mercoledì 29 agosto 2012

basilico


Il basilico, oltre ad essere uno dei pilastri della cucina mediterranea, ha notevolissime proprietà in campo medicale: ha la capacità distimolare l’appetito e contemporaneamente stimola la secrezione dei succhi gastricie la produzione di saliva favorendo così la digestione.
In caso di crampi allo stomaco o vomito, l’infuso preparato con circa 4 grammi di foglie secche poste in un bicchiere di acquacalda per circa 15 minuti ci potrà essere di aiuto. Pochi sanno che è un ottimo galattagogo ovverostimola la produzione di latte durante l’allattamento.
Utile anche per alcune patologie: raffreddore, tosse e mal di testapotranno essere combattuti anche con questa pianta aromatica. Il basilico è caratterizzato da un’alta percentuale di sostanze antiossidanti, che svolgono una importante azione di contrasto nei confronti dei radicali liberi (particolarmente abbondanti in coloro che soffrono di patologie degenerative). 

Quando è più efficace
È stato dimostrato che gli oli essenziali ricavati da piante raccolte in inverno e primavera hanno una maggiore azione di contrasto nei confronti dei radicali liberi rispetto a quelli ricavati da piante raccolte nei mesi estivi ed autunnali. La capacità antiossidante è dovuta alla presenza di alcuni polifenoli, tra i quali, l’acido rosmarinico, cumarico e vanillico. Il basilico, soprattutto quello invernale e autunnale, ha anche una capacità antimicrobica, in particolare più spiccata verso i batteri piuttosto che i funghi. Ha anche un’azione positiva nel combattere aterosclerosi e iperlipidemia, proprio perché si è osservata la sua capacità di ridurre colesterolo e trigliceridi
Efficace come un farmaco
Grazie ad uno studio condotto dai ricercatori del Poona College of Pharmacy, in India, è stato dimostrato che la pianta possiede capacità antinfiammatorie, specialmente nei confronti delle infiammazioni causate dall’artrite reumatoide, patologia infiammatoria cronica, su base autoimmune che attacca e distrugge i tessuti articolari, riducendo decisamente la qualità della vita delle persone che soffrono questa patologia. La ricerca si è basata sull’analisi di due varietà, l`Ocimum americanum e l`Ocimum tenuiflorum, e ha portato alla scoperta della capacità di entrambe di ridurre il dolore articolare fino al 37% in 24 ore. L’effetto antifiammatorio di questa preziosa pianta è stata paragonata dai ricercatori a quello di alcuni farmaci che vengono impiegati per la cura dell’artrite reumatoide ma, a differenza di questi, il basilico non causava alcun effetto collaterale come l’astenia e la pirosi gastrica. I ricercatori suppongono che l’azione antinfiammatoria  sia attribuibile alla presenza dell’eugenolo, sostanza che contribuisce all’aroma caratteristico del basilico. Questa sostanza è anche presente nell’olio essenziale dei chiodi di garofano e nelle foglie della cannella.
Gli studiosi comunque non escludono il coinvolgimento di altre sostanze e la ricerca va avanti con la speranza che questa pianta aromatica possa essere ben presto usata per la produzione di farmaci capaci di contrastare l’artrite reumatoide.
Tante varietà: tutte buone!
Il basilico appartenente alla famiglia delle Labiate, il basilico è una delle piante aromatiche più note e apprezzate in cucina. È una pianta originaria dell’Asia e del Medio Oriente e il suo uso si è diffuso in Italia grazie ai Romani che la portarono con sé quando ritornarono dalle campagne militari. In base alle differenze di aspetto e aroma, ne esistono più di 50 varietà, tra le più famose segnaliamo: il basilico genovese con foglie di color verde intenso e dall’odore delicato; il basilico napoletano con foglie grandi e bollose dal profumo intenso; il basilico cannella e il basilico fine verde. Il suo nome deriva dal sostantivo greco "basilikòs" o "basileus", che vuol dire "re" o “pianta regale”. Anche questa pianta è stata oggetto di superstizioni e credenze popolari: nel Medio Evo le si attribuivano proprietà magiche tanto che veniva usata per la preparazioni di filtri e pozioni. Si riteneva perfino che potesse essere un’arma utilizzata per combattere i draghi.
In cucina è utilizzato per la preparazione di cibi sia dolci che salati. È un ottimo ingrediente per la preparazione di condimenti per la pasta (vale la pena ricordare il pesto alla genovese); per la preparazione di gustosi intingoli che accompagnano sia la carne che il pesce; ma anche per la preparazione di bibite rinfrescanti, gelati e sorbetti. Se fritto, le foglie si prestano come originale elemento decorativo per la presentazione dei piatti. (piùsani più belli)

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martedì 28 agosto 2012

SULLA FUNE


Se tracci col gesso una riga sul pavimento, è altrettanto difficile camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi. Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso. Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto col gesso e l'aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi. Ciò che conta è tutto dentro di noi; fuori nessuno può aiutarci. Non essere in guerra con te stesso: così... tutto diventa possibile, non solo camminare su una fune, ma anche VOLARE.

HERMANN HESSE

domenica 12 agosto 2012

Vacanze remote /3 atto finale




VACANZE REMOTE DI TANTI ANNI FA   /1

Giusto 40 anni fa nel 1972, io e gli inseparabili Corrado e Walter, decidiamo di fare le nostre prime ferie all’estero. Per essere sinceri, avevamo già fatto un timido tentativo l’anno precedente, con una breve vacanza a Opatja, in Jugoslavia ma era stato praticamente una specie di soggiorno climatico nelle spiagge dell’Istria dopo le ultime estati passate nel campeggio di Cavallino, dove di solito piazzavamo le tende. Questa volta il progetto era molto più ambizioso, volevamo ritornare in Jugoslavia, tanto per restare in tema e attraversarla fino a Belgrado e poi risalire in Romania, costeggiare il Mar Nero, entrare in Bulgaria per poi visitare Sofia sua capitale e rientrare in Italia riattraversando sempre la Jugoslavia. Il progetto era molto ambizioso, le incognite parecchie, visto che si trattava di paesi poco visitati dal turismo di massa che, oltretutto, doveva ancora essere impostato come lo è adesso. Insomma si trattava di andare alla ventura senza sapere cosa si trovava chi si incontrava e come si sarebbe potuto vivere quelle tre settimane che ci eravamo proposti di trascorrere in questo modo, con una popolazione sicuramente non ostile ma con un regime politico sospettoso e autoritario. L’unica sicurezza, era la mia macchina appena acquistata e con soli 10.000 Km. di strada; un AUDI 60 la prima uscita dopo anni di contenzioso tra le due Germanie, su chi dovesse sfruttare il marchio nato nella seconda guerra mondiale. Come sia andata a finire è sotto gli occhi di tutti ai giorni nostri.  Altra sicurezza, la spesa ridotta dato il favorevole cambio moneta per le nostre tasche e di conseguenza il maggior potere d’acquisto. Comunque, la voglia di avventura, l’eccitazione di fare qualcosa di diverso, finalmente, dalle solite vacanze monocolore a cui le famiglie ci avevano abituato e la soddisfazione di aver ottenuto seppur con qualche distinguo, l’approvazione dei nostri genitori, ci aveva caricato il morale alle stelle, soprattutto, regnava l’incoscienza tipica dei nostri 23 anni che scartava a priori ogni dubbio. Studiammo nel mese di Luglio, tutto quello che ci poteva servire, fin nei minimi dettagli; i passaporti erano quasi pronti, quindi si trattava solo di tracciare una rotta, attraverso una carta geografica che ci eravamo procurati in una libreria specializzata. La macchina era stata messa a punto anche se, come già detto, c’era poco da fare; l’unica cosa che ci consigliò il meccanico fu di mettere un piccolo filtro nella cannula che porta la benzina al carburatore, vista l’alta probabilità che la stessa, in quei posti, fosse raffinata molto male, aveva ragione e lo ringraziammo, soprattutto quando osservavamo altri turisti alle prese con i problemi di carburazione dettati dalla benzina che assomigliava più a gasolio che altro. Ci procurammo un portabagagli robusto, sul quale venne steso un enorme telo di nylon, piuttosto grosso e sul quale caricammo la tenda e tutto quello che non ci stava nel pur capiente bagagliaio, dove trovarono posto oltre all’abbigliamento, scarso e molto hippy, anche le scorte alimentari, necessarie a sopperire eventuali penurie di cibo, quindi pelati, spaghetti, scatolette di vario genere, crachers e altro non deperibile con il caldo. Walter che lavorava in un concessionario di macchine a Mestre, riuscì a convincere il titolare a prestargli un autoradio con mangia cassette incorporato, a quei tempi non esistevano i cd., che installammo in modo precario ma perfettamente funzionante. Mancavano pochi giorni che si stavano trasformando in  sovra eccitazione e nervosismo, nel controllare e ricontrollare che tutto fosse a posto. Prendemmo in mano la carta stradale della Jugoslavia e cominciammo a studiarla per stabilire un tracciato minimo con dei punti di riferimento precisi, sicuri che negli altri paesi, avremmo trovato altre piante più particolareggiate. Dunque si parte, il 4 Agosto alle ore 7,30 del mattino, Sabato.  Abbiamo vent’uno giorni di tempo per fare circa 6000 Km., considerando che da quelle parti, le autostrade non sanno neanche cosa siano; tragitto, Dolo. Trieste, anche se preferiamo uscire a Nova Goriza, è più vicina a Liubljana, poi Zagabria e se tutto va bene, per le 8 di sera siamo a Belgrado dove contiamo di fare una sosta notturna per poi ripartire il giorno dopo di buon mattino; sono 800 Km., il primo giorno, niente male come inizio. Detto fatto, dopo i saluti di rito con i genitori che un po’ imbarazzati vogliono nascondere la loro preoccupazione, via… il mondo è nostro.
In autostrada fino a Trieste va tutto bene, siamo ancora in Italia; poi arriva il bello, oltrepassata la frontiera, ci rendiamo conto che siamo entrati in un altro mondo; certo anche l’anno scorso la sensazione era la stessa ma andavamo pochi Km. oltre il confine in una spiaggia frequentata da Italiani e dove qualcuno parlava ancora il nostro dialetto veneto.  Adesso, sappiamo che dobbiamo addentrarci in un paese di cui sappiamo poco o nulla, vista la cortina di ferro che esiste e che dobbiamo confrontarci con persone che nella migliore delle ipotesi non ti danno retta, quando non sono scortesi; di personaggi gentili ne incontriamo pochi.  Arriviamo a Lubljana e per poco non interrompiamo bruscamente il sogno, a un incrocio evitiamo una macchina che arriva a tutta velocità, guidavo io, brusca frenata, bianchi di paura. Ma quello stronzo è passato col rosso, dico io, non sono daltonico; trovo conforto nei miei compagni di viaggio che annuiscono silenziosi e visibilmente impauriti; il vigile presente a bordo strada, ci fa segno dio proseguire, tutto regolare. Cominciamo bene, il morale è sotto i tacchi; sono quei momenti in cui tutti i dubbi accantonati con derisione prima della partenza riaffiorano impietosi. E’ l’una passata, anzi quasi le due, quando facciamo una breve sosta a Zagabria, lungo la strada, in una specie di bar, locanda, chiamiamola così, dove, se ci penso, ancora non ho capito cosa ho mangiato. Ce ne andiamo alla svelta, nessuno parla, l’umore è sceso di parecchio, certo nessuno pensava di fare una passeggiata ma la sberla brutale e tutto sommato salutare, ci ha fatto bene, cominciamo a svegliarci; Corrado più vecchio di noi di alcuni anni, rompe il silenzio: “ D’ora in poi sarà meglio seguire delle regole ben precise, poca confidenza e solo quando si è sicuri con chi si ha a che fare, abbiamo sempre detto che la Jugoslavia è solo terra di transito, non facciamoci rovinare le vacanze. Marciamo spediti e vedrete che prima si arriva in Romania, meglio è”. La strada è da incubo,  “Superstrada” la chiamano sulla carta, la Zagabria – Belgrado; poco più larga della nostra famigerata statale Romea, è fatta di lastre di cemento saldate tra loro con bitume; altrimenti d’inverno il ghiaccio polverizza l’asfalto, ci informano gentilmente a un distributore di benzina, dove troviamo qualcuno che mastica tedesco, lingua parlata egregiamente da Corrado. Sembra di correre su delle rotaie: “Du-Dum, Du-Dum, Du-Dum, pazzesco; ogni tanto ai lati della strada, carcasse di camion e di macchine, distrutte o bruciate, è il loro deterrente per chi vuole fare il “bravo” al volante, lasciarle lì in mostra alla memoria. Mica male come idea. Finalmente Belgrado, sulla carta c’è segnato un campeggio, seguiamo le indicazioni, percorriamo lunghi viali alberati, con ai lati altissimi grattacieli e finalmente montiamo la tenda, ci laviamo alla meno peggio, il posto è di passaggio è non è molto pulito. Evitiamo di cucinare spaghetti o altro, per stasera bastano un paio di scatolette, patatine fritte, due sacchetti sopravissuti dall’Italia e crachers. Birra a volontà, comperata allo spaccio; alle dieci complice la stanchezza, una giusta dose di emozione  e tanto altro, stiamo già dormendo. Belgrado alle 7 di mattino ci riserva una leggera nebbiolina che lascia subito il posto al sole; una rapida consultazione della carta comperata allo spaccio la sera prima ci indica come arrivare al confine rumeno, bisogna attraversare in diagonale tutto il centro città o quello che è; non è difficile, basta seguire la segnaletica internazionale, cartello verde E107. A parole sembra facile, in pratica è tutta un’altra cosa. In qualche modo comunque ci arriviamo e quando vediamo sparire in lontananza alle nostre spalle i grattacieli della capitale, ci lasciamo sfuggire un sospiro di sollievo. La notte passata ci ha ricaricato il morale e ci ritroviamo impazienti di continuare il cammino, visto che consideriamo questo paese come una scocciatura, quasi una parentesi verso altre e più agognate mete. La strada per raggiungere il confine è relativamente breve, circa un’ora , poco più di macchina; qualche chilometro prima ragazzini seminascosti ai lati della strada ci offrono cambi moneta più vantaggiosi di quelli ufficiali, quasi il doppio. Corrado saggiamente dice che è meglio non cambiare troppo, dobbiamo pur sempre fare anche un cambio ufficiale all’ingresso e se ci pescano con un sacco di soldi possono esserci delle storie. Eccoci dunque in Romania, le formalità di frontiera, prendono un po’ di tempo ma ormai sentiamo di essere sulla strada giusta. La rotta l’abbiamo già segnata, prossima tappa Timisoara e da lì attraversiamo i Carpazi fino a Bucarest. Anzi c’è da valutare se fermarci in uno dei tanti campeggi segnati sulla carta, proprio nel regno del conte Dracula. Arriviamo a Timisoara che è circa mezzogiorno, abbiamo fame, l’ultimo pasto decente lo abbiamo fatto in Italia, di tirare fuori tutta l’attrezzatura per cucinare qualcosa, non se ne parla neanche, anche perché bisogna stare attenti alle regole, qui non valgono certo le nostre e non si sa mai. Ci fermiamo in un parcheggio in una grande piazza, giusto per tirare il fiato e capirci qualcosa; ci guardiamo attorno e vediamo un’insegna che sembra indicare un ristorante, breve consultazione e decidiamo di scendere e andare a controllare di persona. Sistemiamo la macchina negli spazi, mentre qualche curioso si avvicina indicando i 4 cerchi simbolo della casa tedesca, parlottando con altri curiosi; è gente anziana, magari se la ricordano quando era la macchina degli ufficiali delle SS. Ci facciamo coraggio e entriamo cercando di capire come funziona la cosa, anche perché non ci sono tavoli liberi o per poche persone. Grandi tavolate piene di gente che mangia in silenzio, probabili impiegati di qualche ufficio o burocrati statali, non è dato sapere. Si avvicina un tizio in giacca bianca e ci fa cenno di accomodarci in un grande tavolo dove sono sedute tre persone che alzano gli occhi, fanno un cenno col capo e riprendono a mangiare. Il discreto tedesco di Corrado aiuta a risolvere la situazione; mangiamo della carne con delle verdure, portano un po’ di pane, acqua e birra. Chiediamo il conto e fatti due calcoli, scopriamo di aver mangiato in tre con 408 lire italiane. Ci rilassiamo un po’ dopo il pasto, fa caldo; prendiamo la carta e la esaminiamo con attenzione, tracciando una rotta, aiutati anche dal cameriere visto che il locale è ormai quasi vuoto. Arad, Brad, Brasov, Ploesti, Bucarest, Mamaja, ovvero il Mar Nero. Eccoci di nuovo in macchina, carichi di adrenalina fino a scoppiare; le strade sono impossibili anche se queste sembrano essere le migliori ma a noi non importa niente, è ritornato lo spirito iniziale.

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CHECCUSWRITER
Copyright Agosto 2012-08-11 



VACANZE REMOTE DI TANTI ANNI FA      /2

Ripartiamo senza indugi, destinazione Arad, ci alterniamo alla guida, conducente e navigatore con la carta in mano per non sbagliare; la strada scivola via abbastanza veloce, passiamo  la città e quando arriviamo nei pressi di Brad, cominciamo a vedere le Alpi transilvaniche, il registratore spara musica a tutto volume, siamo “on the road” ma non sono certo le sterminate pianure americane. Arriva sera e con essa una pioggia torrenziale, non ci si vede a un palmo di naso e l’illuminazione è zero. Mancano ancora parecchi chilometri per arrivare a Brasov e decidiamo di trovare un campeggio dove trascorrere la notte; ne abbiamo appena passato uno, al prossimo ci fermiamo. Ci infiliamo nella stradina d’ingresso ma l’uomo di guardia, ci ferma e ci fa capire che non c’è posto; lo guardiamo stupito, il prato è vuoto; cerchiamo di spiegargli che siamo stanchi, che con quella pioggia non vogliamo rischiare e che preferiamo fermarci. Niente da fare, è irremovibile. Arriva un italiano, è di Roma, ci spiega che, purtroppo noi italiani, ci siamo fatti una cattiva fama da queste parti; tanta, troppa gente, è partita dall’Italia con scatole di calze di nylon o profumi di basso costo, convinta che bastasse quella mercanzia per ottenere favori sessuali a buon mercato. Lui, ci spiega, viene qui da parecchi anni e ormai è accettato ma l’ostilità nei confronti degli italiani e anche di gente di altri paesi, è comunque forte; ci conviene fare fagotto e sparire alla svelta, qui non scherzano e potrebbe succedere qualunque cosa, anche la peggiore se si trova l’ubriaco di turno. Ripartiamo incazzati  e con la coda tra le gambe, per fortuna la pioggia è diminuita d’intensità e si può viaggiare anche se con cautela; il traffico è inesistente, raggiungiamo Brasov alle 11 di sera, tutto tace sembra di essere in una città fantasma, rapido consulto e decidiamo di continuare a oltranza, alternandoci alla guida. Prossima tappa Ploesti, è impossibile sbagliare strada, è una selva di ciminiere, sembra di essere a Marghera, c’è sicuramente una raffineria e molte fabbriche chimiche. Dicevo che era impossibile sbagliare strada e infatti, ci infiliamo in mezzo alla raffineria e andiamo in crisi; dietro di noi, altre due macchine; ci hanno seguito una coppia di francesi e una di belgi, speravano che facessimo noi da apripista; risata generale, più isterica che mai ma anche questa volta riusciamo a uscirne, dopo una buona mezzora ( Per onor di cronaca devo dire che la mia memoria non è certa se le raffinerie fossero veramente a Ploesti o Brasov, nel qual caso bisognerebbe invertire i nomi  ma la sostanza in ogni modo non cambia). Finalmente Bucarest, la capitale, ci sarà sempre un po’ di vita in più, si spera, oltretutto dobbiamo fare benzina; troviamo un distributore aperto proprio sulla strada, sono le 3,30 del mattino, se questo non si chiama culo, dice una voce. Il fanale di sinistra non funziona, probabile che sia un fusibile bruciato, e la scatoletta di ricambio è nel portabagagli sotto le valigie; facciamo vedere il problema al benzinaio che fa cenno di essere in grado di risolverlo. La musica va a tutto volume, cassetta mix di Lucio Battisti: “Supermarket lunedì, tu non sei più qui, dimmi ieri come mai tu non eri lì…” e in effetti siamo già a lunedì; siamo partiti sabato mattino dall’Italia e non ci siamo più fermati a parte la parentesi di Belgrado; siamo stanchi ma non vediamo alternative, dobbiamo proseguire fino alla meta finale: il Mar Nero. Ritorna il benzinaio con in mano il fusibile e contemporaneamente, una macchina della polizia si ferma vicino alla nostra, c’è un comprensibile momento di panico, ci guardiamo un po’ impauriti, osservando il poliziotto che si dirige verso di noi, un sorriso, prosegue verso la macchina e si siede al volante, armeggiando fin che non riesce ad alzare il volume e chiude gli occhi in estasi, beato di felicità; roba da non credere, ci guardiamo esterrefatti mentre il benzinaio cambia il fusibile ridendo e anche noi scoppiamo a ridere. Il fatto è che ha voluto ascoltarla quasi due volte prima di lasciarci andare, giusto in tempo, cominciavamo ad avere istinti omicidi. Arriviamo sul Mar Nero alle sei di mattino, non c’era molta strada tra Bucarest e Costanza, troviamo un campeggio a Mamaia, sembra quasi un incubo, quattro alberi e tutt’intorno terra e polvere e per fortuna che questa è rinomata come la spiaggia d’elite nella Romania di Ceausescu; inutile fare gli schizzinosi, montiamo la tenda in fretta e furia e ci buttiamo a dormire vestiti. Il sole a picco anticipa il nostro risveglio, sono le due del pomeriggio, riordiniamo le idee e un po’ di cose; Walter tira fuori tutta l’attrezzatura per cucinare, io e Corrado andiamo a vedere se si può recuperare del pane e qualcosa da bere; abbiamo fatto una doccia e ci siamo messi in costume; osserviamo una vecchia Fiat 1100 primi anni 60, è già due volte che la incrociamo, è targata Padova, si ferma a un metro di distanza da noi, sono in quattro, facce da galera, sulla trentina, comunica quello che è al volante; sicuramente ci ha sentito parlare perché ci rivolge la parola direttamente in dialetto: “Se ciava?” (traduzione per i non veneti: “si chiava?”), mi sono tornate in mente le parole del romano riguardo alla cattiva fama di noi italiani, aveva ragione, li abbiamo mandati a fan culo e, per fortuna, non si sono più fatti vedere. Allo spaccio prendiamo pane, birra, una specie di salame, uova e altro. Corrado nota delle bottiglie di vetro da ½ litro, chiuse con tappo di sughero e spago e si convince sia vino, io non sono d’accordo ma non c’è verso, ne prende quattro, mentre con la coda dell’occhio osservo le commesse  ridere tra di loro. Quando arriviamo in tenda il mistero è svelato, due litri di aceto: ha comperato due litri di aceto; Walter va giù colorito in dialetto tirando in ballo la pesca, le sardine e il famoso saor veneziano, tutto si conclude con una risata. Alla sera proviamo a fare un giro in città, ci hanno indicato un posto dove suonano musica e ci sono ragazzi giovani ma è un buco nell’acqua; tanti sguardi curiosi, ragazze blindate e complesso da parrocchia. Il giorno dopo rimettiamo a posto i bagagli nella macchina, facciamo un bagno in mare e alle 16 smontata la tenda e l’attrezzatura, decidiamo di provare l’accoglienza in Bulgaria, qui in Romania non è stata all’altezza delle aspettative. Passiamo il confine alle sei di sera e al primo campeggio ci fermiamo; sembra di essere nella giungla, tanto è il verde che ci circonda. Breve discussione in tedesco tra Corrado e l’impiegato che, con i nostri passaporti in mano, dice ironico all’aiutante, sempre in tedesco: “Alza la sbarra, sono arrivati i capitalisti.” Capitalisti a noi, brutto stronzo, la consideriamo un’offesa personale. Ci prepariamo per la cena, e vediamo che si avvicina un tizio, napoletano scopriamo poi, ha visto l’acqua, gli spaghetti; si mette in ginocchio, implora di averne un piatto;  è qui fermo da una settimana, ha rotto il motore della macchina e sta aspettando che la mettano a posto e ormai sono giorni che mangia solo patate e salsicce. Ci lasciamo prendere dalla commozione e lo facciamo accomodare, purché non diventi un’abitudine. Un paio di giorni di sano relax ci volevano proprio; riposo, bagni, conoscenze anche se poche, visto che sembra più un campeggio di passaggio; domani è venerdì e una settimana è quasi volata via, decidiamo di levare le tende, è proprio il caso di dirlo, in cerca di qualcosa di più attraente. Notiamo subito sulla carta che la prossima città di una certa consistenza è Varna, con diversi campeggi in riva al mare. Detto fatto venerdì mattino siamo già in viaggio, abbastanza breve a dire il vero e comunque lo spostamento ha avuto i suoi frutti. Questo è un Camping con la C maiuscola, dove si trovano tedeschi, dell’est naturalmente e tante altre nazionalità con cui relazionare. La città non presenta niente di particolarmente interessante ma uno dei nostri maggiori motivi di curiosità è quello di uscire dalle rotte turistiche, magari consigliate, per vedere la vita reale della gente che ci circonda. Alternavamo, quindi, sole e bagni a visite nei negozi del centro, in cerca di cose impossibili, divertendoci a confrontare le nostre usanze con le loro. Attraversando i paesi che trovavamo lungo la strada, si vedeva lo stile di vita tipico dei regime dell’est, non penso che facessero la fame ma c’era un insolito modo di affrontare la vita, sicuramente più arretrato del nostro. Nelle città più grandi, invece, si notava subito la diversa maniera di vestire, di parlare, socievole e molto più emancipata culturalmente. In ogni caso, eravamo convinti che occhi discreti controllassero le nostre mosse, quando uscivamo dai circuiti “normali”.  Per fortuna non ci è successo mai niente.     
                                                                                                         
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Copyright  Agosto 2012-08-16       




VACANZE REMOTE DI TANTI ANNI FA   /3  

Il campeggio che abbiamo scelto, è un Camping stanziale, come si usa dire in gergo, dove la gente viene per fare le sue sacrosante ferie. Un po’ come quello che facevamo noi e tanti altri, nelle spiagge italiane. Come vicini di tenda abbiamo una coppia di tedeschi, con due figli  giovani; naturalmente Corrado fa da interprete, tanto che alla sera, ci infiliamo in lunghe conversazioni sul modo di vivere della Germania dell’est e sui tanti dubbi che vengono sollevati dai nostri amici che vorrebbero sicuramente molta più libertà ma che tutto sommato sono convinti di stare bene e che reputano propaganda negativa, quella fatta alla loro nazione. Spieghiamo come stanno le cose, con un po’ di sano cinismo, cercando di convincerli che, tutto sommato, un po’ di democrazia in più non guasterebbe ma non c’è niente da fare, sono tedeschi: dell’est o dell’ovest, rimarranno sempre tedeschi. Walter si alza per prendere una cosa in macchina e così facendo fa cadere un rotolo di carta igienica. Curiosità assoluta, ci chiedono cosa sia e a cosa serve, risata generale, non la conoscevano. In compenso, conoscono gli spaghetti; sempre il padre, un giorno che li facemmo, ne volle un piatto (ormai si era fatta una discreta amicizia), Walter glielo diede abbondante e lui se lo mangiò tutto, lasciando il resto della famiglia a bocca asciutta. Passò il resto del pomeriggio in un bagno di sudore, con un continuo via vai  a fare lunghe docce gelate. Probabile un iperglicemia da coma ma se la cavò egregiamente. Una sera pioveva a dirotto erano le 18 e il cielo era tutto buio, arrivò una coppia di francesi, lei, con molta naturalezza, aiutò il marito nell’allestimento della tenda tenendo l’ombrello aperto e ben saldo in una mano e il martello nell’altra: francesi che altro! Per il resto il tempo trascorreva abbastanza monotono, il mare pieno di meduse che per fortuna erano innocue, grandi scorpacciate di frutta, della quale c’era abbondanza, con dell’uva meravigliosa che cresceva praticamente per terra. Ma ci stavamo stancando, non era quella la vacanza per cui avevamo fatto migliaia di chilometri. Un mattino ci guardiamo e la sintonia è immediata: Sofia, la capitale da vedere, scoprire, visitare. Alle 10 siamo già pronti e, pagato il conto ce ne andiamo, direzione Burgas da dove avevamo la possibilità di fare due itinerari, o la parte alta quella più vicina alla Romania o la bassa attraversando Plovdiv, raggiungendo la città da “sotto” se mi passate il termine. La decisone fu presa una volta arrivati a Burgas, dove ci fermiamo per comperare qualcosa da mangiare. Fu li che mi accorgo, controllando la carta stradale che eravamo a 130 Km. circa dalla Turchia; passato il confine, il Bosforo e Istambul. Ci scambiamo sguardi straniti, la tentazione è forte ma il tempo ormai sta per scadere e i soldi cominciano a calare, anche se ne abbiamo speso molto meno di quello che avevamo preventivato. Abbandonammo l’idea, maledicendo la Romania che ci aveva fatto  perdere un sacco di tempo per niente.
Sofia era una bellissima città, immersa nel verde dei suoi parchi, il più famoso dei quali si chiamava, se la memoria non mi inganna: “Loewen Park” che si poteva visitare su di un trenino che lo attraversava da cima a fondo tra animali di ogni specie, severamente protetti. Ci sistemammo in un campeggio e cominciammo la nostra “visita” particolare alla città. Con molto tatto, chiedemmo all’ufficio informazioni, se c’era la possibilità di andare in un qualche mercatino, di qualsiasi tipo, dall’usato al cibo non aveva importanza, bastava veder un po’ di cose strane. Per fortuna capì al volo quello che volevamo e strizzandoci un occhio ci diede delle dritte, spiegandoci anche di non fare troppo i curiosi, altrimenti avremmo incontrato dei guai. Le visite cominciarono in una piazza non molto grande, dove un negozio di libri, faceva da catalizzatore per una decina di bancarelle che vendevano la stessa merce; rimanemmo delusi ma in fin dei conti cosa ci aspettavamo, libri stampati in italiano? A ogni paese l’alfabeto che trovi, solo che con il cirillico non avevamo molta dimestichezza. Il giorno dopo, troviamo un altro mercatino di cibarie varie; devo assolutamente trovare della marmellata di rose che una persona mi ha richiesto caldamente. Trovata! Ne compero tre vasi, è trasparente, sembra gelatina. Una mattina che siamo a zonzo in una parte della città non ancora visitata, vediamo un sacco di gente ben vestita che entra in una porta salendo alcuni gradini; dalla facciata sembrerebbe una chiesa ma è stretta tra le case, impossibile; la cosa ci incuriosisce, io voglio entrare, gli altri sono titubanti, hanno paura di “rogne”; io alzo le spalle e entro, seguito dagli altri due paurosi. In effetti è una chiesa, ed è piena di gente, ce ne restiamo in disparte vicino alla porta d’uscita quasi invisibili anche se qualcuno girandosi ci ha visti. E’ un matrimonio, è la nostra deduzione, vista la coppia che si trova vicino a quello che assomiglia ad un altare. E’ una cerimonia di rito ortodosso, probabilmente della  chiesa di Costantinopoli e la seguiamo affascinati, ascoltando la lingua ostica, a tratti è cantilenante;  è molto diversa dalle nostre cerimonie di matrimonio, la gente è più partecipe, specie nella preghiera; non è come da noi dove la funzione religiosa viene considerata come una rottura di balle in attesa del pranzo, insomma non c’è l’ipocrisia a cui siamo abituati ed è questo il paragone che ci salta immediatamente agli occhi, anche se è una vita che non andiamo più a messa in Italia e forse è proprio per questo, ci hanno fatto perdere la voglia.  Ce ne andiamo prima che finisca, siamo stati tutti e tre colpiti da quanto visto e rimaniamo in silenzio; per un po’ di tempo, nessuna voglia di commentare. “Comunque la sposa era bella-- dico io – e, in ogni caso, ne avremo una in più da raccontare.” Finisce li.  Alla sera decidiamo di cenare nel  ristorante abbastanza quotato a quanto ci hanno detto; ci portano il menù, scritto in inglese, per fortuna e facciamo un salto sulla sedia, alla voce primi si legge: “Risi e bisi”, ci guardiamo sbalorditi e siccome la curiosità è grande, ordiniamo la pietanza, mentre Corrado parte con una delle sue storiche frasi: “Bitte, haben sie etwas  Bulgarian spezialitat um zu essen? (spero di averlo scritto giusto ma penso che il significato sia inequivocabile). Il risultato è stato un “Risi e bisi”, consistente in un risotto molto liquido, con tre, dicasi tre piselli al suo interno, delle fette di carne con una salsa abbastanza disgustosa e le immancabili patate di contorno. Io e Walter coltiviamo l’idea di abbandonare Corrado al suo destino e finire le ferie in santa pace ma non se ne fa nulla. I Bulgari sono persone abbastanza simpatiche; mezza età e anziani taciturni, i giovani molto più espansivi anche se con grandi paure di essere visti a fare cose “non legalizzate”. Solidarizziamo con alcuni ragazzi e ragazze che gironzolano nei paraggi del Campeggio o che incontriamo per strada e che fermiamo con la solita scusa di informazioni su dove andare; qualche sigaretta un po’ di inglese masticato male da tutte e due le parti e il gioco è fatto. Mi viene in mente mia nonna che quando voleva offendere qualcuno gli diceva:”bulgaro”, chissà perché, non ci vedevo il nesso ma forse dipendeva dal fatto che una figlia dei Savoia aveva sposato un erede al trono di Bulgaria, poi finita la guerra, la cosa fu gestita dai russi, assieme ai bulgari appunto, misteri della storia.  Ormai siamo agli sgoccioli, il tempo è passato in fretta ed è ora di cominciare a pianificare il rientro in Italia. Decidiamo di puntare verso nord, attraversare il Danubio che fa da confine con la Romania e costeggiando il grande fiume, rientrare in Jugoslavia. Ci permettiamo anche una breve sosta, nuovamente a Bucarest, giusto per capire se, avendola attraversata di notte e in fretta, per caso non meritasse più attenzione ma la sensazione iniziale è rimasta negativa.
Saltiamo senza rimpianti la strada dei Carpazi, mandando a quel paese il Conte Dracula e i suoi concittadini e, costeggiando appunto il Danubio, rientriamo in Jugoslavia. Ripercorriamo all’inverso la stessa famigerata Superstrada, solo che a un certo punto tutto si blocca; le notizie un po’ confuse parlano di un grosso incidente e si rischia di dover bivaccare per la notte, ci sono parecchi italiani come noi ma cerchiamo di evitare contaminazioni che si arrangino, non vogliamo rompi balle al seguito. Ennesima consultazione della carta e scopriamo di essere più vicini all’Italia di quanto pensassimo; decidiamo quindi di tagliare in diagonale, saltare Zagabria e Lubljana e uscire all’altezza di Abbazia, rientrando in Italia dall’Istria. Detto fatto sono le 4 del pomeriggio e ci lanciamo nell’ennesima avventura, anche perché uscivamo dalle strade internazionali e andavamo all’arrembaggio.  Alle 7 di sera è già buio, abbiamo fame, ci fermiamo in uno sputo di paese; non abbiamo dinari, non ne abbiamo più cambiati proprio perché, dopo, non valgono niente. Ci indicano un osteria che è abbastanza affollata visto che è sabato sera, noi sembriamo selvaggi, barba lunga, praticamente due giorni che non ci facciamo una doccia; la curiosità è alta, sembra la scena di un film di Cowboy, quando entra lo straniero nel saloon. Spieghiamo che abbiamo fame ma che abbiamo solo lire, va tutto bene, benedette le lire. Ci servono un cosciotto di maiale, piccolo devo dire, lessato; praticamente una porchetta tagliato grossolanamente in 4 pezzi, pane e birra; mangiamo con voracità e ce ne andiamo; la stanchezza e tanta, provo a guidare ma mi rendo conto che per ben due volte mi addormento, la seconda con il rischio di uscire di strada;, nessun altro vuole prendere in mano il volante, decido quindi di fermarmi  vicino a una casa, mi da più sicurezza  e mi metto a dormire, gli altri già lo fanno.  Dopo non so quanto tempo qualcuno mi scuote il braccio, è Walter, ombre si aggirano intorno alla macchina, accendo il motore e via. Magari non avevano cattive intenzioni ma finire male dopo tutte le avventure che abbiamo passato è da stupidi. Alle 9 di mattina passiamo la frontiera e al primo distributore parcheggiamo all’ombra e questa volta sì, ci mettiamo a dormire.   Alle 13 e 30, arriviamo a Dolo, quasi all’improvviso, inutile dire che non esistevano ancora cellulari o altro. Avevamo fatto più di 6000 Km. in 21 giorni, visitato 3 paesi, considerando anche la Jugoslavia, attraversata di fretta e in tutto avevamo speso 70.000 lire a testa, comprensive di benzina, costo campeggio, sigarette , cibo, qualche regalo da portare a casa. Eravamo stanchi ma felici; non ci sentivamo persone che avevano compiuto qualcosa di eccezionale ma comuni mortali che avevano avuto il coraggio di fare una vacanza diversa, molto diversa dal solito e, in ogni caso, non eravamo stati i soli, di italiani come noi ne abbiamo visti tanti e con differenti modi di comportamento come già detto.  L’unica nota negativa: nessuna fotografia anche perché nessuno di noi possedeva una macchina fotografica. Ci siamo rifatti l’anno successivo, facendocene prestare una da un’amica .


A qualcuno questa cronaca, potrà sembrare  artificiosa o inventata ma vi posso garantire che è assolutamente vera. Certo dopo 40 anni, molte cose e soprattutto certi dettagli, sono stati dimenticati ma è stata la nostra prima vera uscita all’avventura, con molta, diciamolo pure, incoscienza visti i tempi che correvano; c’era ancora in essere la guerra fredda e, naturalmente, ogni persona che arrivava dall’occidente anche se portava soldi era vista con sospetto, quasi un possibile fautore di idee controrivoluzionarie nei confronti del paese ospite.  Paradossalmente l’anno successivo in Ungheria e Cecoslovacchia dovemmo affrontare maggiori problemi relativi ai nostri comportamenti e comunque questo viaggio ha posto le basi  di un’esperienza  di cui avremmo fatto tesoro in seguito, l’anno successivo, appunto. Il piano generale era di viaggiare per altri due, tre anni visitando tutto quello che c’era da visitare ma purtroppo le cose non sono andate propriamente così. Come già detto, l’anno successivo siamo andati in Ungheria e Cecoslovacchia ma nel 1974 io mi sono sposato(******) e poi finì tutto. Per la cronaca provai con mia moglie e una coppia di amici a fare un viaggio in Grecia ma una persona che non è mai stata abituata a fare campeggio, passata la giovinezza non ci si abituerà mai, quindi il risultato fu pietoso. Adesso non vi prometto niente ma vediamo se ho voglia di fare anche la cronistoria del 1973:  Dolo, Zagabria, angolo retto e Ungheria con il lago Balaton, Budapest, e poi Cecoslovacchia, Brno, Bratislava, Praga e rientro attraverso Vienna e l’Austria. Quello fu il più bel viaggio in assoluto, forti dell’esperienza passata, ci furono molte più amicizie con coetanei anche di altre nazioni, in definitiva eravamo più smaliziati; si era aggiunta un’altra persona, Sandro, le macchine erano due, come le tende, insomma c’era più organizzazione. Non sono per mia natura una persona che vive di ricordi ma questi sono stati i più belli e con il senno del poi, mi sarebbe piaciuto continuare e fare altre esperienze ma, purtroppo, la giovinezza è bella proprio perché a volte non la si programma e ci costringe ad attraversarla mettendo assieme errori e cose positive; io l’ho sempre vissuta così, forse è per questo che non guardo mai al passato con nostalgia e retorica, ogni giorno è un nuovo giorno e c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire o da imparare, perché la vita è bella e va vissuta fino all’ultimo minuto. 

/3 FINE
Checcuswriter
Copyright agosto  2012-08-26