lunedì 31 luglio 2017

Pellegrino Artusi e l'identità italiana in cucina


Pellegrino Artusi e l'identità italiana in cucina

Lo studioso, nato il 4 agosto 1820, con la sua raccolta best seller di ricette e aneddoti contribuì alla formazione del sentimento nazionale. Dove la tavola da sempre occupa un posto d'onore. E il libro ancora oggi è un must per appassionati e professionisti.


È stato lo chef degli chef, il gastronomo che ha dato un sistema organico alle pietanze italiane, raccogliendone quasi 800 nel suo libro più noto da cui nessun cuoco può prescindere: La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, il ricettario più famoso della cucina del Bel Paese, che non contiene solo istruzioni per preparare i cibi ma è anche un invito al gusto e all’arte del convivio. Pellegrino Artusi, nato il 4 agosto a Forlimpopoli (197 anni fa), era figlio di un droghiere. Studiò al seminario di Bertinoro e poi all’Università di Firenze. Dopo avere aiutato il padre nel suo commercio, nel 1852 si trasferì a Firenze e l’anno successivo a Livorno. Il trasferimento avvenne dopo che la sua famiglia aveva subìto l’assalto della banda dei briganti guidati da Stefano Pelloni, detto il Passatore.
L'IDENTITÀ ITALIANA A TAVOLA. A Firenze frequentò gli ambienti letterari, dando alle stampe nel 1878 una Vita di Ugo Foscolo e tre anni dopo le Osservazioni in appendice a trenta lettere di Giuseppe Giusti. Ma la sua fama è legata a La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, un’opera che ebbe immediato e duraturo successo, le cui ricette sono desunte principalmente dalla cucina tradizionale toscana e romagnola ed esposte con un linguaggio ricco di considerazioni e di aneddoti. Un’opera importante perché nel trattare la cucina popolare facendola divenire arte riservata alle famiglie borghesi contribuì alla costruzione dell’identità italiana, dove un posto fondamentale è occupato dalla buona tavola.


La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene fu da subito un best seller.

Nel 1891 Artusi decise di far stampare il libro a spese proprie e, con sua grande soddisfazione, in breve tempo le mille copie di questa prima edizione andarono esaurite. Ben 15 furono le ristampe e le revisioni che si susseguirono fino al 1911 (anno della morte di Artusi) quando il libro era già arrivato a vendere il numero record, per quei tempi, di 1 milione e 200 mila copie. Fu tradotto in sette lingue. «Vinto dalle insistenze di molti miei conoscenti», si legge nella prefazione, «e di signore che mi onorano della loro amicizia, mi decisi finalmente di pubblicare il presente volume, la cui materia, già preparata da lungo tempo, serviva per solo mio uso e consumo. Ve l’offro dunque da semplice dilettante qual sono, sicuro di non ingannarvi, avendo provati e riprovati più volte questi piatti…».
DISCIPLINA ANTI-SPRECHI. In un’epoca in cui le ricette erano tramandate oralmente e la prevalenza della cucina francese era ancora solida e radicata, la novità del libro di Artusi apparve subito come rivoluzionaria, con il suo forte contributo a dare alla cucina italiana un corpus unico e fino ad allora sconosciuto (l’unità italiana era stata raggiunta solo qualche decennio prima). Altra caratteristica importante del libro è la presenza di norme igieniche e nutrizionali, probabilmente dovuta all'intenzione dell'autore di legare l’arte culinaria alla salute e al benessere. Notevoli anche i suggerimenti finalizzati al riutilizzo degli avanzi, promuovendo una sorta di disciplina anti-sprechi che appare ancora oggi utilissima.
Tra gli antipasti prediletti da Artusi ostriche, salumi, prosciutto, salame, mortadella, lingua, acciughe, sardine, caviale, mosciame


Si devono a Pellegrino Artusi le indicazioni del preparare un buon brodo, un minestrone molto ricco (ci inserisce il battuto di prosciutto), una vasta gamma di maccheroni (alla francese col formaggio, alla napoletana con il sugo di carne, ancora alla napoletana con il sugo di solo pomodoro, alla bolognese, alla siciliana con le sarde). Non solo: ebbe anche il merito di elencare gli ingredienti giusti per gli antipasti: «Quelle cosette appetitose che si servono o dopo la minestra, come si usa in Toscana, o prima, come si pratica in altre parti d’Italia».

IL GIRO D'ITALIA DEI DOLCI. Ecco cosa si può servire come antipasto: «Ostriche, salumi, prosciutto, salame, mortadella, lingua, acciughe, sardine, caviale, mosciame (che è la schiena salata del tonno)». Molte ricette sono dedicate alla preparazione dei dolci, offrendo un ampio ventaglio di prelibatezze che tengono conto delle tradizioni dei vari territori della Penisola: si va dal dolce alla napoletana al panettone Marietta, dal pane bolognese ai ricciarelli di Siena, dalle fave dei morti o alla romana fino agli amaretti, ai brigidini, alle lingue di gatto.


Il ritratto di Pellegrino Artusi ((Forlimpopoli, 4 agosto 1820 – Firenze, 30 marzo 1911).

Il suo libro divenne un’autorità indiscussa in materia di arte culinaria soppiantando il ruolo fino ad allora ricoperto dall’opera Fisiologia del gusto (1826) del letterato francese Anthelme Brillat-Savarin, a volte viene citato dall’Artusi traendone sapienti consigli sul modo di intrattenere gli ospiti non solo con il cibo. «Brillat-Savarin diceva che invitare qualcuno è lo stesso che incaricarsi della sua felicità per tutto il tempo che dimora sotto il vostro tetto…».
LA MODA DELLA CUCINA PER «STOMACI DEBOLI». Artusi dedicò anche una parte del suo libro a chi soffriva di problemi di digestione: «Ora si sente spesso parlare della cucina per gli stomachi deboli, la quale pare sia venuta di moda. Bisognerà quindi dirne due parole senza pretendere co' miei precetti né di rinforzare, né di appagare questi stomachi di carta. Non è facile indicare con precisione scientifica quali siano i cibi che più convengono ad un individuo indebolito dagli anni, dalle malattie, dagli stravizi o debole per natura, perché abbiamo a competere con un viscere capriccioso qual è lo stomaco, ed anche perché ci sono alcuni che digeriscono con facilità ciò che ad altri è indigesto. Nonostante mi studierò indicare quei cibi che, a mio parere, più convengono ad uno stomaco fiacco e di non facile digestione…».
ONORA LE FESTE (NEL MODO GIUSTO). Infine ancora ad Artusi si deve il menu tradizionale delle feste, tramandato in quella forma per generazioni: cappelletti, cappone e panforte a Natale; minestra in brodo, cotolette fritte, anatra e Dolce Torino (una sorta di tiramisù) a Capodanno; arrosto e dolce di marzapane per il giorno della Befana. Con un’avvertenza importante: al di là del menu scelto, per Pellegrino Artusi l’importante era onorare la festa nel modo giusto. «Tutte le società, tutte le feste/ cominciano e finiscono in pappate/e prima che s’accomodin le teste/ voglion essere le pance accomodate»

Io che non ho rinnovato la tessera del Pd

Io che non ho rinnovato la tessera del Pd vi spiego perché la sinistra non può escludere il popolo dem

Il partito non è solo Renzi. E liquidare milioni di elettori come avversari è una mossa senza senso. Anche perché i tanti leader sulla scena non stanno proponendo idee alternative valide. E risolutive.

  • Salvatore Biasco

Per non essere equivocato premetto che tre anni fa ho ritenuto di non rinnovare la tessera del Pd, verso le cui politiche e cultura non sentivo alcuna adesione. La questione del Pd non l’affronterei, però, nei termini in cui la vedo affrontata qua e là. Ecco tre considerazioni.

Il Pd non è solo Renzi


Matteo Renzi.

Il Pd non è solo Renzi, ma una realtà variegata in cui si ritrova una quarto della popolazione italiana. Ciascuno conosce persone sinceramente di sinistra che non seguono la politica con l’intensità con cui la seguiamo noi, ma occasionalmente e per quanto consentito (poco) dalle loro vicende quotidiane. Molte votano Pd direi per un riflesso atavico leninista, in quanto questo partito è l’erede di una vicenda storica della sinistra (parlo delle loro percezioni non dei miei giudizi). Se vanno al gazebo possono votare Renzi con lo stesso riflesso condizionato. Li ritengo numerosissimi.

UN VOTO ANTI-DESTRA O DI SENTIMENTO. Altri, più vicini alla politica, sono all’interno della galassia Pd perché pensano che indebolire il partito principe perno del sistema sia solo un modo che spianare la strada alla destra o ai populisti, o per puro sentimentalismo. Molti giovani sono lì perché lì hanno il gruppo generazionale di riferimento e auto-organizzazione e lì sono nati politicamente; la scissione non fa parte del loro imprintig. Poi, in questo partito c’è tutt’altro (estraneo alla sinistra) su cui è meglio sorvolare, ma, c’è anche un pezzo di un’opinione liberal democratica che si rivolge a esso in mancanza di offerte politiche e di governo convincenti. Che facciamo? Tutti costoro li regaliamo a uno schieramento avverso? Li dichiariamo indisponibili a un percorso di sinistra e nostri avversari irriducibili? In molte reazioni prepolitiche che trovo in Rete è così.

CRITICA E VOLONTÀ DI RICOMPATTARSI. La situazione però è delicatissima perché, mentre non possiamo che essere radicalmente critici (e forse anche tranchant) verso la dirigenza del Pd, dobbiamo prospettivamente ricomprendere una parte di questo partito in un cammino comune di sinistra. Ma i distinguo non sono semplici perché questa parte appartiene, in una forma o nell’altra, al Pd, mentre, attaccando frontalmente questo partito, collocandolo in blocco nell’altro versante della barricata e dichiarandolo irrimediabilmente perso e nemico giurato, finiamo per relegare questa parte a una difesa della sua collocazione. La critica feroce, puntuale, di merito e di scelte culturali che deve investire il Pd deve sempre ricomprendere l’ipotesi che ci si possa ritrovare assieme in un cammino radicalmente diverso da dove l’ha portato Renzi. È un filo del rasoio sottilissimo che i nervi scoperti della sinistra (e talvolta l’infantilismo) rendono difficile percorrere.

Bene il welfare ma occhio al debito


Roberto Speranza di Mdp.


Seconda considerazione. Riguarda l’economia del Paese. Che c’entra nella questione? C’entra eccome. A volte mi sembra che la sinistra in varie sue componenti (forse non coloro che hanno avuto esperienze di governo) manchi della consapevolezza che anche l'Italia viaggia su un filo del rasoio e che potrebbe imbattersi, anche presto, in una crisi da debito. È facile reclamare più politiche sociali e redistributive (e lo si deve fare con decisione) ma guai a perdere di vista che siamo in un vicolo stretto da cui non possiamo sfuggire e che se il debito non scende e l’economia non cresce non ci sono prospettive rosee. Come sinistra, non siamo a zero nell’individuazione di un linea alternativa, ma nemmeno a 10 (e forse nemmeno a 6).

MANCANO IDEE ALTERNATIVE. Abbiamo ovviamente qualche idea (sarebbe opportuno tirala fuori!) e sappiamo perfettamente gli errori commessi da Renzi, ma si tratta pur sempre della necessità di sfruttare ogni singolo e piccolo spazio per creare occupazione, crescere e redistribuire. Ma non abbiamo a disposizione idee risolutive e a portata di mano sulle quali chiamare il Paese. Una patrimoniale per ciò che è gestibile rende poco, a meno che non sia espropriativa (ma con quali coalizioni si può sostenere?). L'uscita dall'euro precipiterebbe il Paese in una crisi epocale che ci condannerebbe a 10 anni di disoccupazione di massa (guai sul punto a esser ambigui per infantilismo). Conquistarci crescita a suon di debiti è illusorio. Una cosa è certa: occorre cambiare registro. Poi, non c’è solo il contenuto delle politiche, ma anche la necessità che il Paese sia governato nel merito e non a suon di "trovate" coordinando gli attori, monitorando pezzo per pezzo l’implementazione delle politiche, stabilendo le priorità, chiamando ciascuno quotidianamente alle sue responsabilità, cioè col bisturi e non con l’accetta. E questo vale per le politiche per il Mezzogiorno così come per la Ricerca, l’Università, le scuole professionali, il trasferimento tecnologico, il sistema delle piccole e medie imprese, il welfare. Il problema è che su questa capacità di governo dei processi (ce l’abbiamo?) è difficile costruire parole d’ordine penetranti.
INCONSAPEVOLEZZA UMANISTICA. A me sembra che chi prende la scena nella sinistra, specie se di cultura umanistica, sia lontano dalla consapevolezza che siamo in un terreno minato e in una situazione complessa e ingarbugliata, dalla quale ci si può tirare fuori con pazienza, gradualità, ma inflessibilità nelle direzioni di marcia e nel perseguimento degli obiettivi. Non è possibile ignorarla come se tutto fosse a portata di mano e di volontà politica. Altrettanto lontana appare la consapevolezza dell’ampiezza delle coalizioni sociali e della forza d’urto politica necessaria a conquistare anche singoli pezzetti di un programma di sinistra. Senza tenere bene a mente questo quadro e senza portarlo in evidenza (cosa che non ho sentito fare a nessuno dei tanti leader) si può sempre aggiungere + 1, ma a che serve? A sentirsi veramente radicali? A marcare i desiderata di una forza culturalmente di opposizione?

In un Paese di destra l'obiettivo è il controllo


Anna Falcone e Tomaso Montanari.

La terza considerazione riguarda la società. L’Italia è un Paese che inclina a destra nei suoi orientamenti politici. È questione della sua storia, di un eccesso di piccola borghesia, di una maturazione democratica mai completata dopo il fascismo, di tanti privilegi conquistati che la sinistra potrebbe mettere in discussione, di residui di un tradizionalismo religioso, della jacquerie ribellistica, del lento sviluppo del Mezzogiorno e così via. Adesso si aggiungono temi dell’immigrazione e della sicurezza. La sinistra, come noi la intendiamo, è una minoranza; lo è nel complesso e soprattutto in quelle frange che ne rivendicano la “purezza”.

TESTIMONIANZA MA NON PER PRINCIPIO. È importante costruire una forza socialdemocratica che ponga una diversa ipotesi politica rispetto a quella posta dal Pd, ma sapendo che l’incidenza di questa forza nel governo della società italiana potrà essere come forza di controllo, di imposizione di alcuni indirizzi e tematiche e di veto verso altri. Avrà a che fare con pezzi del suo progetto ma difficilmente avrà la consistenza elettorale per realizzarlo. Può essere anche forza di testimonianza se le circostanze la costringono a essere tale, mai per vocazione o per principio o splendido isolamento. E ovvio che l’incidenza sarà tanto maggiore quanto è maggiore il radicamento.

Giuliano Pisapia di Campo Progressista.


Se guardiamo oltre le attuali contingenze, in cui il Pd è proiettato in politiche populiste e di ispirazione liberista (che ci respingono), è indubbio che l’unico asse politico disponibile al Paese (in contrapposizione al blocco conservatore-reazionario) è un’alleanza tra un centro democratico che guarda a sinistra e una forza di sinistra di genuino stampo socialista, popolare ed europeista, intransigente sui principi. Questa va data come prospettiva, perché non ha alternativa nel futuro prevedibile. Il Pd così com’è potrebbe essere inservibile a questa prospettiva, ma non si può rinunciare a incalzarlo e a volerlo impegnare in un governo che guidi il Paese con una inequivocabile impronta di sinistra.

SETTE OSSERVAZIONI. Quell’alleanza era già interna al Pd: bastava riconoscerla, cementarla, valorizzarla. Ma occorreva tutt’altra intelligenza, cultura politica e visione, non la fredda determinazione di spingere quel centro-sinistra interno di fatto all’opposizione. L’illusione di godere di una rendita di posizione ha portato il Pd ad accentuare i caratteri a-ideologici per ammiccare a un ceto moderato che in Italia non c’è, perché le idee che appartengono all’area moderata sono inflessibilmente avverse alla regolazione, allo Stato, ai sindacati e alla tassazione, se non peggio. Qualcuno potrà chiedermi: ma allora cosa hai voluto dire in tutto ciò?

1. Che Pisapia ha avuto un’intuizione giusta ma che non poteva gestire le cose peggio di come ha fatto, dando luogo a ambiguità, oscillazioni, confusione; facendo nascere l’idea che volessecontribuire a una copertura a sinistra del Pd.

2. Che è necessario immediatamente elaborare un profilo di governo per le forze di sinistra, con le discriminanti che quel profilo pone.

3. Che si dia il senso ai militanti delle serie difficoltà della situazione economica.

4. Che si ponga fine alle schermaglie politicistiche per ragionare su altri assi: l’Italia e il suo futuro politico, economico e strutturale.
5. Che le forze più “pure” della sinistra la smettano di vivere nell’ossessione del Pd diventato innominabile, perché senza conquistare a sinistra la disponibilità del Pd e del suo elettorato l’Italia non la si cambia neppure di un millimetro. Elaborino anche loro un profilo realistico di governo e non di pura testimonianza, che non serve.

6. Si definisca cosa si intende per profilo di centro-sinistra su cui valutare le posizioni da prendere in campagna elettorale e nella nuova legislatura.

7. Ci si ispiri al miglior Togliatti (che avrebbe fatto lui?)

Mede, mostra dei quadri di Augusto Daolio

domenica 30 luglio 2017

Anna Marchisini - La sessuologa - L'atto sessuale

Tutto app e disservizi: cronaca di un tecnomondo impossibile

Penso che abbia ragaione...
Viviamo persi in un labirinto. Strattonati dal colosso di turno. E intrappolati nell'illusione del risparmio. Dove disdire è vietato e fruire un privilegio. Il…
lettera43.it

L'antipatico Macron

Chissà che il presidente, francese “vecchio” sotto la crosta del “francese nuovo”, non ci abbia dato una spinta. Visto da Parigi, meno male che l’Italia c’è.
lettera43.it

Francia, il Bonapartismo politicamente corretto di Macron


·
l'opinione Francia, il Bonapartismo politicamente corretto di Macron di Bruno Manfellotto 29 luglio 2017 France first. Non sono parole di un Donald Trump che,…
nuovavenezia.gelocal.it

giovedì 27 luglio 2017

Silya

Silya contro il re la cantante berbera simbolo della rivolta del suo popolo

RISCHIA di spezzarsi, perché una donna di ventitré anni che soffre di claustrofobia non può essere chiusa in cella, minacciata di stupro e forse filmata nuda dai carcerieri contro la sua volontà. Ma Salima Ziani, più conosciuta nel mondo della musica marocchina con il nome berbero di Silya, non si piega. La cantante, rinchiusa nella prigione Oukacha di Casablanca, ha deciso di contestare l'arresto nel modo più radicale possibile, rifiutando il cibo. Attivista della causa del Rif, la regione montuosa sulla costa nord del paese, nelle settimane prima dell'arresto è diventata il simbolo della rivolta. Poi le autorità marocchine hanno valutato che la giovane stava diventando pericolosa, e l'hanno arrestata assieme a Nabil Ahamjik, l'erede di Nasser Zafzafi alla guida del movimento autonomista.
Quest'ultimo è in prigione dal 29 maggio con l'accusa di aver attentato alla sicurezza dello Stato e oltraggio al re, e rischia l'ergastolo. Ma per la ragazza il carcere di Casablanca è un incubo, tanto che la giovane ha cominciato lo sciopero della fame il 17, seguita due giorni dopo dagli altri detenuti autonomisti dell'Hirak, il "movimento". In tutto sono almeno 150 gli arrestati del Rif.
«La nostra è una battaglia di principi, anche se arrestano i capi del movimento, andremo avanti con la lotta. Il Rif intero crede nella libertà, nell'umanità e nella giustizia sociale», aveva detto prima del momento dell'arresto la giovane.
Studentessa di cultura berbera all'università di Oujda, ha abbandonato gli studi dopo la morte del giovane pescivendolo Mohcine Fikri, ucciso il 28 ottobre scorso da un camion compattatore di immondizia mentre cercava di riprendersi il pesce spada che gli era stato sequestrato, nella città di Al Hoceïma. L'incidente era stato ripreso con i telefoni cellulari, e la diffusione delle sconvolgenti immagini su Internet ha suscitato un'ondata di rabbia generale. Allo sfortunato venditore la giovane ha dedicato una canzone in lingua amazigh, mentre decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare, al punto che le autorità hanno preso le distanze dall'accaduto e lo stesso re Mohammed VI ha chiesto un'inchiesta immediata.
L'episodio ricorda in parte la vicenda di Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante tunisino che si era dato fuoco per protestare contro il sequestro della sua frutta da parte della polizia, aprendo la strada alle proteste che avrebbero provocato la caduta del dittatore Ben Ali. Come Silya Ziani, decine di migliaia di persone hanno deciso di mostrare la propria rabbia scendendo in piazza, prima nella regione del Rif, poi anche a Rabat. Gli slogan erano riferiti all'arresto di Zafzafi: «Siamo tutti Nasser», oppure: «Libertà per i prigionieri politici», o più semplicemente: «Non ci arrendiamo». La cantante partecipava alle manifestazioni sempre avvolta nella bandiera Amazigh: è un tricolore a strisce orizzontali azzurro, verde e giallo con una figura dell'alfabeto berbero che rappresenta "l'uomo libero", illegale in Marocco.
La Ziani è l'unica donna arrestata, assieme ad almeno 85 uomini finiti in manette per aver reclamato maggiore autonomia e più servizi nel Rif. «Mia figlia è finita in carcere per aver chiesto un'università, un ospedale, più strade per la nostra regione», ha dichiarato il padre di Silya alla stampa spagnola, attenta agli avvenimenti marocchini anche perché gli attivisti del Rif continuano a guardare verso Madrid, a cui la regione faceva riferimento fino al 1956.
Ma mentre la giovane resta in carcere, il braccio di ferro nella regione del Rif va avanti. La grande manifestazione di Al Hoceima — indetta per giovedì scorso nonostante il divieto delle autorità centrali marocchine — è stata dispersa a forza di manganelli e lacrimogeni dalla polizia. Un dimostrante è finito in coma, diversi altri sono rimasti feriti: secondo il bilancio della autorità, una dozzina di manifestanti e una settantina di poliziotti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
L'artista 23enne in una cella a Casablanca ha cominciato lo sciopero della fame
Una manifestante del Rif in piazza con l'immagine del volto della cantante berbera Silya
Giampaolo Cadalanu

sabato 22 luglio 2017

VILLA FOSCARI DI MALCONTENTA E IL SUO FANTASMA


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VILLA FOSCARI DI MALCONTENTA E IL SUO FANTASMA

La Riviera del Brenta è ricca di meravigliosi esemplari di ville venete, ognuna con la sua storia, ma una in particolare ha una storia che sconfina nel paranormale: Villa Foscari, detta la Malcontenta che da il nome alla località dove essa sorge. La villa fu commissionata dai fratelli Foscari, Nicolò e Alvise, di illustre famiglia veneziana, al noto architetto Andrea Paladio intorno al 1555, come luogo di vacanza non troppo lontano dai doveri della residenza ufficiale a Venezia. Nello stesso anno Nicolò Foscari prese in sposa la giovane vedova di un Pisani: Elisabetta Dolfin.
La donna era famosa, tra le calli e i salotti veneziani, per la sua attitudine "libertina" a tal punto che i pettegolezzi sulla sua infedeltà, portarono il nobile Nicolò Foscari ad esiliare la moglie nella villa palladiana appena costruita. Nonostante Elisabetta proclamasse la sua innocenza, il marito non volle saperne di perdonarla, tanto che la donna visse i suoi ultimi trent’anni di vita rinchiusa nella lussuosa villa.
Fu così che i veneziani ribattezzarono Elisabetta “La Malcontenta”. Una vita da reclusa circondata dal mistero, infatti nessuno sa spiegarsi come la donna abbia potuto vivere per così tanti anni all’interno della villa, quando è ben noto tra la gente dell'epoca che nessuno le abbia mai portato alimenti o avesse avuto contatti con lei. Dopo la sua morte c’è chi giura di avere visto il suo fantasma girovagare ancora nei pressi della villa, c’è chi l’ha visto nel giardino, nelle stanze oppure affacciato alle finestre. Le testimonianze lo descrivono come il fantasma di una donna bellissima dai capelli rossi e dalla pelle bianca, che indossa un lungo abito nero.
Altri affermano che il soprannome della villa Malcontenta, possa derivare dallo stato d’animo degli abitanti di Padova e Piove di Sacco, che non apprezzarono la costruzione nel Naviglio del Brenta. Oppure che si riferisca all’espressione “Brenta mal contenuta”, riferendosi al fiume che aveva la tendenza a straripare spesso. Se fossimo in Scozia la gente darebbe più credito alla leggenda del fantasma della nobile Elisabella Dolfin.

PALAZZI VENEZIANI INFESTATI DA FANTASMI



PALAZZI VENEZIANI INFESTATI DA FANTASMI
Nel sestiere di Cannaregio, in fondamenta Gasparo Contarini sorge il maestoso palazzo detto dei Contarini dal Zaffo, conosciuto come “il Casin dei Spiriti”. Non lasciatevi trarre in inganno dalla parola “casin” che non è sinonimo di “bordello” ma casa di incontro di personaggi di prestigio nella quale si praticava legalmente anche il gioco d’azzardo, oggi lo diremmo alla francese “casinò”. Non è del gioco d’azzardo che vi voglio parlare ma della leggenda che aleggia su tale palazzo. La tradizione vuole che il palazzo sia infestato da spiriti irrequieti. Fin dal 500 si narra che tra le stanze dell'edificio, il celebre pittore Pietro Luzzo da Feltre si incontrasse molto spesso con altri artisti, come Tiziano Vecellio, Jacopo Tintoretto, Giorgione, Pietro Aretino, Jacopo Sansovino, Paolo Veronese) . Tra le sue mura si svolse un intreccio amoroso tra il Lusso che si innammorò della bella Cecilia, già amante del Giorgione, ma il suo amore non veniva corrisposto, e a causa dei suoi rifiuti, il Lusso una bella serà scomparve e il suo corpo non fu più ritrovato. Qualche giorno dopo il fantasma del pittore comparve ad una delle finestre del casin, allora i proprietari murarono la finestra, dopo di ciò il fantasma apparve alla finestra vicina. Una ad una i proprietari furono costretti a murare tutte le finestre e solo allora lo spettro sembrò scomparire.
Quando il palazzo fu abbandonato dalla famiglia Contarini e rimase disabitato, iniziarono a circolare voci tra i barcaioli e i pescatori, che si avventuravano di notte da quella parte della laguna: si udivano rumori, sibili, i rimbombi. Qualcuno disse che si trattava di una banda di falsari che per continuare i propri traffici cercava di spaventare i curiosi; altri parlarono di feste e orge sessuali, o addirittura cerimonie di sette che invocavano il diavolo; altri ancora pensarono che si trattasse degli spiriti degli artisti e dei letterati che nel cinquecento frequentavano il palazzo. Altri ancora rammetavano che al suo interno sorgeva l'antico Ospedale della Misericordia dove, appestati, morirono migliaia di veneziani per poi i morti venivano trasportati al cimitero di S.Michele in Isola.
Se si trattava di suggestioni derivanti da superstizioni non è dato a saperlo, di certo è che al suo interno nel 1929, furono rinvenuti i corpi di quattro persone, tutte senza la testa e senza la mano destra, i corpi risultarono appartenenti a due fratelli, a un sacerdote ed un gondoliere; delitto rimasto irrisolto.
La catena dei delitti non si esaurisce qui; intorno agli anni cinquanta del novecento al suo interno o nei suoi pressi fu commesso l’atroce delitto di Linda Civetta, residente a Belluno, dove gestiva un bar con la sua famiglia. Questo delitto è stato ricostruito nei minimi dettagli: giovedì 24 aprile 1947 Linda si trova a Venezia, per acquistare una partita di sigarette americane di contrabbando che poi avrebbe rivenduto al mercato nero. In tasca ha 110 mila lire, una somma notevole per l’epoca, sufficiente perché Bartolomeo Toma, quarantenne con il vizio del gioco, decida di ucciderla e di farne sparire il corpo. La polizia arrestò il colpevole che confessò di aver ucciso e fatto a pezzi la donna. Il corpo sarà ripescato l’8 maggio 1947, dalla rete a strascico di Luigi Robelli che si incagliò vicino alla sacca della Misericordia. Per liberarla, uno dei figli del pescatore si tuffa e nel fondale trova un baule ancorato a due masegni con corde e catene. Tirato su e aperto nella speranza di trovarvi un tesoro scoprirono al suo interno il cadavere di una donna segato a pezzi. Altri dicono che furo 2 gondolieri gli assassini di Linda Civetta e che furono dei ragazzi a rinvenire il baule, ma la sostanza non cambia su quel luogo maledetto e nessun veneziano si sognerebbe mai di andare a pescare da quelle parti, vuoi per tradizione, rispetto o paura.

sabato 15 luglio 2017

"Risate ad Auschwitz": l'Album Höcker


Il campo di concentramento di Auschwitz fu il luogo dove persero la vita almeno 1 milione e centomila persone, per la maggior parte di religione ebraica ma anche…
vanillamagazine.it|Di Matteo Rubboli

Sally - Fabrizio De Andrè (da "La strada" di F. Fellini)

Il filmato è semplicemente splendido!
https://www.youtube.com/watch?v=gSvQafXx0Eo
Scene tratte dal film "la Strada" del Maestro del cinema italiano: Federico Fellini. Cinema d'autore per una canzone d'autore, del grande e insuperato Fabriz...

giovedì 13 luglio 2017

Donna Donna Joaan Baez

Donna Donna is a Yiddish theater song about a calf being led to slaughter.
The song's title is a variant on Adonai, a Jewish name for God.

 https://youtu.be/BYnKll5PD3A

 On a wagon bound for market, There's a calf with a mournful eye High above him There's a swallow, Winging swifty through the sky How the winds are laughing They laugh with all their might Laugh and laugh the whole day through And half the summer's night Donna Donna Donna Donna, Donna Donna Donna Don. Donna Donna Donna Donna, Donna Donna Donna Donna Stop complaining said the farmer, Who told you a calf to be, Why don't you have wings to fly with, Like the swallow so pround and free? How the winds are laughing They laugh with all their might Laugh and laugh the whole day through And half the summer's night Donna Donna Donna Donna, Donna Donna Donna Don. Donna Donna Donna Donna, Donna Donna Donna Donna Calves are easily bound and slaughtered, Never knowing the reason why But whoever treasures freedom, Like the swallow has learned to fly How the wind are laughing They laugh with all their might Laugh and laugh the whole day through And half the summer's night Donna Donna Donna Donna, Donna Donna Donna Don. Donna Donna Donna Donna, Donna Donna Donna Donna

lunedì 10 luglio 2017

Intervista ad Amos Luzzatto

CULTURE

"Temo più di tutto l'oblio, il fascismo non è cosa d'altri tempi". Intervista ad Amos Luzzatto

Dal lido di Chioggia allo scontro sull'apologia di fascismo: "Incitare all'odio non c'entra con la libertà di espressione"

10/07/2017
Ansa
Il tempo non ha scalfito la sua lucidità intellettuale e la convinzione profonda, maturata su un vissuto doloroso, che ha accompagnato il suo impegno di una vita: "Senza memoria non c'è futuro", afferma in un'intervista esclusiva all'HuffPost una delle figure più autorevoli dell'ebraismo italiano ed europeo: il professor Amos Luzzatto, per anni presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). "Senza memoria, soprattutto, non c'è un futuro caratterizzato da quei principi di rispetto e di inclusione che devono restare a fondamento di una società democratica. E allora, guai a minimizzare vicende come quella di Chioggia, liquidandole come un fatto squallidamente folcloristico. Di fronte a scempiaggini del genere, ogni coscienza democratica dovrebbe esercitare il diritto-dovere all'indignazione. Il fascismo, e io lo so bene avendo vissuto quei terribili anni, si è alimentato di stereotipi e di pregiudizi verso il 'diverso', considerato come un essere inferiore, anormale. Si è iniziato così e poi sono arrivate le leggi razziali".
Professor Luzzatto, molto si discute sul caso-Chioggia, la spiaggia trasformata in un sito neofascista, mentre si susseguono i blitz anti-immigrati di CasaPound, e in Parlamento si apre lo scontro sulla proposta di legge Fiano contro l'apologia del fascismo. Qual è in merito la sua opinione?
Il periodico risveglio di nostalgie razziste e inneggianti al "regime" è fonte di seria preoccupazione. Non si tratta di una semplice libertà di manifestazione ideologica; si tratta in realtà del tentativo di reintrodurre nel vocabolario italiano quanto speravamo scomparso di razzismo e nostalgia del nazifascismo. Questo richiamo periodico al vocabolario della violenza e della discriminazione invita a rinnovare tentativi di trasformare la vita civile faticosamente ricostruita in una arena di violenza che già in un recente passato aveva condotto l'Europa a persecuzioni contro minoranze indifese. Si comincia con la riabilitazione di un vocabolario di odio e di disprezzo, si continua con misure che, parlando di richiami a "ordine" e "pulizia" invitano a profonde divisioni sociali, a ostracismi e a violenze.
C'è chi sostiene, pur condannando episodi come quello di Chioggia, che comunque va difesa la libertà di espressione.
Giusto, ma quello che non può essere concepita come "libertà di espressione" è l'incitamento all'odio razziale, è propagandare l'ideologia fascista e nazista, a innescare, a parole certo - ma le parole anticipano spesso atti brutali - la caccia al diverso, dipinto e vissuto come una minaccia, come qualcuno che porta solo disordine, che delinque... Tutto ciò è inaccettabile. Per chi come me ha conosciuto la brutalità del ventennio fascista, non c'è niente di più sacro della libertà di espressione: quella libertà che i regimi tirannici, oggi come ieri, fanno di tutto per conculcare. Sa cosa temo di più....
Cosa, professore?
L'oblio. L'idea secondo cui il fascismo è qualcosa di morto, che non vale la pena rinvangare, perché "bisogna guardare al futuro". Ma è proprio perché si deve guardare al futuro occorre coltivare la memoria storica. Non è una questione di rispetto verso i milioni di esseri umani che hanno perso la vita nei lager nazifascisti. No, questa memoria va coltivata per consegnarla alle giovani generazioni, per far comprendere loro che l'odio razziale è sempre dietro l'angolo, e che fascismo e antifascismo non possono essere messi sullo stesso piano.
Il grande scrittore Predrag Matvejevic, recentemente scomparso, ricordò più volte che assieme a milioni di ebrei, nei lager nazisti furono massacrati tantissimi Rom, oltre che omosessuali, comunisti...
Questa è una verità storica. Un'amara, tragica verità. Noi stessi, noi ebrei, abbiamo subito sulla nostra pelle ripetutamente - fino alla più terribile persecuzione che è stata quella della Shoah – le conseguenze dell'essere prima di tutto indicati come stranieri irriducibili, poi progressivamente stranieri parassiti, quindi stranieri complottanti, infine assassini di bambini cristiani e in conclusione gruppi umani da espellere, da perseguitare, da sterminare. Noi ebrei sappiamo bene cosa significhi essere vittime di pregiudizi che si trasformano in odio e in violenza "purificatrice". Sappiamo cosa significhi essere additati come il "Male" da estirpare. E da ebreo, oltre che da cittadino democratico, mi sento a fianco di tutte quelle comunità che non possono, non devono essere vittima di nuovi pogrom e additati come il "nemico" da combattere per il coloro della pelle o perché professano altre fedi religiose.
L'ideologia fascista avversava ogni portatore di diversità. Di questi tempi, si parla di "invasione" di migranti e in Europa si continuano a innalzare muri e a blindare le frontiere.
Sicurezza e legalità non dovrebbero essere contrapposte a inclusione e accoglienza. So bene che occorre governare i flussi migratori e avere una politica di condivisione a livello europeo. Nessuno può essere lasciato da solo a far fronte a un fenomeno di queste dimensioni. Ma quando il disvalore dominante rischia di divenire quello della paura, della diffidenza nei confronti del disperato che si immagina pronto a qualunque atto efferato, è difficile riportare il discorso verso i valori della solidarietà che vanno tradotti e regolati dalla politica ma mai, mai, abiurati.
Si discute del reato di apologia del fascismo e della necessità di agire sul piano giudiziario. Ma basta questo per arginare il risorgente antisemitismo e la xenofobia che innervano l'ideologia fascista?
No, non basta. Quello di cui ho sempre avvertito il bisogno, è lavorare nelle scuole, è investire nell'educazione. I giovani oggi sono i più vulnerabili perché, per loro fortuna, non hanno vissuto quegli anni terribili, e dunque tendono a dar credito a chi dice loro "quella è roba di altri tempi". Quei tempi, purtroppo, possono ritornare, sotto spoglie diverse ma con la stessa carica di odio e di discriminazione. La demonizzazione del 'diverso' nasce spesso dall'ignoranza. La conoscenza è il miglior antidoto contro il 'virus' dell'intolleranza. E' la 'medicina' che può salvare la democrazia".

martedì 4 luglio 2017

Spogliati Ernesto Che Guevara