lunedì 24 giugno 2019

lucrezia borgia







L’intervista impossibile di Lia Celi a Lucrezia Borgia a 500 anni dalla sua morte

Gli amori, i rapporti con le corti europee, i pregiudizi, i gossip. La Lady D del Rinascimento torna a far parlare di sé a 500 anni dalla morte.

  • Lia Celi

24 Giugno 2019 15.41



Nel fiammeggiante tramonto del 24 giugno 1519 si spegneva a Ferrara la donna più chiacchierata del Rinascimento italiano, Lucrezia Borgia. Sfinita dall’ultima gravidanza, consumata dai digiuni e dalle penitenze, era la pallida ombra della fulgida e inquietante bellezza che aveva fatto scorrere fiumi di sangue e d’inchiostro. O era solo l’altra metà di un mito? Nessuno può risponderci meglio di lei, Lucrezia. E lo fa in questa intervista esclusiva.

image: https://www.lettera43.it/wp-content/uploads/2019/06/LUCREZIA-BORGIA-BIOGRAGIA-INTERVISTA-1024x690.jpg

Un ritratto di Lucrezia Borgia alla National Gallery of Victoria a Londra.

DOMANDA. Madonna Lucrezia, iniziamo dal più vieto cliché: se lei mi offrisse un drink, farei meglio a rifiutare?
RISPOSTA. Dipende dalla sua autostima, mia cara amica. Se lei si crede abbastanza ricca, potente e influente da supporre che i Borgia vogliano toglierla di mezzo, si astenga pure. Ma a quanto mi consta, lei non ha cappelli cardinalizi che possano farci gola o credenziali per la successione a un trono, e non ha fatto sgarbi a mio fratello Cesare. Quindi, con quel che costa l’arsenico, non vale la pena di sprecarlo.

In tutte le corti il veleno era come la guerra, il proseguimento della lotta politica con altri mezzi. Anzi, bisogna dire che la mia famiglia se n’è servita con una certa moderazione, rispetto ad altri

Quindi non smentisce il gossip più sinistro sulla sua famiglia, il vizietto dei veleni?
Era un vizietto di tutti i potenti del mio tempo. A tutte le latitudini. Fra Quattro e Cinquecento sono morti avvelenati il re azteco Tizoc e re Eric XIV di Svezia, il patriarca armeno Jacob di Sis e il piccolo re di Birmania Minhlange, così come Takamoto Mori, daimyo della provincia giapponese di Aki e Dimitri principe di Mosca. E, mi creda, nessuno di loro frequentava i Borgia. In tutte le corti, nel Vecchio come nel Nuovo continente, il veleno era come la guerra, il proseguimento della lotta politica con altri mezzi. Anzi, bisogna dire che la mia famiglia se n’è servita con una certa moderazione, rispetto ad altri. Di morti sospette di cardinali ce ne sono state di più sotto il pontificato di Giulio II che durante quello di mio padre, Alessandro VI.

Vabbè, ma per quanto riguarda gli altri peccati capitali, voi Borgia rimanete imbattibili.
Altro mito da sfatare. Innocenzo VIII generò più bastardi di papa Borgia. Leone X Medici fu goloso e lussurioso quanto lui, e se non mise al mondo figli fu solo perché a letto preferiva i maschietti. E quanto a ira, avarizia, superbia e invidia, Giulio II della Rovere è in cima al podio. Lo sa che nessuno voleva baciargli la pantofola perché il lezzo dei suoi alluci corrosi dalla sifilide era insostenibile? E certo il mal francese non l’aveva preso in un confessionale.

Sta’ a vedere che eravate stinchi di santi…
Eppure un santo in famiglia ce l’abbiamo: il nipote del mio povero fratello Juan, Francisco Borgia, che fu il braccio destro di Ignazio di Loyola. E non faccio per dire, ma anche alla mia morte, esattamente 500 anni fa, il 24 giugno 1519, il popolo di Ferrara gridava «santa subito».

Tutte le donne “scomode”, sopra le righe, sono state chiamate, anzi, sono ancora chiamate puttane, quindi non mi lamento, è il prezzo di una vita eccezionale

E invece che santa subito, lei è considerata puttana dopo cinque secoli. Scusi il termine…
Si figuri, ci sono abituata. Di me si disse addirittura che «portavo il gonfalone delle puttane di Roma». Ironia della sorte, mia madre Vannozza Cattanei, che forse in gioventù il mestiere l’aveva esercitato davvero, lasciò tutto il suo considerevole patrimonio alla Confraternita del Gonfalone, che le diede una sepoltura degna di un alto prelato. Del resto era stata la quasi-moglie di un papa. Ma tutte le donne “scomode”, sopra le righe, sono state chiamate, anzi, sono ancora chiamate puttane, quindi non mi lamento, è il prezzo di una vita eccezionale. Mi pesa di più la nomea di incestuosa.

Figlia, «moglie e nuora di papa», questo si diceva di lei, insinuando che avesse rapporti non solo con suo padre, ma anche con i suoi fratelli, in particolare con Cesare.
E sa chi ha messo in giro la voce? Il mio primo marito, Giovanni Sforza. Un vitellone pesarese, parente povero di Ludovico il Moro, che mi ha sposata quando avevo 13 anni ed ero piatta come una tavola da surf. Siccome aveva tanti difetti ma non era un pedofilo, non era riuscito a deflorarmi subito. Nel frattempo gli equilibri politici in Italia erano cambiati e a mio padre faceva più comodo un genero Aragona. Così, per rivendermi agli spagnoli come usato a km zero, ha annullato il matrimonio obbligando lo Sforzino a dichiarare che era sempre stato impotente e io ero ancora vergine. Difficile opporsi, con mio fratello Cesare che gli faceva “zac” sulla gola con l’indice. Ma poi Giovanni si è vendicato facendo diffondere dagli ambasciatori veneziani, che all’epoca erano un mix fra Dagospia e Wikileaks, la diceria che il papa l’aveva tolto di mezzo solo per solo assicurare ai maschi della famiglia libero accesso al mio letto. Tipico revenge porn da ex rancoroso…

Ma se tutti ci hanno creduto, qualche ragione ci sarà.
Certo. Noi Borgia eravamo davvero una famiglia speciale. Belli, intelligenti, legatissimi, specie io, papà e Cesare. Ma per gli italiani avevamo un grosso difetto: eravamo stranieri. La nostra famiglia veniva da Valencia, ci chiamavamo Borja ed eravamo i più ricchi fazenderos della regione, finché il mio prozio decise di venire a fare fortuna a Roma. In meno di due generazioni siamo diventati i padroni di mezza penisola, ma non ci siamo mai completamente integrati. Fra noi parlavamo valenciano e il nostro entourage era fatto di spagnoli. Questo ci ha reso malvisti in Italia, mentre nel resto d’Europa ci ha danneggiato l’essere considerati italiani al 100%. Ergo, crudeli, infidi e senza scrupoli. Il tipo di cattolici che i protestanti amano odiare.

Sono stata una Lady D con l’intraprendenza di Evita Peron. Non sa quanti ospizi e orfanotrofi ho fondato, quante volte ho visitato i poveri portando conforto e provviste…

Ma anche raccontare. Non si contano le opere di cui siete stati protagonisti, dai drammi elisabettiani alle opere liriche, dai feuilleton alle serie tivù, passando per manga e fumetti scollacciati…
Dove io appaio sempre come una dark lady sadica e insaziabile. Io, che ho salvato la vita al mio primo marito, sono quasi impazzita di dolore quando il secondo venne assassinato, e ho conquistato il terzo con la mia dolcezza e il mio buonsenso. E sì che Alfonso d’Este mi aveva sposata quasi con la pistola alla tempia, perché aveva un disperato bisogno dei soldi della mia dote. E invece poi è stato il più appassionato dei mariti, non mi ha mai lasciata sola una notte, se non quando era impegnato in guerra: risultato, sette figli. Sono stata la sua collaboratrice più preziosa, la sua carta vincente contro il malcontento del popolo: una Lady D con l’intraprendenza di Evita Peron. Non sa quanti ospizi e orfanotrofi ho fondato, quante volte ho visitato i poveri portando conforto e provviste…

Ma poi, tornando a casa, trovava sulla scrivania una lettera d’amore di Pietro Bembo, o di suo cognato Francesco Gonzaga, sposatissimo con Isabella d’Este.
Oggi flirteremmo su WhatsApp. Relazioni virtuali o quasi, che regalano un brivido trasgressivo ma non impegnano. L’importante era non perdere la testa, com’era successo a Parisina, la moglie di Niccolò d’Este, il nonno di Alfonso, che fu decapitata per adulterio. Io ho perso solo una ciocca di capelli: non potendo spedire un selfie hard a Bembo, gli ho mandato un ciuffo della mia famosa capigliatura, invidiata da tutte le celebrities della mia epoca. È conservato sottovetro alla Biblioteca Ambrosiana. C’è tutto, meno il capello sgraffignato da lord Byron nel 1816. E il biondo è ancora quello di allora: i riflessanti a base di edera e zafferano che facevo ogni settimana sono più resistenti delle tinte di oggi. La ricetta, totalmente eco-bio, era di Caterina Sforza.

Non mi dica che oggi farebbe la beauty-blogger.
Perché no? Sono stata una delle donne più belle del mio tempo, chiedete a Ludovico Ariosto, o guardate le dee a cui il pittore Bartolomeo Veneto ha dato le mie sembianze. E perfino oggi, a 539 anni suonati, affascino sia il grande pubblico che gli intellettuali. Secondo lei succederà anche a Chiara Ferragni?

Lia Celi, insieme ad Andrea Santangelo, è l’autrice di Le due vite di Lucrezia Borgia, la cattiva ragazza che andò in Paradiso, Utet.


Le verita' nascoste La prima legge razziale

Le verita' nascoste
La prima legge razziale
Emanuele Modugno
Si scrive "madamato", ma si legge "stupro legalizzato". Un termine usato nelle ex-colonie italiane, prima in Eritrea e successivamente anche nelle altre colonie, Libia e Somalia. Mussolini col "madamato" permetteva a tutti i fascisti la propria bambina (7-8-9-10-11 anni) dentro il letto. Non solo ai militari, ma anche ai civili. Credo sia ovvio che solo un pervertito pedofilo può permettere tale scempio, una persona normale non la penserebbe nemmeno una schifezza del genere. Tra l’altro sono tante le testimonianze di stupri ai danni di ragazzine che hanno avuto la sfortuna di incontrare Mussolini.
Ecco ciò che scriveva in Italia la propaganda fascista nelle sue riviste e nei suoi quotidiani: "Non si sarà mai dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Con i negri non si fraternizza, non si può e non si deve".
Il madamato, oltre alla schiavitù sessuale produsse un'altra atrocità, non secondaria, i bambini nati da questi abusi. Il fenomeno portò alla nascita e al lor contestuale abbandono di migliaia di figli "meticci" non riconosciuti dal padre la cui unica sorte era quella di essere abbandonati. Oltre a Mussolini, un personaggio italiano famoso, Indro Montanelli, "confessò" in un'intervista del 1982 (la trovate su youtube) di aver avuto, grazie al madamato, una bambina di 11 anni e mezzo nel proprio letto, si chiamava Fatima e la definiva "un animalino docile". Il madamato segnava il dominio autoritario e assoluto del colonizzatore sull'indigeno, dell'uomo sulla donna, dell'adulto sul bambino, del libero sul prigioniero, del ricco sul povero, del forte sul debole. Il madamato fu abolito dagli stessi, anni dopo, per lo scandalo che si innalzava viste, oltre le morti delle bambine a causa delle violenze sessuali, anche quelle per complicazioni durante e dopo le gravidanze.
La gente sul fascismo sa ancora ben poco e, i fascisti non leggono, non leggeranno tutto l'articolo, quelli non hanno cultura nè coscienza ed inizieranno ad insultare. Molti credono ancora "ai treni arrivati in orario" e altre idiozie diffuse da questa gentaglia. Sul madamato potete documentarvi quanto volete, sbaglierete se cercherete informazioni su blog e pagine fasciste, ma sarà facile trovare l'intervista di Montanelli e documenti a riguardo in rete.
Potrete capire chi avrete difronte quando cercheranno di insabbiare questa triste e amara storia.
Se avete letto tutto, complimenti per continuare ad essere persone che cercano di andare oltre il semplice slogan.
(Fonte: Antonella Ripani - Prima gli esseri umani)

lunedì 10 giugno 2019

35 anni senza Enrico Berlinguer

35 anni senza Enrico Berlinguer, storico segretario del Partito Comunista Italiano Ai funerali parteciparono quasi due milioni di persone Tweet 10 giugno 2019L'11 giugno di trentacinque anni fa moriva Enrico Berlinguer. Il leader del Pci venne colpito da un ictus durante un comizio a Padova, il 7 giugno 1984. Si accasciò in diretta televisiva, palesemente provato dal malore ma continuò il discorso, nonostante anche la folla, dopo i cori di sostegno, urlasse: "Basta Enrico!". Ai suoi funerali, il 13 giugno a Roma parteciparono quasi due milioni di persone. La vita Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina sarda trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo classico Azuni e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell'agosto del 1943 aderisce al Pci. Inizia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si erano svolte nei mesi precedenti in Sardegna. Resta in carcere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano dove lavora nel Fronte della gioventù, il movimento politico fondato da Eugenio Curiel per coordinare le organizzazioni giovanili antifasciste, e dove collabora con Luigi Longo e Giancarlo Pajetta. Nell'estate del 1946 Berlinguer è il capo della delegazione di quindici elementi appartenenti al Fronte della Gioventù che visita l'Unione Sovietica, viene ricevuto in un breve incontro da Stalin. La sua carriera politica nel Pci comincia nel gennaio del 1948, quando, a ventisei anni, entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo diventa segretario generale della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti. Nel 1958 entra nella segreteria del partito per affiancare Luigi Longo, vicesegretario e responsabile dell’ufficio di segreteria. Da allora il rapporto fra Berlinguer e il segretario Togliatti diviene quotidiano. Fra il 1964 e il 1966 Berlinguer mostra la sua grande capacità di mediare gestendo un grosso scontro interno al partito. La destra del Pci, rappresentata da Amendola, sostiene la formazione di un unico partito socialista che unisca tutte le forze della sinistra italiana. L’ala radicale di Pietro Ingrao, invece, si batte affinché il Pci si allei con i gruppi della sinistra rivoluzionaria. All’XI Congresso, nel gennaio del 1966, Berlinguer si fa interprete delle esigenze di tutto il partito presentandosi come un mediatore di prima grandezza. È un successo personale, confermato due anni dopo dalle elezioni del 1968 in cui è capolista nel Lazio e in cui viene eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati. Dopo i fatti di Praga, condanna l’intervento sovietico in Cecoslovacchia e respinge “il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni”. Lo strappo è senza precedenti. Nel 1969 a Mosca, alla conferenza internazionale dei partiti comunisti, dichiara apertamente il dissenso dei comunisti italiani nei confronti della politica stalinista. Al congresso del 1969, Berlinguer appoggia la linea movimentista e introduce uno dei temi più importanti del suo progetto politico. Ai delegati presenta il partito come una forza centrale della società italiana, una forza fra le istituzioni e i cittadini, che deve essere coinvolta nella formazione e nella gestione dei processi democratici del paese perché ne è parte decisiva. Il Pci che vuole Berlinguer non è solo il partito della classe operaia: deve candidarsi a guidare il paese, ponendo fine alla conventio ad excludendum per cui i comunisti di fatto sono esclusi dal governo. Nel 1972 Berlinguer diviene segretario del Pci e al XII congresso riprende la formula togliattiana della collaborazione fra le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica. Con tre articoli su “Rinascita”, fra il settembre e l’ottobre del 1973, Berlinguer propone la sua analisi della società moderna partendo dal colpo di Stato in Cile, che ha mostrato a cosa può andare incontro una democrazia fragile. Così scrive il 12 ottobre del 1973: “La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”. Il grande successo elettorale, ottenuto dai comunisti italiani alle elezioni del 1975 e del 1976, conferma l’intuizione di Berlinguer e sconvolge il sistema politico, ormai da anni afflitto da un’endemica instabilità e bloccato dalla Dc che è al centro dei governi e delle maggioranze parlamentari. I tempi sembrano maturi per un cambiamento radicale della politica italiana. Nel 1976 accanto alla proposta del compromesso storico, Berlinguer esplicita l’altro tema della sua politica di dirigente comunista: rompe con il Partito Comunista sovietico. A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo, sottolinea l’autonomia del Pci dall’Urss e condanna l’interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e comunisti degli altri paesi. È l’eurocomunismo. Con il compromesso storico e l’eurocomunismo, Berlinguer porta il Pci, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della solidarietà nazionale. Si tratta di un monocolore democristiano che si regge sulla “non sfiducia”, cioè sull'astensione dei vecchi partner di governo ai quali si aggiungono i comunisti. A sinistra, molti sottolineano che non è questa la ratio del compromesso storico e che il Pci non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ai democristiani in cambio della non sfiducia. E, infatti, le elezioni del 1977 non lo premiano. Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, il leader democristiano con cui ha costruito il governo della solidarietà nazionale e gli chiede di agevolare l’entrata dei comunisti al governo. Ad opporsi sono però in molti: la destra democristiana, il Vaticano, gli americani, la destra italiana. E intanto nel paese il terrorismo miete le sue vittime; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro. È la fine della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer. Nel 1981, in un’intervista ad Eugenio Scalfari, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale. Denuncia l’occupazione da parte dei partiti delle strutture dello Stato, delle istituzioni, dei centri di cultura, delle Università, della Rai, e sottolinea il rischio che la rabbia dei cittadini si trasformi in rifiuto della politica. Berlinguer fu rispettato dagli avversari e amato dai propri militanti, tanto che al suo funerale, a Roma, parteciparono quasi due milioni di persone; mai nell'Italia repubblicana si era avuta una manifestazione di tale ampiezza nei confronti di una figura politica. Sull'onda emotiva della sua scomparsa, il PCI alle elezioni europee del 1984 superò per la prima e unica volta la Democrazia Cristiana nei consensi (33,33% contro 32,97%). 

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domenica 2 giugno 2019

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