domenica 10 maggio 2020


NOTA PERSONALE





Quando nel lontano 1996 alla poetessa polacca Wisława Szymborska venne conferito il premio Nobel per la Letteratura, incuriosito acquistai un poderoso libro di quasi 800 pagine contenente tutte le sue opere con testo in polacco e traduzione in italiano a lato. “Gioia di scrivere” era il titolo, un’edizione Adelphi, casa sempre attenta alle nuove voci che si presentano sul panorama letterario mondiale. Mi resi subito conto fin dalle prime pagine che il personaggio in questione non era per niente facile da leggere, anzi era agli antipodi del consolidato stile poetico corrente, oltre a essere in quei tempi una personalità piuttosto oscura nel panorama letterario nostrano. Per noi italiani popolo di santi, poeti, navigatori decifrare le sue “rime” voleva dire rompere una scuola di poesia consolidata nel tempo, con i nostri Leopardi, Montale, Carducci e tanti altri. Sconosciuta ai più, la sua fama era limitata alla sola Polonia sua terra natia, anche se lentamente, grazie anche alle recensioni di alcuni poeti russi che ben la conoscevano, iniziava un suo riconoscimento internazionale. Non a caso Iosif Brodskij, poeta russo, nel primo salone del libro di Torino nel 1988 segnalò l’alto livello della produzione poetica polacca del Novecento nel contesto mondiale, indicando nella Szimborska una delle sue maggiori voci. Lo stesso Brodskij nel 1993 pubblicò sul Times Literary Supplement la sua traduzione in inglese di una poesia della scrittrice polacca: “La fine e l’inizio”, da lui ritenuta una delle migliori cento poesie del secolo. Le opere di Wisława si potrebbero descrivere come riflessioni poetiche di una società, la sua, dove è nata ed è vissuta fino alla morte. Travalicano i soliti canoni della poesia tradizionale spesso ristretti, spaziando in luoghi oscuri e quasi mai esplorati. Non c’è passione, gioia, amore, felicità, nelle sue poesie solo una realtà a volte naturale, ironica, irriverente, priva di sconti. La sua capacità di vedere nel quotidiano vivere comune, nella gestione ordinaria delle cose, qualcosa di perennemente eccezionale o insolito si riversa sul soggetto sempre presente nei suoi scritti, per poi tradursi nella compassione per gli altri e ritornare all’uomo come aspetto costante. Citavo prima la poesia “La fine e l’inizio” che troverete tra quelle che ho scelto per questa mia personale presentazione. È da leggere attentamente, gustandone ogni sfumatura visto che con poche parole e i suoi riferimenti alla vita quotidiana la Szymborska riesce a descrivere la desolazione lasciata dall’occupazione tedesca alla fine della guerra. Il bisogno di ripulire e sistemare strade, case, oggetti e quanto possa fare riferimento a quella spaventosa tragedia . Riportare alla luce tutto un mondo sommerso, evaporato da tempo, scomparso nel nulla dell’orrore e dell’angoscia di quegli anni. Rimettere in funzione il cervello, l’Io annebbiato e spento suo malgrado. L’invito che faccio a chi volesse leggere le poesie di Wisława Szymborska, è di entrare nella sua mente, capire la sua semplicità, l’analisi che fa degli uomini e della società anche se il primo impatto può rivelarsi indecifrabile. È l’unico modo per apprezzare questa strana poetessa, schiva e quasi anonima, poi affermatasi in tutto il mondo.



Francesco Danieletto




















                                                        WISLAWA SZIMBORSKA






Come non ricordare lo stupore, talvolta misto a ironia, con cui fu accolta nel nostro paese l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura 1996 alla poetessa polacca Wisława Szymborska, considerata dai più un’illustre, imbarazzante sconosciuta.

Analoghe reazioni aveva avuto la stampa italiana quando, nell’ottobre del 1980, lo stesso premio era stato conferito a un altro poeta polacco, Czesław Miłosz. Violare poi il canone delle letterature maggiori era cosa che suscitava ancora nella nostra cultura reazioni di fastidio e sconcerto. Nei dieci anni successivi la posizione di Wisława Szymborska nel panorama culturale italiano e internazionale mutò completamente, e ciò grazie al successo della sua opera poetica largamente tradotta, tanto che adesso a 34 anni dalla consegna del premio Nobel per la letteratura la sua opera è sempre più apprezzata. 

Sempre avara in materia di esternazioni letterarie, la poetessa offre in queste pagine una miniera di riflessioni che ci fanno a tratti intuire il retroterra della cultura o della vita polacca di quegli anni, e in cui brilla l’intelligente leggerezza, la prontezza di spirito della scrittrice. Da esse traspaiono, oltre che uno straordinario, aforistico gusto dell’ironia e della battuta ricca di umorismo, una vasta cultura letteraria e una personale concezione della poesia e della scrittura in genere, che detesta in egual misura gli eccessi del sublime come del banale. Il risultato è un testo omogeneo e gustoso, fonte di autentici momenti di godimento intellettuale. Riguardo alla sua produzione in realtà si dovrebbe parlare di dieci raccolte di poesia, poiché delle prime due, “Per questo viviamo” e “Domande poste a me stessa”, manifestazione di una poesia socialista impegnata e anche sintomi della seduzione ideologica di una persona giovane e fervente, l’autrice non ha più autorizzato la pubblicazione salvo rare eccezioni di alcune. L’adesione della Szymborska all’ideologia comunista, dall’iscrizione nel 1952 alla sua uscita nel 1962, determina la forma e i contenuti di queste sue prime raccolte.

Sulla sua adesione al Partito comunista e alla sua ideologia la poetessa si è espressa in modo netto: “Ero allora profondamente convinta della fondatezza di quello che scrivevo - ma questa affermazione non mi scagiona nei confronti di quei lettori forse in qualche modo influenzati dalle mie poesie… se non fosse per questa tristezza, per questo senso di colpa, forse addirittura non rimpiangerei le esperienze di quegli anni. Senza di esse non avrei mai saputo che cos’è la fede in una ragione unica. E quanto sia facile, allora non sapere quello che non si vuole sapere. E a quali acrobazie mentali ci si può spingere confrontandosi con le ragioni degli altri. Ho capito che l’amore per l’umanità è molto pericoloso, perché per lo più porta a volere rendere gli uomini felici per forza.” 









Riflessioni sull’opera sono state tratte dalla prefazione di Pietro Marchesani  nel libro: 

“La gioia di scrivere”. Edizione Adelphi



Notizie sull’opera di Wisława Szymborska come pure la cronologia biografica, sono state tratte dal libro: 

“La gioia di scrivere” edizioni Adelphi. 



La poesia  “La fine e l’inizio” è tratta dal libro:

La gioia di scrivere edizioni Adelphi











CRONOLOGIA



Nasce il 2 Luglio 1923 a Bnin, attualmente parte di Kórnik nei pressi di Poznań



1930- inizia a frequentare la scuola elementare a Cracovia dove si era trasferita con i genitori l’anno prima



1935- studia presso il ginnasio delle Orsoline in via Starowislna 3/5



1941-1943- lavora come impiegata alle ferrovie per evitare la deportazione. Comincia a scrivere racconti e saltuariamente poesie.



1945 -47- Studia lettere e sociologia all’università Jagellonica. Motiverà l’interruzione degli studi con queste motivazioni:

 “Nel 1947 la sociologia diventò mortalmente noiosa; si doveva spiegare tutto con il marxismo. Ho lasciato l’universi1tà perché già allora dovevo guadagnarmi da vivere.”



1953- Nella redazione di “Życie Literackie”, settimanale letterario di Cracovia, la Szymborska prenderà il posto di Adam Włodek come direttore della sezione poesia.



1964- Il 14 gennaio lo scrittore Antoni Słonimski consegna al Gabinetto del primo Ministro la cosiddetta Lettera dei Trentaquattro, protesta di trentaquattro intellettuali contro l’acutizzarsi della censura e la limitazione della libertà di parola. Il governo organizza a scopo dimostrativo una raccolta di firme contro tale lettera. Vi aderiscono quasi 800 tra scrittori e artisti; tra questi c’è anche la Szimborska che per l’ultima volta sta dalla parte del potere. 



1966- In segno di solidarietà con il filosofo Leszek Kołakowski, espulso dal partito, e allontanato dall’Università di Varsavia, Wisława Szymborska assieme ad altri scrittori restituisce la tessera del Partito. Questo suo gesto le costerà il posto di direttrice della sezione poesia di “Życie Literackie” , in alternativa le viene proposto di tenere una rubrica. Nascono le “Letture facoltative”.

“Fu un lieto fine - dichiarò - non dovevo più starmene seduta dietro la scrivania a leggere chili di testi in gran parte brutti. Scrivevo quello che mi pareva”.



1966 – 1976- escono alcuni volumetti di poesie che costituiranno poi la maggior parte dalla sua opera.



1980- Nel mese di marzo inizia a collaborare con il periodico “Pismo” di Cracovia, destinato, per ragioni politiche, a vita breve. Nell’editoriale si legge: 

“Pismo comincia a uscire in un momento in cui la letteratura e la cultura polacca, insieme a tutta la nazione, vogliono dire la verità apertamente e non con la gola serrata.”

“Gentili lettori, ecco il primo numero di un periodico che si chiama “Pismo” (Scrittura). Bisogna subito dire che è un brutto titolo… ma il primo numero ha la fortuna di possedere questa caratteristica: essendo il primo, non può essere peggiore di quelli precedenti”, scrive la poetessa nella pagina del fascicolo, della ironica rubrica dal titolo “Testi rifiutati.”



1980 – 1996-Escono altri due volumetti di poesie e riceve numerosi premi nazionali e internazionali.

 



1996 – Riceve il premio del PEN Club polacco e, quattro giorni dopo, il Premio Nobel per la Letteratura.  Nella motivazione L’Accademia Svedese scrive che la sua poesia, “con precisione ironica permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di umana realtà”.


1996 – 2012 -Seguiranno altri riconoscimenti internazionali e altre pubblicazioni a completamento della sua opera.

                Muore a Cracovia mercoledì  1 febbraio 2012 a 88 anni
             

                












                LA FINE  E L’INIZIO



Dopo ogni guerra  c’è chi deve ripulire. In fondo un po’ d’ordine da solo non si fa.



C’è chi deve spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare  i carri pieni di cadaveri.



C’è chi deve sprofondare  nella melma e nella cenere, tra le molle dei divani letto, le schegge di vetro  e gli stracci insanguinati.



C’è chi deve trascinare una trave per puntellare il muro, c’è chi deve mettere i vetri alla finestra  e montare la porta sui cardini.



Non è fotogenico, e ci vogliono anni. Tutte le telecamere sono già partite per un’altra guerra.



Bisogna ricostruire i ponti e anche le stazioni. Le maniche saranno a brandelli a forza di rimboccarle.



C’è chi, con la scopa in mano, ricorda ancora com’era. C’è chi ascolta  annuendo con la testa non mozzata. 



Ma presto lì si aggireranno altri che troveranno il tutto un po’ noioso.



C’è chi talvolta dissotterrerà da sotto un cespuglio argomenti corrosi dalla ruggine e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.



Chi sapeva di che si trattava, deve far posto a quelli che ne sanno poco. E meno di poco. E infine assolutamente nulla.



Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti,

c’è chi deve starsene disteso con una spiga  

tra i denti, perso a fissare le nuvole.




















Questa ricerca  di Francesco Danieletto sulla scrittrice polacca Wislawa Szimborska  è stata fatta in collaborazione con l’associazione culturale “La Pentola dei nodi” Dolo –Venezia.

Per motivi di copyright è presente una sola delle poesie proposte all’origine.