domenica 29 ottobre 2017

Antonio Gramsci - Odio gli indifferenti,

Odio gli indifferenti. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera [...]
Antologia minima: Antonio Gramsci - Indifferenti (La città futura, 11 Febbraio 1917)
libriantichionline.com

sabato 28 ottobre 2017

DIECI COSE DA SAPERE SUL LUPO

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10 COSE DA SAPERE SUL LUPO è un video di animazione che nasce dalla volontà di fare una corretta comunicazione sul…
youtube.com

Guerra al lupo: numeri e bracconaggio in Italia



Ogni anno vengono uccisi 300 esemplari su una popolazione di 1.700 unità. Mentre si crea un clima d'odio tra allevatori e animalisti. Le cifre dello scontro sull'abbattimento del predatore.
lettera43.it

mercoledì 25 ottobre 2017

"Mi ricordo un ebreo olandese che domandava irato: "Dov'è mia moglie"? Dove sono i miei bambini"?




Sono stanco di leggere negazioni di fatti avvenuti e certificati, sono stanco di leggere violenze contro diversi, di bullismo contro coetanei la cui sola colpa è quella di volere vivere una vita senza odio e prevaricazioni, sono stanco di vedere ridicolizzata la storia da gente che non l’ha mai studiata né a scuola né a casa. Se identificare il fascismo significa chiamare in causa i soggetti storici del secolo scorso, adesso bisogna fare i conti con ben altro, magari banalizzato e giustificato in nome del progresso economico, di quello intellettuale ormai non c’è più traccia. L’odio viene insegnato nelle strade, negli stadi di calcio, nelle tribune politiche, nella vita sociale quotidiana. Mi chiedo che significato può avere per un ragazzo tenuto all’oscuro di tutto per ignoranza, paura, accondiscendenza, le “annuali celebrazioni alla memoria” se queste non sono adeguatamente accompagnate da un’educazione che dovrebbe nascere in primis nelle famiglie e che invece viene lasciata al caso. Le indignazioni, sicuramente giuste, ci mancherebbe se non lo fossero, lasciano il tempo che trovano e servono solo a tranquillizzare le coscienze di chi crede di avere la storia e la ragione dalla sua parte per diritto acquisito. La realtà ci dimostra l’esatto contrario e tutto questo è molto triste soprattutto perché la negazione stessa cancella il diritto di vivere di un popolo, quello ebraico che ogni volta è costretto a dimostrare che sei milioni di persone sono realmente state cancellate da uno psicopatico osannato e celebrato da folle oceaniche ma forse è di questo che una parte, spero solo una parte, della società italiana ha nostalgia: “Pancia piena e cervello vuoto”.

Francesco checcuswriter Danieletto











Queste pagine sono tratte dal racconto “Intrigo internazionale”

Inserito nel libro “Le ragioni della follia”, da me edito nel 2012.

Ritengo possano essere un valido contributo alla discussione su quanto sta accadendo in questi giorni.









…Giunte a Cracovia ci sistemammo in albergo e organizzammo la visita ad Auschwitz-Birkenau per il giorno successivo.                                                                                                                                                         "Oswiecim fu scelta dai tedeschi nel 1940 e vi fu costruito un campo di concentramento denominato A1 potenziato poi nel 1941 con la costruzione del campo di Birkenau A2. Verso questo e altri campi, Adolf Eichmann e i suoi subordinati organizzarono il trasporto di ebrei, slavi, zingari, prigionieri politici e omosessuali, provenienti da ogni parte dell'Europa occupata; il capolinea erano quelle rotaie che entravano direttamente nel campo e i movimenti ferroviari meticolosamente registrati dai tedeschi fornirono agli storici, a guerra finita, numerose e dettagliate informazioni sullo sterminio.

Nei primi giorni del 1945 fu abbandonato dai nazisti sotto l'incalzare delle truppe sovietiche che vi entrarono duesettimane dopo trovando7600superstiti.      

La guida continuava monotona nell'esporre i fatti storici avvenuti in quei luoghi di orrore, mi fermai a lungo a guardare quelle file di baracche, era un campo immenso; raggiunsi Maria che si era allontanata dal gruppo, stavamo guardando i forni crematori quando una voce alle nostre spalle disse:     

"Lì dentro venivano trasformati in polvere, ci passò anche mio nonno che con la sua vita salvò mio padre ma questa è una storia che a voi non interessa."          

"Jan sei tu? Ma cosa sono tutti questi travestimenti? Mi puoi spiegare una buona volta in che razza di storia siamo finite?"

Stava per rispondermi quando Maria si girò e scambiatolo per una guida   chiese ingenuamente:

"Mi faccia capire ma li bruciavano vivi per caso?"

"Ma no! -- sorrise -- li portavano a fare la doccia, solo che dal getto anziché acqua usciva gas nervino, il famoso Ziklon B,  poi, una volta morti, li bruciavano; di solito li dividevano all'inizio: quando arrivavano, separavano donne, vecchi e bambini che sparivano subito, gli uomini, quelli validi, venivano impiegati a Monowitz, negli impianti industriali gestiti dalle SS, poi man mano che cedevano fisicamente, entravano nelle "selezioni settimanali":  l'ultimo anno giornaliere."

Aveva spiegato la cosa con una tale naturalezza da lasciarmi stupefatta, forse perché non mi ero mai veramente resa conto dell'abisso infame che aveva segnato questo angolo di mondo, qui non si trattava di Caino e Abele ma di miserabili che usavano lo sterminio di esseri umani per creare una nuova società fondata sulla purezza della razza, dove non c'era posto per niente altro all'infuori della loro follia, ma un conto é leggerlo  sui libri, un altro é vedere di persona; lui, probabilmente, avendolo già visitato altre volte, non ci faceva più caso.

Si avvicinò una donna che salutò con un cenno Jan e ci consegnò un piccolo foglio di carta scritto a macchina, sembrava una poesia e incuriosita lo lessi:



"Mi ricordo un ebreo olandese che domandava irato:    
"Dov'è mia moglie? Dove sono i miei bambini?"

Gli ebrei delle baracche risposero:

"Guarda i camini, sono là, sono lassù".

Ma l'olandese imprecò e disse:

"Ci sono così tanti campi qui intorno,

mi avevano promesso che saremo stati insieme."

L'intero enorme crimine si reggeva sull'incredulità.

Quando arrivammo ad Auschwitz sentimmo un odore dolciastro. Ci dissero:

“A tre chilometri da qui, in quella direzione, le persone vengono gasate: non ci credemmo."



"La conosci quella donna?" Chiesi a Jan.

"L'ho vista altre volte ma non è pazza, credimi, è solo una delle tante, parente di qualche sopravvissuto, trattata con scherno da chi continua a negare la verità, a dire che qui, come in altri campi di sterminio non è successo nulla: è tutta fantasia, quasi che la “soluzione finale", la morte di sei milioni di persone, il 40% della popolazione ebraica mondiale e di almeno un altro milione di "non ariani" sia una colossale mistificazione della storia.

Quella donna è incredula, come lo erano a quel tempo tutti coloro che ne sentivano parlare, incredula che possano esserci persone che negano anche un’evidenza come questa: Auschwitz.    

Volevo riportare Maria e  Jan ai nostri problemi comuni ma non ci riuscii, le cose che mi aveva raccontato il nostro amico  erano interessanti e mi stavo rendendo conto che la nostra ignoranza sull'argomento era enorme o quantomeno superficiale e che la storia, quella vera, ci era sempre stata spiegata con grande enfasi senza entrare nel merito, poche parole per mettere a tacere la nostra curiosità, se mai ci fosse stata, e stendere un velo pietoso su questa tragedia. Forse è per questo che c'è gente che nega l'olocausto, credono impossibile che una sola persona possa aver organizzato lo sterminio  totale di un popolo, l’annientamento di un uomo: morale, umano, psichico, nei piccoli gesti quotidiani che ormai rappresentavano tutto il suo mondo dentro quelle baracche, far uscire le debolezze, la cattiveria, l'astuzia per sopravvivere, la ferocia nel difendere un pezzo di pane, fino alla morte, soluzione finale per uno scheletro ormai privo di tutto: volontà, dignità, parola, cervello, voglia di vivere; più che di lacrime e commiserazione qui c'era bisogno di pensare, di capire fino a che punto un uomo è belva e l'umanità complice, se non ci sia bisogno, piuttosto che di: "negazione di quanto avvenuto”, di illuminare la strada affinché non si ricominci daccapo, magari sotto altre insegne, nella stupida gestione quotidiana delle cose. Mai come in questo momento mi tornarono attuali nella mente le parole scritte da Primo Levi nel prologo del suo libro:



"Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo é un uomo,

Che lavora nel fango,

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane,

Che muore per un sì o per un no,  
Considerate se questa é una donna,

Senza capelli e senza nome,

Senza più forza di ricordare,

Vuoti gli occhi e freddo il grembo,

Come una rana d'inverno.

Meditate che questo é stato:

Vi comando queste parole, scolpitele nel vostro cuore,

Stando in casa, andando per via,

Coricandovi, alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli, o vi si sfasci la casa,

la malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi."

                                                         











martedì 24 ottobre 2017

La furbata di Zaia

La furbata di Zaia non mi è piaciuta
Ho stima per il governatore Zaia e per il.senatore Giorgetti che considero i volti umani della Lega .
Ma questa sceneggiata del referendum che non servirà a nulla per ottenere ciò che di più si vuole ottenere ( i 9/10 del residuo fiscale come avviene per il Trentino Alto Adige ) è solo propaganda preelettorale e rafforzamento di Zaia all 'interno della Lega .Si sono spesi però 16 milioni e ne sono stati tagliati 30 alla nostra Ulss 3.
Nella foto la lettera dell'ex ministro Costa sulla apertura del negoziato per il Veneto che Zaia rifiutò
Vincenzo D'agostino

giovedì 19 ottobre 2017

Su Bankitalia il Pd ha commesso un errore, spero veniale




C'è una contraddizione fra le opinioni che Matteo Renzi esprime su Banca d'Italia e l'azione del governo da lui diretto. Il governo Renzi ha realizzato interventi sul sistema bancario attesi da molto tempo e da sempre perorati e sostenuti da via Nazionale, come la riforma delle banche popolari e quella del credito cooperativo.
Ha attribuito a Banca d'Italia, con un decreto legislativo dell'estate 2015, il potere di sostituire manager e consigli di amministrazione. Si tratta di una storica richiesta di via Nazionale, che in precedenza poteva esercitare influenza per il ricambio degli organi amministrativi di banche "devianti" solo con la moral suasion, oppure doveva attendere gli eventuali provvedimenti emanati dall'autorità giudiziaria.
Renzi è insomma il capo di governo che è riuscito a portare a buon fine indirizzi di politica e regolamentazione bancaria tradizionali dell'advocacy di Banca d'Italia. Sorgono allora due domande: perché la politica era restata sorda, prima di Renzi, a quelle proposte? E perché oggi Renzi litiga con Banca d'Italia, dopo essere stato il più efficace alleato e attuatore delle idee che provengono da quella istituzione?
Non si tratta di domande per i libri di storia, come si è visto ieri a Montecitorio dove il Pd ha presentato (da solo, senza concordare un testo condiviso con l'intera maggioranza) una mozione che impegna il governo, nella prossima nomina per il governatore di Banca d'Italia, a individuare "la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell'Istituto".
La mozione viene interpretata come segnale di sfiducia del partito di maggioranza relativa nei confronti degli attuali vertici di via Nazionale: una cosa mai accaduta, a mia conoscenza, nella storia repubblicana. È stata elaborata senza alcuna discussione all'interno del gruppo parlamentare e depositata in extremis, in modo che nessuno potesse venirne a conoscenza leggendo gli atti parlamentari pubblicati. È stata approvata con alcune decine di astensioni e di mancate partecipazioni al voto nei banchi del centrosinistra (faccio outing: io non ho partecipato al voto). Mette il Pd su una strada scivolosa: il Parlamento non ha competenza sulle nomine in Banca d'Italia, che si evolvono e si chiudono in una triangolazione fra Consiglio della stessa banca, Palazzo Chigi e presidenza della Repubblica. Il tutto a tutela di un bene preziosissimo, l'indipendenza di via Nazionale dalla politica.
Torniamo alle due domande. Nei lunghi anni precedenti la stagione di "radicalismo riformista" incarnata da Matteo Renzi la politica aveva difeso lo status quo del sistema bancario e negato a Bankitalia il potere di rimozione degli amministratori. Perché? La mia risposta deriva da un'esperienza sul campo. Sono stato relatore alla Camera della riforma delle banche popolari (marzo 2015) e ho sperimentato in via diretta la forza di pressione e di condizionamento che quel segmento di settore bancario esercitava (credo più o meno da sempre) sulla politica, soprattutto negli ambiti locali di principale insediamento storico (Lombardia, Veneto).
Renzi ha rotto quella consuetudine e ha fatto la riforma come Banca d'Italia l'aveva proposta, obbligando le grandi banche popolari a diventare Spa e a confrontarsi con il moderno mercato dei capitali, che può fornire abbondanti risorse da trasferire alle economie locali sotto forma di credito ma chiede in cambio trasparenza, accountability e una governance dedicata all'efficienza. Ciò che è emerso negli anni successivi su alcune banche popolari grandi e medie dà ragione a Renzi e a Banca d'Italia.
Sia detto per inciso, non dà ragione al M5S, che si è opposto a tutte le riforme, delle popolari e delle Bcc oltre che a ogni altra innovazione normativa finalizzata al contrasto della crisi bancaria, schierandosi in modo ideologico in difesa del modello "banca locale" senza capire che le distorsioni derivavano proprio da quel modello. E che oggi, comodamente e senza pensare di rendere conto di questi clamorosi errori di valutazione, se la prende con Banca d'Italia.
Alla fine del 2015 sono arrivate le crisi di alcuni istituti bancari di dimensione piccola e media, proseguite nel 2016 con ulteriori episodi. Basta guardare la carta geografica per capire che tutte queste crisi hanno origine dal bancocentrismo del sistema produttivo dei distretti italiani, e cioè dal fatto che il canale principale e spesso esclusivo di finanziamento delle imprese, in particolare piccole e medie, è costituito dal credito bancario ordinario.
La crisi dell'economia reale in alcuni tradizionali distretti industriali che hanno sofferto più di altri la Grande Recessione si è trasmessa alle banche locali, poco diversificate sul lato sia degli impieghi che della raccolta. Una crisi che nasce quindi dall'economia reale e che in alcuni casi è stata amplificata da decisioni societarie e manageriali che, pur di evitare l'approdo al mercato dei capitali, che avrebbe potuto fornire risorse ma in cambio avrebbe chiesto trasparenza e modifiche di governance, hanno preferito piazzare obbligazioni subordinate ai piccoli depositanti oppure chiedere alla clientela privilegiata di comprare azioni su linee di credito fornite dalla stessa banca.
È chiaro insomma che i comportamenti di alcuni istituti bancari (soprattutto di quelli locali e non capitalistici, tanto enfatizzati dalle ideologie anti-mercato) possono essere stati poco prudenti o addirittura distorti: su questo valuterà la magistratura nei tanti procedimenti in corso, sperando che non vengano intralciati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta appena istituita (io avrei preferito una Commissione parlamentare d'indagine, perché nella storia italiana purtroppo le Commissioni parlamentari di inchiesta sono note per avere ostacolato piuttosto che facilitato il lavoro della magistratura). In nessun caso, però, è emersa finora una responsabilità della vigilanza. Al contrario le inchieste giudiziarie sono state attivate dai rapporti di vigilanza, ovvero si fondano su di essi.
Nessun errore, allora? No, di errori ne abbiamo fatti. Banca d'Italia riteneva che queste crisi avrebbero trovato soluzione – come le tante di piccole banche nei passati decenni – ricorrendo alle risorse del Fondo interbancario di tutela dei depositi. È intervenuta nei primi mesi del 2015 una novità, una cattiva notizia. La Commissione europea si è messa di traverso, per motivi (speciosi e discutibili) in materia di concorrenza: non si possono concedere sostegni pubblici a imprese in crisi e il Fondo interbancario, poiché regolato da norme legislative, anche se interamente finanziato dal settore bancario privato, equivale ad aiuto di Stato.
La Commissione, si badi, non la Banca centrale europea. Le piccole banche italiane in crisi sono state al centro di un conflitto fra Commissione (a tutela di concorrenza e bail in) e Bce (a tutela della stabilità finanziaria). Il circuito di comunicazione fra via Nazionale, via XX Settembre e Palazzo Chigi, nei mesi che vanno da marzo a ottobre del 2015, non ha percepito l'impatto che le nuove posizioni della Commissione avrebbero esercitato sulle crisi bancarie in fieri.
A due anni di distanza l'Italia ha ottenuto risultati importanti: le prescrizioni della Commissione sulle crisi bancarie sono state modificate. Il bail in, come applicato nel 2015, è stato superato da modelli di intervento più soffici (ricapitalizzazioni temporanee, conversioni fra vecchi e nuovi titoli, eccetera). Per le banche sottoposte a bail in sono state effettuate, e oggi accettate in sede europea in via generale, ampie azioni di risarcimento a beneficio dei piccoli obbligazionisti.
A livello macro le sofferenze delle banche italiane, derivanti dalla crisi dell'economia reale in un paese bancocentrico, si stanno considerevolmente riducendo (meno 25 per cento in base agli ultimi dati) grazie agli interventi normativi degli ultimi tre anni sul diritto fallimentare e sulle modalità di composizione delle crisi fra creditori e debitori, e grazie ai meccanismi di garanzia pubblica che stanno aiutando a creare un vero mercato dei crediti deteriorati.
Se nel 2015 c'è stata una sottovalutazione, con onestà va riconosciuto che il governo ne sarebbe responsabile almeno quanto Banca d'Italia, visto che il problema nasceva dalla Commissione europea ed è il governo che interloquisce con quella istituzione, non via Nazionale. Se è da lì, come io credo, che nasce la diffidenza renziana, questo mi sembra un buon motivo per scioglierla e superarla. Ma ce ne sono almeno altri tre.
Il primo è che – come sistema paese – siamo in fase ascendente, di recupero e di ripresa, non solo nell'economia nel suo complesso ma anche rispetto alle crisi bancarie. Il secondo è che questa fase di ripresa si fonda su riforme strutturali che Pd e centrosinistra, soprattutto durante il governo guidato da Renzi, hanno portato a conclusione anche collocandosi, per quanto riguarda il sistema bancario, sulle strade da tempo indicate da Banca d'Italia. Il terzo è che non sono comprensibili comportamenti del Pd di strappo istituzionale all'inseguimento del populismo.
Ieri il Pd a Montecitorio ha commesso un errore. Un errore, spero, veniale, che non cancella le riforme fatte negli ultimi anni. Che segnala però la necessità di riesaminare e valutare con lucidità e onestà intellettuale la vicenda della crisi bancaria e il giudizio sui diversi attori in campo, superando la contraddizione fra un Pd (renziano) che raggiunge molti degli obiettivi di riforma storicamente indicati da Banca d'Italia e un Pd (sempre renziano) che inopinatamente manifesta sfiducia nei confronti di questa istituzione.

martedì 10 ottobre 2017

NEUROPATIA DIABETICA

NEUROPATIA DIABETICA: L’ULTIMO POSITION STATEMENT DELL’AMERICAN DIABETES ASSOCIATION (ADA). È un documento aggiornato che rappresenta la posizione e il punto di vista dell’Associazione sulla #complicanzadiabetica più frequente, la #neuropatiadiabetica appunto, il cui nome in realtà fa da ombrello a un gruppo eterogeneo di situazioni che possono colpire diverse parti del #sistemanervoso, con manifestazioni e sintomi clinici differenti. Abbiamo chiesto al dr. Matteo Monami di chiarirci gli aspetti salienti del nuovo documento. Trovate l’intervista a questo link http://bit.ly/2wdo8YB

domenica 1 ottobre 2017

Si prepara la tempesta ma l'Europa combatte per vincere


Si prepara la tempesta ma l'Europa combatte per vincere

Si prepara la tempesta ma l'Europa combatte per vincere

 
 La società globale e la sua sempre più sviluppata tecnologia contengono al tempo stesso elementi positivi e negativi rispetto alla formazione dei giovani


Della Germania e dell’Europa si è già scritto molto sui giornali e su tutti i mezzi di comunicazione del mondo intero. Ora aspettiamo, anche perché è la stessa Angela Merkel ad aspettare. A noi urge che l’Europa faccia qualche passo avanti, ma in quale direzione e quando?

La Cancelliera ha bisogno di aspettare almeno un anno: deve perfezionare la sua alleanza con i liberali e i verdi, deve sondare il capitalismo tedesco che è una delle forze portanti del Paese; deve capire gli umori del cosiddetto popolo sovrano e conoscere il modo tutt’altro che facile di limitare l’improvvisa crescita dal 4 al 13 per cento dell’estrema destra para-nazista che in alcuni distretti, specie nell’Est tedesco, ha incassato percentuali ben superiori al 13, fino ad arrivare al 30 per cento.

Insomma, Merkel si trova in una situazione estremamente complessa; il suo Paese sta vivendo una fase pre-rivoluzionaria nel senso reazionario del termine. Del resto la storia della Germania moderna è sempre stata assai diversa da quella delle altre grandi Nazioni europee, come la Francia e l’Inghilterra. In quelle — tanto per dirla in breve — c’era un Re e i mutamenti sociali e politici avvennero gradualmente anche se crebbero società diverse rispetto ai punti di partenza (parliamo del periodo tra il Cinquecento ed oggi).

In Germania non fu così, almeno fino al Bismarck di fine Ottocento. Solo a quel punto il governo fu unitario. Prima era un territorio frammentato.

C’erano i Grandi elettori, i Principi o anche i Re della Sassonia, della Prussia, della Baviera, della Renania, delle città baltiche o amburghesi. Spesso nominavano l’imperatore dell’istituzione carolingia, ma contava ben poco. Insomma tardò molto a diventare una nazione e quando alla fine lo diventò, allora fu una potenza quasi egemone dell’Europa. Talmente egemone da suscitare l’avversione delle altri grande potenze europee, a cominciare dalla Francia pre e post rivoluzionaria.

È dunque su questo tema, storicamente occidentale, che gioca Merkel. La Cdu nasce come un partito di centro-destra, strutturalmente alleato con il Csu che è nettamente una destra, sia pur democratica. Naturalmente ci sono anche i socialisti del centro-sinistra e i semi-comunisti della Linke ma non hanno mai avuto la maggioranza salvo brevi e rari casi, l’ultimo dei quali fu quello di Schröder che governò dal 1998 al 2005. Un esempio certo singolare e di una rara cultura politica fu Helmut Schmidt. Ma è acqua passata. Un altro personaggio di grande statura europea fu Adenauer, contemporaneo del nostro De Gasperi. Era uno dei pochi tedeschi europeisti, ma quello ormai è un tempo lontano.

L’Europa d’oggi ha una quantità di problemi che ovviamente sono anche problemi italiani. Ne abbiamo parlato infinite volte e quindi non è il caso di ripeterci. Ma tra essi emerge un tema di fondo che possiamo definire con una parola: società. Che cos’è e come si concepisce la società? Parliamo naturalmente del mondo occidentale che ha una sua storia impossibile da confrontare con l’Oriente.

La società è un “insieme”. Deriva da un istinto di fondo della nostra specie, quello della sopravvivenza. È il fondamento degli altri istinti. Comincia dal neonato che lo avverte inconsapevolmente e continuamente: se ha fame piange, se ha un dolore di nuovo piange, se è sazio ride e s’addormenta. Ovviamente, quando l’età aumenta, quell’istinto emerge con sempre maggior chiarezza e si biforca: la tua sopravvivenza individuale e quella della specie. La prima è naturalmente la più avvertita perché noi siamo tutti individui; la seconda emerge di fronte ad eventi che impressionano tutti: una strage di persone compiuta da una guerra o da cause naturali.

Gli individui sentono dolore dentro di loro e reagiscono aiutandone le vittime e castigandone i responsabili con apposite leggi e solidarizzando con i colpiti. L’istinto di sopravvivenza è perciò assai complesso per i suoi effetti sociali. Ma la società non è dominata soltanto da quell’istinto: c’è la rete degli interessi non solo individuali ma della famiglia, della comunità di cui si fa parte, della città dove si vive, della Nazione di cui si fa parte, della religione che si pratica. Siamo tutti elementi fondamentali che configurano la società mondiale sempre più complessa. Questa complessità sfocia spesso in un’ideologia e nella politica che si propone di realizzarla.

Oggi però viviamo tempi bui. Molti reagiscono a queste situazioni affrontando la politica. L’affluenza alle elezioni sta crollando in quasi tutto l’Occidente. Si è visto in Francia dove Macron è stato eletto da una minoranza mentre il grosso degli elettori è rimasto a casa. Si è votato la settimana scorsa in Germania con molte astensioni e si era votato anche in America con l’elezione minoritaria di Trump.

Accanto all’astensione, che si registra soprattutto tra i giovani, si verifica anche un netto aumento di partiti che provocano la rabbia popolare contro la società e chi la guida, cioè le classi dirigenti. L’attacco più violento viene da una destra e una sinistra estreme, che con opposte motivazioni sono però accomunate da vero e proprio ribellismo. Non sono furori nuovi, la storia ci dice che ci sono sempre stati, non come situazioni permanenti ma come momenti di grave decadenza dell’istinto di stare insieme. C’è un detto di carattere religioso che ha un valore generale ed è questo: «Dio ha creato l’amore ed anche il viaggio».

Il viaggio, in questa frase, significa il mutamento che molto spesso provoca la trasformazione dell’amore in un sentimento diverso o addirittura opposto: non più amore ma indifferenza, antagonismo o addirittura odio; non più Noi ma Io, non più pace ma guerra, non più democrazia e libertà ma tirannide. Per fortuna (e per sopravvivenza) il viaggio verso il peggio non è la situazione naturale della società, anzi è un’emergenza e come tutte le emergenze non è la naturalità, ma non è neppure un raro evento. La natura è “l’insieme”, spesso però insidiato dall’emergenza.

In un bel libro di Roberto Calasso uscito in questi giorni e intitolato L’innominabile attuale c’è una splendida immagine di Baudelaire con il quale il libro si chiude e che descrive purtroppo la situazione che stiamo vivendo: «Sintomi di rovina. Edifici immensi. Numerosi, uno sull’altro, appartamenti, camere, templi, gallerie, scale, budelli, belvedere, lanterne, fontane, statue. Fenditure, crepe. Umidità che proviene da una cisterna situata vicino al cielo. Come avvertire la gente e le nazioni?».
Purtroppo le cose ora stanno così.

I concreti problemi che abbiamo davanti a noi e che la nostra discussione sulla natura della società può aiutarci a risolvere sono i seguenti: 1. Come affrontare il tema del rafforzamento dell’Europa avendo come stadio finale la Federazione dei 19 Paesi dell’Eurozona. 2. Come risolvere il problema dell’emigrazione dall’Africa verso l’Europa. 3. Come risvegliare i giovani a partecipare alla politica democratica.

Nell’ampio discorso di Macron pronunciato pochi giorni fa alla Sorbona il processo verso l’Europa federale si fonda su una riforma delle attuali istituzioni dell’Ue: un ministro delle Finanze dell’Eurozona, responsabile di fronte ai 19 Paesi della politica economica, avendo come interlocutore il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. Un ministro responsabile della sicurezza interna dell’Europa minacciata dal terrorismo. Un esercito europeo formato da contingenti forniti dagli eserciti dei 27 Paesi dell’Unione. Una politica dell’immigrazione che tenda ad arginare l’arrivo di masse africane e a favorire la crescita economica di quel continente che ci fronteggia. L’abolizione del Trattato di Dublino di cui si parla da tempo senza però che sia mai stata realizzata.

Questo è il programma esposto da Macron. Naturalmente il Presidente francese vuole la Francia alla guida di questo programma e fa conto dell’appoggio soprattutto dei Paesi del Sud Europa a cominciare dall’Italia. Del resto questa leadership francese è più che giustificata dalla storia europea.

Quanto al tema dei giovani esso è affidato soprattutto a loro. Essi possono ed anzi debbono collaborare alla fondazione di scuole adatte a modernizzare la loro educazione culturale, non solo nel proprio Paese ma anche su scala europea (una sorta di Erasmus su scala continentale e addirittura mondiale) ma la base di riavvicinamento dei giovani alla società, alla parola scritta, ai libri della cultura classica e a quelli della modernità illuministica, dipende da loro, dall’ambiente familiare in cui vivono, e dalle loro discussioni tra compagni di vita. I giovani debbono vivere come legittima e anzi doverosa ambizione quella di fornire la nuova classe dirigente europea. Questo è un problema fondamentale del prossimo futuro e ha l’elemento determinante della politica nel senso aristotelico del termine.

Da questo punto di vista la società globale e la sua sempre più sviluppata tecnologia contengono al tempo stesso elementi positivi e negativi rispetto alla formazione dei giovani. Positivi perché dispongono di mezzi di comunicazione sempre più sviluppati; negativi perché quei mezzi rischiano di distrarre i giovani, di impedire al loro pensiero di svilupparsi e di favorire soltanto il loro individuale piacere. Il piacere, di qualunque tipo esso sia, deve provenire anche dal pensiero nel senso profondo del termine. Se così non è, il piacere accentua un individualismo spensierato ed egoista e peggiora i tempi bui nei quali stiamo vivendo.

C’è una splendida canzone del grande jazz che ha la motivazione dei tempi bui che stiamo attraversando. Si chiama Stormy Weather e motiva quello “Stormy”: «Da quando il mio compagno ed io non stiamo più insieme piove sempre — keeps rainin’ all of the time — piove sempre».

Il blues esprime tristezza e malinconia, come le poesie di Dante e di Guido Cavalcanti le quali però contengono anche la speranza del futuro. Se i giovani le rileggessero crescerebbe in loro quella speranza di cui il mondo di oggi ha estremo bisogno.