo venuto a turbare la loro tranquillità, mi informarono che, televisione a parte, quassù giornali non ne arrivavano se non su ordinazione e venivano recapitati dalla corriera al mattino presto; era proprio quello che volevo, d’altronde il paese era rimasto quello di prima: il forno che faceva il pane anche per tutte le case sparse sul dorsale, con incorporato negozio di alimentari, cartoleria, tabacchi, bar.


2°  Continua ---- 17 Marzo 2012   


Tratto da "Gocce di emozioni 1" Racconti di Francesco Danieletto


Copyright 2009









Era una giornata normalissima quando Roberto scomparve, e il fatto più insolito della sua scomparsa fu che nessuno la notò, nemmeno sua madre. Ma andiamo con ordine.”

“FUGA TRA CONFUSIONE E REALTA”
parte prima

Avevo deciso di andarmene, ci avevo pensato sopra tutta la notte, non ne potevo più di questa situazione; c’erano giorni in cui mi sembrava di scoppiare dalla rabbia per l’incapacità di gestire il solito menù quotidiano, mi sentivo come prigioniero di un guscio; che fossi dentro o fuori casa era lo stesso, l’impotenza di non poter fare niente altro che le solite monotone cose, mi creava  una profonda frustrazione che faticavo a scacciare, tanto che gli amici e i collaboratori di lavoro mi guardavano preoccupati, erano arrivati perfino a contattare mia madre e mia sorella, volevano capire cosa avessi e, se possibile, cercare di aiutarmi. Quale che fosse il mio male sicuramente non era curabile, da nessun dottore, l’unica cosa di cui sentivo il bisogno era di rimanere solo, senza rinchiudermi nella mia stanza naturalmente, dove chiunque poteva entrare a suo piacimento.  
Erano le cinque del mattino e alla chetichella scivolai fuori dalla finestra della mia camera, sicuro che in quel modo nessuno si sarebbe accorto di nulla, nè mia sorella, nè tanto meno mia madre, e, naturalmente, speravo il più tardi possibile.
Camminavo con passo spedito, guardandomi attorno e sperando vivamente di non incontrare qualche conoscente, al quale non avevo certo voglia di dare spiegazioni; avrei potuto prendere l’autobus per Venezia, ma sarebbe stato pieno di lavoratori della zona industriale e io mi sarei ritrovato come una mosca bianca in mezzo a loro. Qualche chilometro a piedi e arrivavo al paese successivo, lì c’era più abbondanza di autobus e avrei deciso cosa fare e che direzione prendere, in lontananza si vedevano il fumo e le fiamme delle ciminiere del petrolchimico di Marghera: l’odiata Marghera, quella che ti fa vomitare ma che ti permette di vivere, quella che sta facendo esplodere le mille contraddizioni di questa società, che ti pone di fronte alla realtà, che ti mette con le spalle al muro: devi scegliere, senza mezzi termini, in maniera assoluta, senza se e senza ma; ci sono momenti nella vita in cui ci facciamo mille domande, mille perché e il castello di finzioni e di bugie dette a noi stessi crolla miseramente: era quello che mi stava succedendo.
Ero quasi arrivato e mi fermai per qualche istante, i miei polmoni erano in deficit di ossigeno, decisamente non ero più abituato a camminate di questo genere, anche se mi aveva fatto bene, a volte la stanchezza aiuta a rilassarti; alle otto ero davanti alla biglietteria della stazione di Mestre, dove acquistai un biglietto di sola andata e salii sul treno diretto a Calalzo, poi da lì in corriera sarei arrivato a S. Stefano di Cadore, anche se la mia meta era ancora più in alto: Costalissoio, piccola frazione di poche anime che dominava la vallata; i posti li conoscevo alla perfezione perché, da piccolo, venivo sempre con mia madre a passare le vacanze estive.
Riflettevo su quanto stavo facendo, pensavo a mia madre e a mia sorella, chissà se si erano accorte della mia scomparsa, o se avevano pensato a una delle mie solite assenze, senza preoccuparsi minimamente, prese com’erano dalle loro pressanti occupazioni quotidiane, sicuramente all’ora di cena si sarebbero rese conto che non c’ero più, ero sparito, mi sarebbe piaciuto vedere le loro facce, chissà che reazione: rabbia, sgomento, delusione per non essere riuscite a capire i motivi del mio gesto, apprensione per un mio eventuale incidente, disgrazia o altro, che avrebbe scosso e interrotto la loro frenetica quotidianità. Tutto  sommato la cosa aveva ben poca importanza, si sarebbero dovute rassegnare, e comunque  non avevo volutamente dato spiegazioni proprio per essere lasciato in pace, non ne volevo sapere di quell’affetto preoccupato e apprensivo, tipico di quei genitori vampiri che, se potessero riuscire a respirare al posto tuo, sicuramente sarebbero all’apice della felicità.
Volevo capire se ero diventato una ruota impazzita, incapace di fermarsi, se un uomo poteva ancora essere tale senza dover accettare situazioni ipocrite, che accontentano tutti con il falso sorriso sulle labbra, con la convinzione di essere nel giusto perchè quella è la regola, perchè  così ti hanno costruito, se vuoi cambiare sei matto.    


1°  Continua ---- 10 Marzo 2012   


Tratto da "Gocce di emozioni 1" Racconti di Francesco Danieletto


Copyright 2009

sabato 10 marzo 2012

"FUGA TRA CONFUSIONE E REALTA' " - prima parte


Era una giornata normalissima quando Roberto scomparve, e il fatto più insolito della sua scomparsa fu che nessuno la notò, nemmeno sua madre. Ma andiamo con ordine.”


“FUGA TRA CONFUSIONE E REALTA”



Avevo deciso di andarmene, ci avevo pensato sopra tutta la notte, non ne potevo più di questa situazione; c’erano giorni in cui mi sembrava di scoppiare dalla rabbia per l’incapacità di gestire il solito menù quotidiano, mi sentivo come prigioniero di un guscio; che fossi dentro o fuori casa era lo stesso, l’impotenza di non poter fare niente altro che le solite monotone cose, mi creava  una profonda frustrazione che faticavo a scacciare, tanto che gli amici e i collaboratori di lavoro mi guardavano preoccupati, erano arrivati perfino a contattare mia madre e mia sorella, volevano capire cosa avessi e, se possibile, cercare di aiutarmi. Quale che fosse il mio male sicuramente non era curabile, da nessun dottore, l’unica cosa di cui sentivo il bisogno era di rimanere solo, senza rinchiudermi nella mia stanza naturalmente, dove chiunque poteva entrare a suo piacimento.  
Erano le cinque del mattino e alla chetichella scivolai fuori dalla finestra della mia camera, sicuro che in quel modo nessuno si sarebbe accorto di nulla, nè mia sorella, nè tanto meno mia madre, e, naturalmente, speravo il più tardi possibile.
Camminavo con passo spedito, guardandomi attorno e sperando vivamente di non incontrare qualche conoscente, al quale non avevo certo voglia di dare spiegazioni; avrei potuto prendere l’autobus per Venezia, ma sarebbe stato pieno di lavoratori della zona industriale e io mi sarei ritrovato come una mosca bianca in mezzo a loro. Qualche chilometro a piedi e arrivavo al paese successivo, lì c’era più abbondanza di autobus e avrei deciso cosa fare e che direzione prendere, in lontananza si vedevano il fumo e le fiamme delle ciminiere del petrolchimico di Marghera: l’odiata Marghera, quella che ti fa vomitare ma che ti permette di vivere, quella che sta facendo esplodere le mille contraddizioni di questa società, che ti pone di fronte alla realtà, che ti mette con le spalle al muro: devi scegliere, senza mezzi termini, in maniera assoluta, senza se e senza ma; ci sono momenti nella vita in cui ci facciamo mille domande, mille perché e il castello di finzioni e di bugie dette a noi stessi crolla miseramente: era quello che mi stava succedendo.
Ero quasi arrivato e mi fermai per qualche istante, i miei polmoni erano in deficit di ossigeno, decisamente non ero più abituato a camminate di questo genere, anche se mi aveva fatto bene, a volte la stanchezza aiuta a rilassarti; alle otto ero davanti alla biglietteria della stazione di Mestre, dove acquistai un biglietto di sola andata e salii sul treno diretto a Calalzo, poi da lì in corriera sarei arrivato a S. Stefano di Cadore, anche se la mia meta era ancora più in alto: Costalissoio, piccola frazione di poche anime che dominava la vallata; i posti li conoscevo alla perfezione perché, da piccolo, venivo sempre con mia madre a passare le vacanze estive.
Riflettevo su quanto stavo facendo, pensavo a mia madre e a mia sorella, chissà se si erano accorte della mia scomparsa, o se avevano pensato a una delle mie solite assenze, senza preoccuparsi minimamente, prese com’erano dalle loro pressanti occupazioni quotidiane, sicuramente all’ora di cena si sarebbero rese conto che non c’ero più, ero sparito, mi sarebbe piaciuto vedere le loro facce, chissà che reazione: rabbia, sgomento, delusione per non essere riuscite a capire i motivi del mio gesto, apprensione per un mio eventuale incidente, disgrazia o altro, che avrebbe scosso e interrotto la loro frenetica quotidianità. Tutto  sommato la cosa aveva ben poca importanza, si sarebbero dovute rassegnare, e comunque  non avevo volutamente dato spiegazioni proprio per essere lasciato in pace, non ne volevo sapere di quell’affetto preoccupato e apprensivo, tipico di quei genitori vampiri che, se potessero riuscire a respirare al posto tuo, sicuramente sarebbero all’apice della felicità.
Volevo capire se ero diventato una ruota impazzita, incapace di fermarsi, se un uomo poteva ancora essere tale senza dover accettare situazioni ipocrite, che accontentano tutti con il falso sorriso sulle labbra, con la convinzione di essere nel giusto perchè quella è la regola, perchè  così ti hanno costruito, se vuoi cambiare sei matto.    


1°  Continua ---- 10 Marzo 2012   


Tratto da "Gocce di emozioni 1" Racconti di Francesco Danieletto


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