domenica 26 gennaio 2020

Auschwitz gennaio 1945






La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Somogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni  di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, che la fossa era ormai piena e altra sepoltura non si dava. Erano quattro giovani soldati a cavallo che procedevano guardinghi con i mitragliatori imbracciati,. Lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate e su noi pochi vivi…

Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno che sigillava le loro bocche e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto  prova davanti alla colpa commessa da altrui e gli rimorde che esista …

Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa e ci riempì gli animi ad un tempo di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva. E di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi dove avvenne e nei racconti che ne avremmo fatti. Perché ed è  questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa che dilaga come un contagio. E’  stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male. Spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia



Auschwitz gennaio 1945



Tratto dal libro

“La tregua”

di Primo Levi ediz. Einaudi