mercoledì 22 febbraio 2012

RICORDO DI UN'ESTATE


 


L’orologio  sul muro segnava le sedici, la casa era deserta come al solito, fino a sera, quando rientravano i miei; mi ero alzato dal divano, erano giorni interminabili, confusi, angoscianti, in cui non riuscivo a concludere nulla.
Avrei dovuto prendere in mano i libri di filosofia, l’esame all’università era prossimo ma non ne avevo voglia, guardavo fuori dalla finestra il mondo scorrere frenetico; per fortuna aveva smesso di piovere, era un pomeriggio di fine ottobre, in cui la noia si alternava all’impotenza e alla frustrazione con cui vivevo i sogni e i ricordi dell’estate passata.
Una telefonata di Erika mi convinse a uscire di casa, voleva vedermi al parco, lei era una bella ragazza, una delle tante che entravano e uscivano dalla mia vita, ci frequentavamo da un po’ di tempo, mi piaceva e tutto sommato con lei  cercavo di sopravvivere e trascorrere le giornate, anche se a volte consideravo la nostra relazione con sufficienza, quasi con fastidio.
La mia storia con lei non era certo nata in virtù di una profonda amicizia o di reciproco apprezzamento sul nostro modo di pensare e comunicare; i primi approcci erano stati suoi, quasi a volere confermare che i rapporti tra uomo e donna erano ormai in costante evoluzione.
L’avevo conosciuta all’università un paio di mesi prima e mi aveva fatto capire senza tanti preamboli il suo interessamento nei miei confronti; erano schermaglie alle quali mi adattavo malvolentieri e che mi lasciavano perplesso sull’effettivo ruolo che aveva intenzione di svolgere tra noi due. Sicuramente era consapevole dei suoi ventidue anni, della sua bellezza provocante, della sua natura indipendente, libera, senza particolari problemi economici alle spalle, data l’agiatezza della famiglia; per lei realizzarsi significava vivere il sesso senza pudore, praticandolo in qualsiasi momento se ne presentasse l’occasione.
Tra gli amici che avevo, pochi del resto, circolava un po’ di invidia per questa mia predisposizione ad attirare le ragazze quasi fosse una dote particolare, e mi chiedevano spesso quale fosse il mio segreto.
Era una fama ingombrante di cui avrei fatto volentieri a meno visto che non mi ponevo neanche il problema quando vedevo una ragazza che mi piaceva o mi attirava particolarmente.
C’erano giornate che si trascinavano stancamente e il nostro rapporto faceva scintille; a volte quando mi coinvolgeva controvoglia, c’era, da parte mia, un comportamento insofferente, quasi contro la mia volontà, e, cosa che mi faceva infuriare, che lei non percepiva; almeno se ne fosse resa conto, mi avrebbe dato il pretesto per chiudere la nostra storia, con buona pace di tutti e due.
Quel pomeriggio, al primo sguardo, capì subito che il mio umore era pessimo, tanto che, dopo cinque minuti, il sorriso le sparì dalle labbra e la nostra conversazione si  tramutò in una furibonda litigata con reciproche accuse e insulti; la lasciai andare via con un sospiro di sollievo, non l’avrei certo trattenuta.
Uscito dal parco mi misi a camminare respirando a pieni polmoni l’aria pulita, lavata dalla pioggia e me ne andai in giro per un paio d’ore; volevo smaltire la rabbia che avevo accumulato dentro di me, salvo poi considerare che, tutto sommato, potevo sfruttare quanto successo per chiudere definitivamente quella che, per me, era solo una breve parentesi in questi mesi invernali.
A volte mi sorprendevo a riflettere sulle  mie azioni, la mia costante ricerca del lato materiale nella vita quotidiana che faceva a pugni con i miei studi di filosofia; spesso soppesavo le discussioni con i miei genitori, durante le quali mia madre non mancava mai di farmi notare le colpevoli incongruenze che macchiavano le mie giornate:
“Sei un ragazzo intelligente, e non lo dico perché ti ho fatto io, è riconosciuto da tutti, ma non riesci a unire le cose, fonderle in un tutt’uno che ti possa servire a maturare. Se continui così rimarrai l’eterno farfallone e quando ti accorgerai che gli altri sono andati avanti e tu sei rimasto fermo, sarà troppo tardi, sarai costretto a guardare dal basso in alto, a rincorrere, come un eterno perdente.”
Ripensavo spesso a queste parole, mia madre non era un tipo che le mandava a dire, anzi, era più propensa al dialogo che al rimprovero ma dopo averle mentalmente riascoltate alzavo le spalle con il mio solito menefreghismo.
Ritornai con la mente tra i comuni mortali e mi fermai sorpreso, perso nei miei pensieri. Ero arrivato, senza rendermene conto, in una parte della città che non conoscevo, girai lo sguardo attorno cercando qualche punto di riferimento, qualche negozio in particolare o altro; notai un gruppo di persone ferme a un crocevia e la vidi subito, aspettava con gli altri il verde per attraversare la strada, non potevo sbagliarmi, era sicuramente lei, non era cambiata, inconfondibile, anzi, più bella che mai, non a caso ebbi un tuffo al cuore.
Provai a chiamarla ma era troppo distante, d’impulso cercai di raggiungerla: troppo tardi, aveva già raggiunto l’altro marciapiede, non mi rimase che guardarla svanire tra la folla e ritornare con il pensiero all’estate passata.

……..Era da parecchio tempo che Paolo, mio vecchio amico d’infanzia, mi invitava a fargli visita nella sua nuova casa, un rustico rimesso a nuovo, pieno di stanze con un bellissimo sottoportico immerso nella campagna veneta in provincia di Treviso, così un giorno mi decisi e dopo una telefonata di preavviso raccolsi un po’ di roba in una valigia e partii.
Ero arrivato nel tardo pomeriggio, lui era fuori, così rimandammo le chiacchiere a dopo cena, cosa che puntualmente avvenne, seduti sulla veranda, ricordando tempi passati, anche se non molto lontani, quando lui abitava a pochi passi da casa mia; pensavo di fermarmi solo per alcuni giorni ma non ne volle sapere e andò a finire che vi trascorsi quasi tutto il mese di agosto.
Era una casa molto frequentata, molto grande, e disponeva di alcune stanze da letto, quasi sempre occupate da ospiti.
A Paolo piaceva la compagnia e c’era  un discreto via vai di gente più o meno interessata che si fermava a scroccare una bevuta o un pranzo.
Lei arrivò un pomeriggio inoltrato, era quasi sera, fu accolta dal padrone di casa con la solita gentilezza, c’era un po’ di apprensione da parte sua: temeva che non si ricordasse più di lei. 
Rimaneva un’ultima stanza libera e accettò con piacere l’invito a fermarsi, la vidi stanca e accaldata dalla giornata passata in macchina, era stata a Roma per lavoro e i quasi quaranta gradi di caldo che da giorni martellavano tutta la penisola si erano sicuramente fatti sentire.
Il vecchio vizio di analizzare le persone, soppesandole con il bilancino quasi fossero merce preziosa mi prese la mano, un abitudine di vecchia data, insegnatami da mia madre, a giudicare un individuo al primo colpo d’occhio, salvo poi comprenderlo meglio durante la successiva conversazione. 
Mi colpì il viso dai tratti leggermente marcati, decisi, la giudicai persona sicura di se stessa, anche perché l’età non doveva certo essere quella di una ragazzina, probabilmente i trent’anni li aveva già passati da un pezzo, comunque molto formale e gentile.
La lasciai salire in camera a rinfrescarsi ripromettendomi di approfondire la conoscenza più tardi a cena. Quando scese rimasi colpito dal cambiamento, indossava un paio di bermuda colore chiaro, con una camicetta di lino azzurra, la bellezza che avevo avuto modo di notare, quasi nascosta al suo arrivo, quando era sudata e stanca dal viaggio, ora si mostrava in tutto il suo fascino; anche se non era appariscente, aveva una naturalezza nel comportamento da farmi paragonare con fastidio tutte le ragazze che avevo conosciuto prima d’ora.
Si era sciolta i capelli, erano lunghi, di colore castano con riflessi rossi,  nel viso spiccavano due occhi neri che guardavano con curiosità tutto quello che la circondava, un nasino all’insù molto francese e due labbra sapientemente modellate di un bel rosso acceso chiudevano la foto che avevo scattato al suo apparire. La figura slanciata, un po’ castigata dal suo modo di vestire semplice e il suo modo di fare discreto e riservato non era certo in grado di innescare pensieri maliziosi, sicuramente era capace di accendere passioni difficilmente cancellabili; conclusi tra me che era una donna di classe, categoria abbastanza rara al giorno d’oggi.
Paolo, che con uno sguardo aveva capito tutto, manovrò sapientemente per farmela trovare seduta davanti a cena; non smettevo di guardarla, mi rendevo conto della mia sfacciataggine ma sembrava avermi stregato anche se dentro di me cresceva quel senso di soggezione che provavo nei suoi confronti.  Fu lei a rivolgermi la parola:
“Vedo che mangia poco, la cena non è di suo gradimento? Io trovo tutto molto buono, sicuramente genuino, visto che Paolo produce autonomamente quasi tutto qui in campagna o è più interessato al mio viso visto il modo in cui mi fissa; c’è qualcosa che non va?”
Arrossii imbarazzato, non mi aspettavo un attacco così diretto e senza peli sulla lingua, cercai di rispondere balbettando che  avendola vista appena arrivata, stanca dal viaggio, la differenza era notevole.
“E adesso quasi non mi riconosceva più”, disse scoppiando in una risata che fece girare la testa agli altri commensali.
Ero senza parole, confuso, avevo fatto la mia brava figura da scemo come da tempo non mi succedeva, stavano tutti in silenzio cercando di capire cosa fosse successo, guardavano  l’espressione idiota della mia faccia che stonava con la risata fatta dalla donna; per fortuna ci pensò Paolo che, alzando il calice, propose un brindisi riportando l’atmosfera alla normalità così che tutti ripresero la conversazione interrotta.
Nel dopo cena la trovai in giardino che osservava delle rose e approfittando di essere soli le chiesi scusa sperando che il mio comportamento non fosse stato causa di imbarazzo da parte sua.
“Stai tranquillo”, disse dandomi del tu, “non sei il primo e non sarai neanche l’ultimo a guardarmi così; vedi, le donne sono animali strani, a volte si vestono e si truccano come a fare capire di volere una sola cosa, in altre occasioni pretenderebbero di essere notate pur essendo conciate in maniera sciatta e anonima, non dovrei essere io a dire queste cose ma è la verità; io invece voglio essere considerata per quello che sono effettivamente e non solo per la bellezza o i pensieri equivoci che potrei generare, quindi poco cambia che  sia stanca, sudata, sfigurata dal caldo, oppure fresca, bella provocante, pronta a scatenare chissà quali sogni negli uomini.”
rimasto sbigottito dalle sue parole; data la conoscenza così breve pensavo fosse più guardinga, attenta al mio comportamento, visto anche quanto successo a cena; mi prese sotto braccio e si lasciò andare a una conversazione confidenziale, quasi fossimo amici di vecchia data, che si erano ritrovati per caso dopo anni.
Venni a sapere che si chiamava Daniela, che era una informatrice scientifica, single, trentacinquenne. Che fosse di mentalità libera e aperta lo avevo già capito, e la sua parlata sciolta, concisa, che evitava giri di parole inutili l’avevo già sperimentata qualche ora prima. Mi affascinava parlare con lei, anche se il divario di età era significativo: io di anni ne avevo solo ventisei;   ero rimasto stupito di provare piacere più nella conversazione che nel solito rituale immaginario sul come avrebbe potuto essere, in un altro contesto, il tempo da passare assieme. Ovvio che, pur assecondando quel suo discorrere di cento cose diverse una dall’altra, speravo che in un futuro non molto lontano si potesse arrivare a qualcosa di più concreto, anche se mi rendevo conto che mi stavo infilando in un vicolo cieco dal quale avrei fatto fatica a uscire. Passarono parecchie giornate idilliache, dove il bon-ton regnava sovrano, comunque mai noiose, anche perché le riconoscevo un intelligenza e un arguzia non indifferenti, sembrava quasi un quadretto inglese fine ottocento. Una sola volta cercai di sfruttare un occasione attirandola a me e cercando di baciarla, ma si liberò dalle mie braccia con eleganza e sorridendo mi disse:
“Devi avere pazienza, bisogna conoscere bene una donna prima di entrare dentro di lei: spiritualmente intendo dire”.     
Era passata una settimana dal suo arrivo e, malgrado tutti i miei sforzi, non riuscivo a spostare il suo interesse oltre le simpatiche discussioni, le passeggiate e i fiori, che amava moltissimo.
La mia ammirazione nei suoi confronti cresceva di giorno in giorno anche perché, abituato da tempo a ragazze molto disponibili e senza particolari inibizioni, i tentativi che stavo facendo con lei mi stuzzicavano particolarmente; era una dimensione nuova, per me, poter scoprire una donna con tante piccole sfumature che prima non avevo mai preso in considerazione, la cosa mi entusiasmava e mi eccitava più di quando ottenevo tutto e subito.
Un pomeriggio erano appena passate le tre, me ne stavo in cucina, decisamente il luogo più fresco di tutta la casa, un bicchiere di vino bianco ghiacciato in mano; la stanza era immersa nella penombra e i grossi balconi di legno semichiusi la riparavano dal sole che da giorni arrostiva la campagna; c’era un silenzio innaturale, quel silenzio di agosto che sembra fermare qualsiasi forma di vita.
Arrivò in punta di piedi alle mie spalle e, come una ragazzina, mi chiuse gli occhi con le mani, mi girai, sorrideva, lo sguardo intrigante, sicuramente poteva essere inteso come un invito ma, pur sorpreso, cercavo di leggere nei suoi occhi quali fossero le sue prossime mosse; pregavo mentalmente che anche lei avesse deciso di porre fine a quell’inutile tortura e che il momento tanto atteso fosse arrivato, cercai di attirarla a me ma si divincolò e prendendomi per mano mi condusse fuori, si accertò che nessuno degli ospiti della casa fosse in circolazione e con una breve corsa furtiva attraversò l’aia dirigendosi tra i filari di uva bianca dove si nascose.
Fui obbligato a seguirla, non potevo certo lasciarla andare da sola, mi aveva incuriosito mettendosi un dito sulle labbra per farmi capire di fare silenzio. Finalmente si fermò ansimando, mi prese il viso tra le mani baciandomi delicatamente sulle labbra, provai ad approfittare del bacio pensando che fosse il momento giusto ma con un gridolino scherzoso si staccò e corse via verso i campi di granoturco; si fermò dopo cinquanta metri girandosi, facendo cenno di seguirla. Sapevo che più avanti c’era una vecchia baracca di legno usata come ripostiglio per gli attrezzi, forse era lì che voleva andare, oppure ancora più in là dove il fiume formava un ansa che si prestava ai bagni; mi lasciò avvicinare per poi scappare all’improvviso e fermarsi davanti alla porta della baracca.
Cominciò a slacciarsi i bottoni della camicetta con fare provocante, la raggiunsi tutto sudato e con il viso paonazzo dal caldo, di nuovo con un balzo si rimise a correre. Cominciavo a stancarmi ma decisi di assecondare quel suo strano gioco, ero confuso, con i nervi a fior di pelle, senza fiato, era una situazione incredibile, irrazionale, voleva stimolare il mio desiderio, costringendomi a dichiarare la posta in gioco, a urlare la mia voglia, i suoi occhi elettrizzati dicevano:
“Vuoi il mio corpo? Eccolo! Vediamo se riesci a conquistarlo ma dovrai faticare, chiedere permesso, stare attento ai gesti che fai, alle parole che dici.”
Quando raggiunsi il fiume si era già spogliata e, immersa nell’acqua, mi guardava ridendo e con voce ironica mi gridò:
“Finalmente sei arrivato, pensavo che tu avessi cambiato idea, che aspetti a spogliarti e venire a prendermi? Non mi dirai che ti vergogni.”
Mi spogliai impacciato, conscio di quello sguardo che mi frugava, percepivo i suoi occhi analizzare attentamente ogni mio muscolo, provai ad immaginarli puntati sul mio sesso, le considerazioni che sicuramente stava facendo e rimpiansi l’abitudine di fare l’amore al buio in una stanza. Il voluto silenzio con cui aveva accompagnato tutti i miei gesti era pesante come un macigno, ero nelle sue mani, chissà se mi considerava un giocattolo e quali erano le sue reali intenzioni nei miei riguardi.
L’acqua lasciava trasparire il suo corpo tra mille riflessi verdi, si era spogliata completamente senza nessun pudore, sembrava volere ribaltare la persona tranquilla ed equilibrata dei giorni passati, adesso era lei a condurre il gioco, lei ad avere deciso che era arrivato il momento tanto atteso e che aveva sempre respinto. La raggiunsi e l’abbracciai, questa volta non scappò, cercai di essere il più naturale possibile, anche se l’eccitazione era visibile e il mio stato d’animo stava sgretolando le mie consolidate esperienze amatorie fatte negli anni passati.
Fu un amplesso anomalo, furioso, per me sicuramente liberatorio, immersi nell’acqua che dilatava le nostre forme in modo grottesco e che mi lasciò soddisfatto a metà; mi fece una carezza sfiorandomi i capelli e con poche bracciate raggiunse la riva e si sdraiò sull’erba.
Il gioco continuò a lungo, cercavo di riprendere in mano la situazione, non mi andava di lasciare ancora a lei l’iniziativa, aveva umiliato il mio “ego”, mi aveva trattato come un oggetto; continuava a comportarsi come aveva fatto prima di arrivare al fiume, si apriva e si chiudeva come un riccio, prima affamata e poi impaurita, lasciandosi toccare e assecondando ogni mio desiderio in modo remissivo, alternando momenti di dolcezza con altri di passione e con un’aggressività erotica che mi faceva paura; mi lasciò giocare con la sua pelle, con il suo ventre, diede prova di rara abilità con sottili esercizi di piacere mai provati e che assaporai con gioia, rimase quasi sempre in silenzio come se le parole e i tanti discorsi fatti giorni prima fossero stati cancellati dal presente.
Rincasammo che era quasi buio, Paolo era in pensiero, gli altri invece ammiccavano maliziosamente; qualcuno fece degli apprezzamenti ironici, non ci badai e mangiai svogliatamente; pur essendo appagato c’era  qualcosa che  mi rodeva dentro, non mi soddisfaceva, avevo bisogno di risposte ai tanti perchè che a mente fredda mi giravano nella testa e che sicuramente avrei faticato ad avere l’indomani.
Il dopo cena in veranda riportò tutto alla normalità, lei si ritirò subito nella sua stanza dicendo che era stanca della giornata, Paolo non la trattenne anche perché moriva dalla voglia di sapere.
Risposi pazientemente alle sue domande non c’erano mai stati segreti tra di noi, anche se avevo volutamente omesso le sue stranezze, volevo approfondirne la conoscenza, sapere chi fosse, ma avrei dovuto raccontare quanto successo quel pomeriggio con più particolari e notevole imbarazzo da parte mia, mi accontentai quindi delle scarne notizie che fu in grado di fornirmi.
Era venuta una sola volta prima di adesso assieme ad un amico a una delle tante cene che organizzava in casa, non sapeva o non si ricordava né il cognome e tanto meno l’indirizzo o in che città abitasse, era spuntata dal nulla quella volta ed era spuntata dal nulla anche adesso.
Convenne anche lui che aveva un qualcosa di strano, diverso dalle solite ragazze a cui eravamo abituati, e sentendomi parlare di lei in maniera accalorata, mi guardò sorridendo:
“ D’ì un po’ ha lasciato il segno o mi sbaglio? Per caso ti sei innamorato? Non ti ho mai visto così.”
“Ma no, scherzi! Lo sai benissimo che di donne ne ho sempre avute tante, senza legarmi particolarmente a nessuna, certo che di  questo tipo non ne trovi facilmente, ha una sua particolare classe e sicuramente non è facile entrare in sintonia con il suo modo di vedere le cose.”
“Vedrai che questa notte ti farà una sorpresa, la governante mi ha detto che si è informata da lei su che stanza occupi.”
“Sarebbe meraviglioso, la naturale prosecuzione di quanto successo nel pomeriggio”; dissi nascondendo la mia perplessità, “ma adesso scusami, mi ritiro anch’io.”
Rimasi al buio, sveglio, ripensavo al pomeriggio trascorso, cercavo di analizzare il comportamento di quella donna, le sue due facce incomprensibili: raffinata, elegante, sicura nei gesti e nel modo di parlare con le persone; aggressiva, passionale, incomprensibile ed enigmatica nell’intimità; che volesse fare sesso lo aveva fatto capire chiaramente ma perché farlo in quel modo? Voleva vendicarsi di qualche sopruso subito in tempi passati? Perché aspettare le tre di un pomeriggio torrido in mezzo alla campagna, lontano da occhi indiscreti, quando avrebbe potuto farlo in camera mia con discrezione e senza che nessuno si accorgesse di nulla? Quello che mi rodeva di più era stata la sua impassibilità dopo aver fatto l’amore, nessun cenno di gioia da parte sua, solo un debole sorriso e una carezza sulla guancia, come fosse un dovere a cui non poteva sottrarsi, un amara medicina da bere fino in fondo; mi chiedevo, forse ingenuamente, se fossi stato io la causa involontaria di quel suo strano comportamento, forse i miei gesti erano stati troppo affrettati, insoddisfacenti?
Conclusi che non avevo niente da rimproverarmi: il giorno dopo avrei  approfondito l’argomento, non volevo certo lasciarmi sfuggire il seguito di questa fantastica storia e soprattutto capire il suo tormento, perché sicuramente in quei momenti qualcosa la turbava, troppo altalenante il suo modo di fare l’amore: distaccato, a tratti pudico, poi disinibito.
Guardai l’orologio, sicuramente non sarebbe più venuta, se mai ne avesse avuta l’intenzione e, spenta la luce, mi addormentai: domani sarebbe stato un giorno tutto da inventare. 
Al mattino mi alzai di buon ora e scesi in cucina, attesi che la governante mi portasse la colazione e poi m’informai distrattamente se qualcuno fosse già sveglio.
“No signor Eugenio, stanno ancora dormendo tutti, solo la signorina Daniela si è alzata presto, ha fatto le valigie ed è ritornata in città.”





Sentivo voci concitate intorno a me, qualcuno mi porse un bicchiere d’acqua,
aprii gli occhi, visi curiosi mi osservavano con apprensione, alcuni sorridevano:
“Stia tranquillo signore è solo svenuto e ha faticato parecchio a riprendere i sensi, abbiamo chiamato i soccorsi adesso la porteranno in ospedale per accertamenti.”
Girai lo sguardo intorno e il sorriso rassicurante di Erika mi fece sprofondare nel buio: meglio tornare a sognare.       

lunedì 20 febbraio 2012

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri (Alda Merini)

Bellezza - Charles Baudelaire

TRISTEZZA DELLA LUNA Charles BaudelaireCOLONNA SONORA Debussy Clair De Lune

RAGNATELA



Finito il temporale,
osservando fiori e frutta
gocciolare d’acqua,
intravedo il mondo
attraverso una ragnatela.
La grande via lattea,
sporca di passi stanchi,
il grande carro pieno
di povere cose,
i vetri rotti di una finestra,
il gioco di bambini
dai vestiti laceri.
Poche note di un pianoforte;
suona a vuoto,
solo per se stesso.
Fu in quel momento
che sigilli reali
si staccano da porte
inchiodate,
pezzi di vetro
riprendono la loro
armonia sulle finestre,
muri anneriti ritornano
bianchi.
Appare la luna,
gioiello prezioso
messo a guardia
del cielo;
rimane a sorvegliare
quelle povere cose
per tutta la notte,
finché il gallo
sul campanile,
non canterà tre volte.
                     

                    

                     49

giovedì 16 febbraio 2012

[HQ] Led Zeppelin - Whole Lotta Love 1979

Led Zeppelin - Tangerine (1975) HQ

Jeff Beck and Jimmy Page-Beck's Bolero and Immigrant Song (R+R Hall of F...

deep purple & led zeppelin & eric clapton & london shymphony orchestra -...

Deep Purple - Made In Japan - Smoke On The Water Live (BEST VERSION)

Deep Purple - Black Night HD 1971 (TVshow ,UK)

Led Zeppelin ~ Live ~ Whole Lotta Love ~ 1970 ~ HD

Jimi Hendrix - Gloria

Who - Summertime Blues (live,1969)

mercoledì 15 febbraio 2012

The Verve - Bitter Sweet Symphony

The Cranberries - Linger


Un cane corre per strada, inseguito da un ragazzo. Una lunga corda li unisce, si impiglia nelle gambe dei passanti, che brontolano...............”

                                                                       
EROS……. CHE CANE RAGAZZI


“Ma tu guarda che maleducato.”
“Tienilo più stretto quel cane.”
“Tornatene a casa.”
Era un coro di proteste che non finivano più, una vecchia addirittura per poco non cadeva per  terra; naturalmente al ragazzo, che aveva in custodia il cane, non gliene fregava niente e, all’animale, ancora meno, anzi sembrava quasi volerlo stancare, correva sempre più forte per vedere chi dei due mollava per primo la presa o se la corda si staccava e lo lasciava libero di correre nelle aiuole, di annusare le tracce odorose di una cagnetta e di lasciare le sue come richiamo per eventuali incontri: non si poteva mai sapere.
Il ragazzo, stanco, si diresse verso il parco dove finalmente si fermò a riposarsi su di una panchina, legò il guinzaglio e rimproverò il cane, che nel frattempo si era accucciato per terra, dello scompiglio creato poco prima in strada.
“lo so che vorresti andartene via per conto tuo ed avresti anche ragione ma non posso lasciarti libero, non saprei come giustificarmi con Valerio, il tuo padrone, che mi ha chiesto di portarti a spasso, giuro comunque che questa è l’ultima volta che gli faccio questo piacere.
“Senti il signorino, perchè non provi anche tu a passeggiare con qualcuno che ti tiene a guinzaglio, oppure che ti tiene bloccato quando vedi una femmina bella e abbordabile impedendoti la conquista e reprimendo i tuoi desideri?”
Peccato che non riuscissero a capirsi altrimenti se ne sarebbero viste delle belle, si guardavano male, questo sì, mentre il ragazzo diceva:
“E’ inutile che mi guardi con quegli occhi, tanto fin che sei legato alla corda da qui non scappi, si va dove voglio io.”
Aspetta, aspetta, vedrai che bello scherzo ti combino, lasciami solo l’occasione giusta.”
E l’occasione puntuale arrivò.
“Ciao Angelo, cosa fai qui con quel cane al guinzaglio?”
“Ciao Antonella, non lo vedi? Sto facendo un piacere ad un amico, lo sai benissimo che il cane non è mio:”
Era quello che Eros, il cane, stava aspettando, un momento di distrazione e via di corsa senza ascoltare le urla e i richiami di Angelo; quella corda però gli dava fastidio, era troppo lunga e gli impediva i movimenti, ma in qualche maniera riuscì a liberarsene: ci mancava che fosse quello il problema.
C’era molto traffico e andare a piedi sarebbe stato troppo pericoloso, doveva trovare il modo per arrivare in centro dove  c’erano le zone blu a traffico limitato, lì sarebbe stato al sicuro.
Vide una fermata dell’autobus, si guardò intorno e raccolse delicatamente, con la lingua, un biglietto da terra, si nascose sotto una panchina e appena ne arrivò uno si infilò dentro; con il biglietto in bocca poteva passare per un qualsiasi cane che accompagnava il padrone a far compere in piazza, piuttosto sperava di aver preso il mezzo giusto, non aveva molta dimestichezza con i numeri e con i nomi delle strade.
La fortuna, comunque, quella mattina girava dalla sua parte, riconobbe Porta Savonarola e quando scorse la mole del Duomo, si posizionò davanti alla porta d’uscita suscitando stupore e curiosità divertita nei passeggeri che fino a quel momento lo avevano ignorato, scese sputando il biglietto sul marciapiede, chissà magari poteva servire a qualcun altro.   
La piazza era piena di gente, si ricordò che era domenica e tutti erano andati a messa, doveva stare attento, intorno alla chiesa potevano esserci dei vigili e quelli non guardano in faccia nessuno, uomini o cani erano la stessa cosa per loro anzi, al posto della multa per lui ci sarebbe stato un trattamento speciale: l’accalappiacani.
S’inoltrò sotto i portici, i negozi erano chiusi, e c’era meno gente di passaggio, vide arrivare in lontananza un uomo con un doberman al guinzaglio e, con un tuffo al cuore, si rifugiò in un vicolo sperando di passare inosservato, respirò soddisfatto per lo scampato pericolo, osservando i due che si allontanavano senza averlo visto, per lui povero bastardino una discussione con quella “bestia”, anche se della stessa specie, sarebbe stata inopportuna oltre che fatale. Si fermò a guardare con occhi affamati una vetrina di prosciutti, fu attratto dall’odore pungente di una macelleria e si ricordò che aveva già saltato il pasto di mezzogiorno e stava venendo sera: che fare? Oltretutto non aveva ancora raggiunto il vero scopo della sua fuga; trovare finalmente una cagnetta con cui spassarsela allegramente, mica voleva fare orge ma insomma, l’arretrato era parecchio e la cosa stava diventando preoccupante per il suo stato pisico-fisico.
 Eccola finalmente, la vide poco distante sdraiata su uno spiazzo d’erba, una barboncina bellissima, stupenda, con il pelo tirato a lucido, roba da gran signori, si vedeva che era di tutt’altra estrazione sociale; si guardò attorno guardingo, bisognava stare attenti, potevano esserci dei pericoli nascosti, la cosa sembrava troppo semplice e perfetta anche a lui; vide solo una vecchia che teneva in mano un guinzaglio, sicuramente l’aveva appena lasciata libera di scorazzare. Partì all’attacco incurante degli strilli della donna, conscio del fatto che la barboncina era anche lei fortemente interessata. Si annusarono con soddisfazione e reciproche dimostrazioni di affetto, aveva già adocchiato un posticino tranquillo, mica voleva farlo in strada, in fin dei conti era un gentiluomo.
La vecchia depose le armi e si arrese, per fortuna, c’era il rischio che le sue urla richiamassero  l’attenzione di qualcuno; si sedette su di una panchina e molto pudicamente volse le spalle, chissà forse era appena andata a messa. Così senza entrare nel merito di particolari più o meno interessanti, un po’ il furore giovanile di Eros e della cagnetta che pur sembrando una santarellina sembrava saperci fare, passò parecchio tempo. Furono i richiami della padrona a farli uscire dal beato nirvana in cui si erano isolati:
“Vieni qui Sissi, dove ti sei cacciata? Hai finito? Sporcacciona! Vergogna! Guarda come ti sei conciata, sembri appena uscita da un bordello. E tu delinquente, da dove vieni? Sei scappato di casa vero? Chi è il tuo padrone? Sempre ammesso che tu ne abbia uno; non poteva trovarti lui una cagna più adatta a te che sei un bastardo, un incrocio di chissà quante razze, così sarebbe rimasto tutto in famiglia?”
La vecchia era furibonda e ne aveva tutte le ragioni, la barboncina era ridotta in condizioni pietose, ci avevano messo parecchio impegno tutti e due, e alla soddisfazione di Eros per il risultato conseguito c’era la felicità della cagnetta che probabilmente aspettava da tanto tempo un occasione del genere.
Fecero per ritornare a casa ma la piccola Sissi si rifiutava categoricamente di seguire la padrona che alla fine stremata si rassegnò.
“Forza seguici, per questa notte ti darò ospitalità, ma patti chiari: camere separate o non se ne  fa niente.”
“Stai fresca se pensi che basti una porta chiusa per fermarmi.”
Rimediò un ottima cena e una notte favolosa come da anni non aveva più passato, in fin dei conti non poteva lagnarsi, era stata una giornata fortunata, molto fortunata, chissà domani.

martedì 7 febbraio 2012

Gloria (Studio Version) Jimi Hendrix

THE WHO - Behind Blue Eyes live 1979

Neil Young Rockin' In The Free World

Losing my religion Lacuna Coil.wmv

Clannad & Bono - In A Lifetime (1985)

Robert Plant - Burning Down One Side

Amy Winehouse and Mick Jagger Ain't Too Proud To Beg

Mick Jagger - Angel in My Heart

The Rolling Stones - LADY JANE

The Rolling Stones-" I'm Free" -hyde Park 1969

Rolling Stones - Miss You (Live In Texas 1978) (2011)

Rolling Stones - Love In Vain (1969) Best Live

The Rolling Stones Jumpin' Jack Flash 1969

lunedì 6 febbraio 2012

Bonnie Raitt - Cold Cold Cold (from Lowell George Tribute Album)

CERVELLI IBRIDI





Durante la mia degenza in ospedale, poche settimane fa, ho comperato la rivista “Focus”, che ho trovato molto interessante (di solito non la seguo); c’erano nella parte centrale, una serie di articoli, riguardanti i vari aspetti del cervello, sue funzioni, esperimenti per modificarlo e altri argomenti, che mi hanno spinto, una volta venuto a casa, a scrivere queste osservazioni.

Partendo dalle recenti sperimentazioni fatte sul cervello, catalogate come fantascienza e ricollocate a titolo di sola scienza in questi ultimi anni, impariamo che le connessioni tra chip e neuroni, cervelli ibridi, lettura del pensiero e dei sogni, non sarànno più un tabù, questo grazie alle continue ricerche effettuate a tutti i livelli. Che potremo curare la memoria agendo sulle parti del cervello atrofizzate, fino ad arrivare alla modifica dei batteri, per fare dei circuiti logici, organici, ovvero la realizzazione di un computer al 100% compatibile con le nostre terminazioni nervose, modellando sotto forma di circuito, le molecole del DNA, primo passo per la realizzazione del computer genetico, ovvero, se l’uomo muore, il suo cervello programmato dentro al computer diventa immortale, anche se manca la forma corporale. Fin qui la parte tecnica, riservata, con termini comprensibili, ai non addetti ai lavori. Ora l’argomento si sposta, e qui si fa interessante, sull’intelligenza del WEB. Il computer, in sostanza, non potrà mai avere un’intelligenza sua naturale, a meno che non intervengano modifiche, come quelle sopra citate, dovrà essere sempre programmato dall’uomo. Supponiamo però che ci sia un’intelligenza superiore, a noi invisibile perché non si materializza, a livello corporeo, come gli esseri umani; supponiamo che non viva su altri pianeti e che non sia  identificabile con il solito marziano con il naso lungo e le antenne ma che sia già presente sulla terra, camuffata da macchina intelligente che ci osserva  e cerca di capire i nostri comportamenti, modificando addirittura, noi inconsapevoli, il nostro vivere quotidiano e, sempre supponendo, che abbia trovato nel sistema “Internet”, la naturale macchina fondata apparentemente sulla stessa struttura articolata del cervello umano. Sarebbe, quindi, un’intelligenza aliena che avrebbe un impatto rivoluzionario, sul lato umano dell’uomo: angosce, emozioni, felicità, ira e altro; sarebbe collegata 24 ore su 24, interagendo con i  nostri pensieri, azioni, come un cervello esterno che aumenterebbe la propria potenza in modo continuo, ci lascerebbe vivere la nostra vita materiale ma sarebbe lui a controllare ogni nostro impulso elettrico o nervoso.
La grande sfida, semmai, è riuscire a identificare un’intelligenza artificiale di questo genere, visto che siamo troppo abituati a considerare e analizzare il nuovo, utilizzando sensori materiali, quali olfatto, colore, suoni. Potrebbe essersi incarnata in uno dei tanti animali ancora sconosciuti all’uomo oppure mimetizzata in uno dei tanti che consideriamo inferiori. Oppure bisognerebbe riuscire a filtrare l’enorme quantità di segnali che regnano nel sottobosco di internet, per esempio, quelli che, magari, cataloghiamo come banali interferenze prodotte dall’intelligenza umana; a questo punto, con qualcosa di tangibile in mano, si potrebbe avere qualche certezza di scoprirla. Per ultimo, quale significato dare alla parola intelligenza; sicuramente la competizione, la riproduzione, la lotta per la sopravvivenza, hanno favorito l’intelligenza animale e umana, e quali sono i suoi limiti? Se l’intelligenza continua ad evolversi utilizzando quello che viene definito progresso, vuol dire che non è ancora arrivata al top. E quella artificiale, della quale abbiamo parlato fino adesso, se è puro spirito e non possiede istinto di sopravvivenza, vuol dire che ha già raggiunto il massimo e non  ha necessità di raggiungere altri traguardi. Sarebbe una linea continua, infinita che non nasce, non muore, esiste, del tutto indifferente al concetto di fine. E, qui mi fermo, sulle tante analisi che si potrebbero fare dopo aver letto i vari articoli tra di loro collegati anche perché vorrei fare una riflessione tra i due concetti di spirito che ci accompagnano nella vita terrena, quello religioso che, forse, è molto più materiale di quanto si pensi, visto che obbliga le persone a credere in un punto di domanda chiamato Dio, delegando a lui tutti i dubbi e i perché che ci assillano durante la nostra odissea quotidiana oppure, cercare di interagire con un’intelligenza superiore, formata, si presuppone, da impulsi elettrici o pseudo tali, senza sapere se quest’intelligenza, riveste una forma materiale, come le tante esistenti nell’universo. Traduzione: preferiamo vivere la nostra vita corporale, delegando la nostra spiritualità al raggiungimento di un ipotetico Paradiso terrestre o preferiamo utilizzare la materia (corpo), come contenitore che ci permette di sviluppare il nostro cervello ovvero la nostra intelligenza “umana”, alla ricerca di qualcosa di infinito? Il quesito non è certo di facile interpretazione, visto che si dovrebbe scegliere tra il mantenimento di uno status materiale, la vita terrena, con una speranza spirituale tutta da verificare oppure scegliere di confrontarsi con l’ignoto, sotto forma di impulsi elettrici e cercare di coniugare quest’ultimi, con quelli presenti nel nostro cervello. 
La conseguenza, in questa seconda ipotesi, è ovviamente che si dovrebbe per forza di cose abbandonare il lato visibile dell'uomo e puntare a diventare un entità astratta, indefinita anche se dotata di poteri intellettuali (chiamiamoli così, non mi viene niente di meglio come esempio), immensi e inconcepibili nello stato attuale in cui si trova ad agire il cervello umano, con l’incognita di non riuscire a fare nessun raffronto, tale da poter spingere la nostra curiosità a fare un salto nel vuoto, nel nulla o nel buio come preferite e realizzare quel sogno di immortalità tanto caro al genere umano. Ma attenzione, quale tipo di immortalità, quella corporea, tangibile o quella invisibile fatta di chip, impulsi elettrici che vagano nell’etere a nostra insaputa come folletti impertinenti che giocano con la vita degli uomini?
Mi piacerebbe, molto, se qualcuno aprisse un confronto, su queste mie idee, sicuramente opinabili ma che, a mio avviso, non hanno niente di fantascientifico anzi potrebbero essere il dialogo per un futuro neanche tanto lontano.           

CHECCUSWRITER
06 Febbraio 2012-02-06
Riproduzione riservata

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sabato 4 febbraio 2012

DIALOGO IRREALE


                   

Guarda, è già notte,
osserva il cielo, le stelle,
la loro luce sul tuo viso.
La notte è bella, immensa;
toglie la maschera
che ti nasconde,
addolcisce i lineamenti.
Amo la pace che
riempie i tuoi occhi,
la voglia d’amore
di un bimbo diverso,
la musica nata
quasi per caso,
le note che brillano
al buio.
La notte è bella,
un fiume impetuoso
che trascina a valle
l’odio, accende falò
dove bruciano
tutte le vergogne;
ti prende per mano,
ti porta nel
paese della felicità.





















Il giorno della memoria dedicato all'olocausto, io ero in ospedale e non ho potuto pubblicare queste mie parole sul mio blog. Lo faccio adesso, sperando nel mio piccolo di contribuire all'importanza e al significato di questo evento.


Nel vento

Voli nel vento,
piccolo fiocco di neve,
ti appoggi a una
nube di cenere,
folle epilogo di chi
subisce l’altrui pazzia.
Vorresti coprire
quel filo spinato,
cadere sull’erba,
dare il tuo piccolo
contributo alla vita.
Ma il freddo che
ti nutre, è generato
da un mostro, invisibile
all’animo umano.
Ti mescoli a quella
nube grigia,
l’accompagni in silenzio,
ti disperdi con essa
In un tragico mattino
di follia.
Osservi uomini stanchi,
privati del loro essere,
camminare in silenzio
incontro al loro destino.
La loro morte,
soddisfa l’odio,
padrone assoluto
di menti malate.