martedì 4 dicembre 2018

Salvini prende tutti i meriti...


Battezzati tre nuovi avversari: Boccia, Spataro e Avvenire

A meno di 4 giorni dalla manifestazione di sabato Salvini ridisegna la mappa dei nemici, alzando il tiro su un livello quasi istituzionale




Il salto di qualità non è casuale, a meno di quattro giorni da sabato, grande giorno della consacrazione della Lega come forza nazionale, in piazza del Popolo, che, per la prima volta, sarà piena di tricolori. Salvini ridisegna la mappa dei nemici, li allarga portando il conflitto ben oltre il cliché più classici del suo repertorio, come Saviano, la sinistra buonista, i centri sociali. Lo porta su un terreno quasi istituzionale, con l'arroganza di chi si sente l'unico depositario dei voleri del popolo, contro le elite, della magistratura, degli industriali, e pure del mondo dei vescovi. I bersagli sono Spataro, Vincenzo Boccia, Avvenire.
Linguaggio sbrigativo, al solito rude, nell'ambito di una calcolata incontinenza dichiaratoria, twitter, facebook, presentazione del libro di Vespa, rituale del potere che celebra se stesso da più lustri, tv. E non è un caso. Perché per capire l'oggi bisogna comprendere ciò che è accaduto ieri, la protesta partito del Pil, i ceti produttivi del Nord che hanno criticato la manovra, o meglio hanno espresso un grido di dolore verso la violazione del "contratto", quello stipulato in campagna elettorale col popolo dei produttori del Nord. E che ora vede disattesi gli impegni presi: non c'è la flat tax, ma c'è il reddito di cittadinanza, non c'è l'abbassamento delle tasse, ma una valanga di spesa corrente, non c'è lo sbocco dei fondi sulle grandi opere ma l'incertezza della Tav.
È una protesta che i governatori del Nord toccano con mano quotidianamente e che pone l'interrogativo su "quanto si può andare avanti così". È chiaro il tentativo di Salvini, nel day after, di coprire il male del nord e "spostare il tiro", secondo il più classico schema populista, per cui Vincenzo Boccia diventa uno che parla perché mosso da un pregiudizio politico, espressione di un establishment confindustriale refrattario al cambiamento, lasciando intendere che il popolo produttivo è altra cosa rispetto alle elite e quel popolo non lo segue. Una mossa, tutta politica, che a stento nasconde la cruda realtà. Perché a Torino lunedì non c'era la Casta confindustriale, ma proprio il popolo degli artigiani, commercianti, il nord che lavora e che produce, da lustri cuore pulsante della Lega al Nord: Confapi, Confartigianato, Confagricoltura, Confesercenti. È lo stesso popolo che il 13 manifesterà nel Nord-Est per esprimere lo stesso disagio. Ed è chiaro che nella polemica con Spataro c'è tutto il senso dell'operazione politica di giornata (e non solo): caricare sui cavalli di battaglia su cui sono sensibili gli elettori, come la sicurezza, rivendicando, anche a operazioni in corso, arresti, blitz, lotta senza quartiere al crimine, con l'ostentazione di chi ha trasformato il Viminale nella centrale operativa della propaganda securitaria, con gli arresti che diventano tweet in tempo reale o prima che accadano. Chi non è d'accordo, "si ritiri" e vada in pensione, "pensi prima di aprire la bocca", "se vuole candidarsi, faccia pure".
Ecco: Boccia che fa attacchi mosso dal pregiudizio politico, Spataro anche, Avvenire "parte politicizzata della gerarchia italiana". C'è tutta la narrazione populista in questa nuova lista di nemici e il tentativo di occupare la scena come unico interprete dalla volontà popolare. Soprattutto in un momento un cui, dopo che i dati del Pil hanno smontato la manovra, il leader della Lega è costretto a mordersi la lingua sui temi dell'economia. Per cui non può più dire che "lo spread me lo mangio a colazione", "Junker è un ubriacone", "lo spread è a 400? Noi tiriamo dritti". In questo nuovo schema di gioco (leggi qui blog Lucia Annunziata), la trattativa più garbata è affidata a Conte, il re travicello incensato per l'occasione come un leader, tra una foto i camicia bianca e un calcio al pallone in Argentina. Mentre i due leader, Salvini e Di Maio, sono ritornati sul territorio aprendo di fatto una lunga campagna elettorale.
Parliamoci chiaro. In questo momento ci sono due Leghe che convivono. Quella dei governatori che continua a viversi, innanzitutto, come un sindacato di territorio e la Lega nazionale di Salvini, la famosa "Lega dei popoli". Al netto della tattica, c'è anche una convinzione profonda di Salvini. E cioè che il "popolo" è più ampio della base tradizionale e il popolo è fatto anche da quei "tre milioni" di "disoccupati" e "inoccupati", come ha ricordato nel corso della presentazione del libro di Vespa, a cui si parla anche difendendo il reddito di cittadinanza perché "non è vero che favorisce il lavoro nero". O da quelle periferie che si nutrono della protesta contro l'establishment. L'insistenza con cui il leader della Lega ha difeso il governo che "andrà avanti per anni e per decenni" e anche le sventure personali di Di Maio, la dice lunga della manovra in atto che sarà celebrata sabato a piazza del popolo. Finora Salvini è riuscito a far convivere le due Leghe, su misure a costo zero e con la sua leadership carismatica che ha influenzato l'agenda di governo.
Ora però, per la prima volta, la protesta si è manifestata, non è rimasta circoscritta alle telefonate dei governatori del Nord. Il principio di realtà è sceso in piazza ed è entrato in casa. Come sempre, quando uno alza il tiro per spostare l'attenzione, è in difficoltà.