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Sono
stanco di leggere negazioni di fatti avvenuti e certificati, sono stanco di
leggere violenze contro diversi, di bullismo contro coetanei la cui sola colpa
è quella di volere vivere una vita senza odio e prevaricazioni, sono stanco di
vedere ridicolizzata la storia da gente che non l’ha mai studiata né a scuola
né a casa. Se identificare il fascismo significa chiamare in causa i soggetti
storici del secolo scorso, adesso bisogna fare i conti con ben altro, magari
banalizzato e giustificato in nome del progresso economico, di quello
intellettuale ormai non c’è più traccia. L’odio viene insegnato nelle strade,
negli stadi di calcio, nelle tribune politiche, nella vita sociale quotidiana.
Mi chiedo che significato può avere per un ragazzo tenuto all’oscuro di tutto
per ignoranza, paura, accondiscendenza, le “annuali celebrazioni alla memoria”
se queste non sono adeguatamente accompagnate da un’educazione che dovrebbe
nascere in primis nelle famiglie e che invece viene lasciata al caso. Le
indignazioni, sicuramente giuste, ci mancherebbe se non lo fossero, lasciano il
tempo che trovano e servono solo a tranquillizzare le coscienze di chi crede di
avere la storia e la ragione dalla sua parte per diritto acquisito. La realtà
ci dimostra l’esatto contrario e tutto questo è molto triste soprattutto perché
la negazione stessa cancella il diritto di vivere di un popolo, quello ebraico
che ogni volta è costretto a dimostrare che sei milioni di persone sono
realmente state cancellate da uno psicopatico osannato e celebrato da folle
oceaniche ma forse è di questo che una parte, spero solo una parte, della
società italiana ha nostalgia: “Pancia piena e cervello vuoto”.
Francesco checcuswriter Danieletto
Francesco checcuswriter Danieletto
Queste
pagine sono tratte dal racconto “Intrigo internazionale”
Inserito
nel libro “Le ragioni della follia”, da me edito nel 2012.
Ritengo
possano essere un valido contributo alla discussione su quanto sta accadendo in
questi giorni.
…Giunte a
Cracovia ci sistemammo in albergo e organizzammo la visita ad Auschwitz-Birkenau
per il giorno successivo.
"Oswiecim fu scelta dai tedeschi nel 1940 e vi fu costruito un
campo di concentramento denominato A1 potenziato poi nel 1941 con la costruzione
del campo di Birkenau A2. Verso questo e altri campi, Adolf Eichmann e i suoi
subordinati organizzarono il trasporto di ebrei, slavi, zingari, prigionieri
politici e omosessuali, provenienti da ogni parte dell'Europa occupata; il
capolinea erano quelle rotaie che entravano direttamente nel campo e i
movimenti ferroviari meticolosamente registrati dai tedeschi fornirono agli
storici, a guerra finita, numerose e dettagliate informazioni sullo sterminio.
Nei primi
giorni del 1945 fu abbandonato dai nazisti sotto l'incalzare delle truppe
sovietiche che vi entrarono duesettimane dopo trovando7600superstiti.
La guida
continuava monotona nell'esporre i fatti storici avvenuti in quei luoghi di
orrore, mi fermai a lungo a guardare quelle file di baracche, era un campo
immenso; raggiunsi Maria che si era allontanata dal gruppo, stavamo guardando i
forni crematori quando una voce alle nostre spalle disse:
"Lì
dentro venivano trasformati in polvere, ci passò anche mio nonno che con la sua
vita salvò mio padre ma questa è una storia che a voi non interessa."
"Jan
sei tu? Ma cosa sono tutti questi travestimenti? Mi puoi spiegare una buona
volta in che razza di storia siamo finite?"
Stava per
rispondermi quando Maria si girò e scambiatolo per una guida chiese ingenuamente:
"Mi
faccia capire ma li bruciavano vivi per caso?"
"Ma
no! -- sorrise -- li portavano a fare la doccia, solo che dal getto anziché
acqua usciva gas nervino, il famoso Ziklon B,
poi, una volta morti, li bruciavano; di solito li dividevano all'inizio:
quando arrivavano, separavano donne, vecchi e bambini che sparivano subito, gli
uomini, quelli validi, venivano impiegati a Monowitz, negli impianti
industriali gestiti dalle SS, poi man mano che cedevano fisicamente, entravano
nelle "selezioni settimanali":
l'ultimo anno giornaliere."
Aveva
spiegato la cosa con una tale naturalezza da lasciarmi stupefatta, forse perché
non mi ero mai veramente resa conto dell'abisso infame che aveva segnato questo
angolo di mondo, qui non si trattava di Caino e Abele ma di miserabili che
usavano lo sterminio di esseri umani per creare una nuova società fondata sulla
purezza della razza, dove non c'era posto per niente altro all'infuori della
loro follia, ma un conto é leggerlo sui
libri, un altro é vedere di persona; lui, probabilmente, avendolo già visitato
altre volte, non ci faceva più caso.
Si
avvicinò una donna che salutò con un cenno Jan e ci consegnò un piccolo foglio
di carta scritto a macchina, sembrava una poesia e incuriosita lo lessi:
"Mi
ricordo un ebreo olandese che domandava irato:
"Dov'è mia moglie? Dove sono i miei bambini?"
"Dov'è mia moglie? Dove sono i miei bambini?"
Gli ebrei
delle baracche risposero:
"Guarda
i camini, sono là, sono lassù".
Ma
l'olandese imprecò e disse:
"Ci
sono così tanti campi qui intorno,
mi
avevano promesso che saremo stati insieme."
L'intero
enorme crimine si reggeva sull'incredulità.
Quando
arrivammo ad Auschwitz sentimmo un odore dolciastro. Ci dissero:
“A tre
chilometri da qui, in quella direzione, le persone vengono gasate: non ci
credemmo."
"La
conosci quella donna?" Chiesi a Jan.
"L'ho
vista altre volte ma non è pazza, credimi, è solo una delle tante, parente di
qualche sopravvissuto, trattata con scherno da chi continua a negare la verità,
a dire che qui, come in altri campi di sterminio non è successo nulla: è tutta
fantasia, quasi che la “soluzione finale", la morte di sei milioni di
persone, il 40% della popolazione ebraica mondiale e di almeno un altro milione
di "non ariani" sia una colossale mistificazione della storia.
Quella
donna è incredula, come lo erano a quel tempo tutti coloro che ne sentivano
parlare, incredula che possano esserci persone che negano anche un’evidenza
come questa: Auschwitz.
Volevo
riportare Maria e Jan ai nostri problemi
comuni ma non ci riuscii, le cose che mi aveva raccontato il nostro amico erano interessanti e mi stavo rendendo conto
che la nostra ignoranza sull'argomento era enorme o quantomeno superficiale e
che la storia, quella vera, ci era sempre stata spiegata con grande enfasi
senza entrare nel merito, poche parole per mettere a tacere la nostra
curiosità, se mai ci fosse stata, e stendere un velo pietoso su questa
tragedia. Forse è per questo che c'è gente che nega l'olocausto, credono
impossibile che una sola persona possa aver organizzato lo sterminio totale di un popolo, l’annientamento di un
uomo: morale, umano, psichico, nei piccoli gesti quotidiani che ormai
rappresentavano tutto il suo mondo dentro quelle baracche, far uscire le
debolezze, la cattiveria, l'astuzia per sopravvivere, la ferocia nel difendere
un pezzo di pane, fino alla morte, soluzione finale per uno scheletro ormai
privo di tutto: volontà, dignità, parola, cervello, voglia di vivere; più che
di lacrime e commiserazione qui c'era bisogno di pensare, di capire fino a che
punto un uomo è belva e l'umanità complice, se non ci sia bisogno, piuttosto
che di: "negazione di quanto avvenuto”, di illuminare la strada affinché
non si ricominci daccapo, magari sotto altre insegne, nella stupida gestione
quotidiana delle cose. Mai come in questo momento mi tornarono attuali nella mente
le parole scritte da Primo Levi nel prologo del suo libro:
"Voi
che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
Voi che
trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici:
Considerate
se questo é un uomo,
Che
lavora nel fango,
Che non
conosce pace
Che lotta
per mezzo pane,
Che muore
per un sì o per un no,
Considerate se questa é una donna,
Considerate se questa é una donna,
Senza
capelli e senza nome,
Senza più
forza di ricordare,
Vuoti gli
occhi e freddo il grembo,
Come una
rana d'inverno.
Meditate
che questo é stato:
Vi
comando queste parole, scolpitele nel vostro cuore,
Stando in
casa, andando per via,
Coricandovi,
alzandovi;
Ripetetele
ai vostri figli, o vi si sfasci la casa,
la
malattia vi impedisca,
I vostri
nati torcano il viso da voi."
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