VACANZE REMOTE DI TANTI ANNI FA /1
Giusto 40 anni fa nel 1972, io e gli inseparabili Corrado e
Walter, decidiamo di fare le nostre prime ferie all’estero. Per essere sinceri,
avevamo già fatto un timido tentativo l’anno precedente, con una breve vacanza
a Opatja, in Jugoslavia ma era stato praticamente una specie di soggiorno
climatico nelle spiagge dell’Istria dopo le ultime estati passate nel campeggio
di Cavallino, dove di solito piazzavamo le tende. Questa volta il progetto era
molto più ambizioso, volevamo ritornare in Jugoslavia, tanto per restare in
tema e attraversarla fino a Belgrado e poi risalire in Romania, costeggiare il
Mar Nero, entrare in Bulgaria per poi visitare Sofia sua capitale e rientrare
in Italia riattraversando sempre la Jugoslavia. Il progetto era molto
ambizioso, le incognite parecchie, visto che si trattava di paesi poco visitati
dal turismo di massa che, oltretutto, doveva ancora essere impostato come lo è
adesso. Insomma si trattava di andare alla ventura senza sapere cosa si trovava
chi si incontrava e come si sarebbe potuto vivere quelle tre settimane che ci
eravamo proposti di trascorrere in questo modo, con una popolazione sicuramente
non ostile ma con un regime politico sospettoso e autoritario. L’unica
sicurezza, era la mia macchina appena acquistata e con soli 10.000 Km. di
strada; un AUDI 60 la prima uscita dopo anni di contenzioso tra le due
Germanie, su chi dovesse sfruttare il marchio nato nella seconda guerra
mondiale. Come sia andata a finire è sotto gli occhi di tutti ai giorni
nostri. Altra sicurezza, la spesa
ridotta dato il favorevole cambio moneta per le nostre tasche e di conseguenza il
maggior potere d’acquisto. Comunque, la voglia di avventura, l’eccitazione di
fare qualcosa di diverso, finalmente, dalle solite vacanze monocolore a cui le
famiglie ci avevano abituato e la soddisfazione di aver ottenuto seppur con
qualche distinguo, l’approvazione dei nostri genitori, ci aveva caricato il
morale alle stelle, soprattutto, regnava l’incoscienza tipica dei nostri 23
anni che scartava a priori ogni dubbio. Studiammo nel mese di Luglio, tutto
quello che ci poteva servire, fin nei minimi dettagli; i passaporti erano quasi
pronti, quindi si trattava solo di tracciare una rotta, attraverso una carta
geografica che ci eravamo procurati in una libreria specializzata. La macchina
era stata messa a punto anche se, come già detto, c’era poco da fare; l’unica
cosa che ci consigliò il meccanico fu di mettere un piccolo filtro nella
cannula che porta la benzina al carburatore, vista l’alta probabilità che la
stessa, in quei posti, fosse raffinata molto male, aveva ragione e lo ringraziammo,
soprattutto quando osservavamo altri turisti alle prese con i problemi di carburazione
dettati dalla benzina che assomigliava più a gasolio che altro. Ci procurammo
un portabagagli robusto, sul quale venne steso un enorme telo di nylon,
piuttosto grosso e sul quale caricammo la tenda e tutto quello che non ci stava
nel pur capiente bagagliaio, dove trovarono posto oltre all’abbigliamento,
scarso e molto hippy, anche le scorte alimentari, necessarie a sopperire
eventuali penurie di cibo, quindi pelati, spaghetti, scatolette di vario
genere, crachers e altro non deperibile con il caldo. Walter che lavorava in un
concessionario di macchine a Mestre, riuscì a convincere il titolare a
prestargli un autoradio con mangia cassette incorporato, a quei tempi non
esistevano i cd., che installammo in modo precario ma perfettamente funzionante.
Mancavano pochi giorni che si stavano trasformando in sovra eccitazione e nervosismo, nel
controllare e ricontrollare che tutto fosse a posto. Prendemmo in mano la carta
stradale della Jugoslavia e cominciammo a studiarla per stabilire un tracciato
minimo con dei punti di riferimento precisi, sicuri che negli altri paesi,
avremmo trovato altre piante più particolareggiate. Dunque si parte, il 4
Agosto alle ore 7,30 del mattino, Sabato.
Abbiamo vent’uno giorni di tempo per fare circa 6000 Km., considerando
che da quelle parti, le autostrade non sanno neanche cosa siano; tragitto,
Dolo. Trieste, anche se preferiamo uscire a Nova Goriza, è più vicina a
Liubljana, poi Zagabria e se tutto va bene, per le 8 di sera siamo a Belgrado
dove contiamo di fare una sosta notturna per poi ripartire il giorno dopo di
buon mattino; sono 800 Km., il primo giorno, niente male come inizio. Detto
fatto, dopo i saluti di rito con i genitori che un po’ imbarazzati vogliono
nascondere la loro preoccupazione, via… il mondo è nostro.
In autostrada fino a Trieste va tutto bene, siamo ancora in
Italia; poi arriva il bello, oltrepassata la frontiera, ci rendiamo conto che
siamo entrati in un altro mondo; certo anche l’anno scorso la sensazione era la
stessa ma andavamo pochi Km. oltre il confine in una spiaggia frequentata da
Italiani e dove qualcuno parlava ancora il nostro dialetto veneto. Adesso, sappiamo che dobbiamo addentrarci in
un paese di cui sappiamo poco o nulla, vista la cortina di ferro che esiste e
che dobbiamo confrontarci con persone che nella migliore delle ipotesi non ti
danno retta, quando non sono scortesi; di personaggi gentili ne incontriamo
pochi. Arriviamo a Lubljana e per poco
non interrompiamo bruscamente il sogno, a un incrocio evitiamo una macchina che
arriva a tutta velocità, guidavo io, brusca frenata, bianchi di paura. Ma
quello stronzo è passato col rosso, dico io, non sono daltonico; trovo conforto
nei miei compagni di viaggio che annuiscono silenziosi e visibilmente
impauriti; il vigile presente a bordo strada, ci fa segno dio proseguire, tutto
regolare. Cominciamo bene, il morale è sotto i tacchi; sono quei momenti in cui
tutti i dubbi accantonati con derisione prima della partenza riaffiorano
impietosi. E’ l’una passata, anzi quasi le due, quando facciamo una breve sosta
a Zagabria, lungo la strada, in una specie di bar, locanda, chiamiamola così,
dove, se ci penso, ancora non ho capito cosa ho mangiato. Ce ne andiamo alla
svelta, nessuno parla, l’umore è sceso di parecchio, certo nessuno pensava di fare
una passeggiata ma la sberla brutale e tutto sommato salutare, ci ha fatto
bene, cominciamo a svegliarci; Corrado più vecchio di noi di alcuni anni, rompe
il silenzio: “ D’ora in poi sarà meglio seguire delle regole ben precise, poca
confidenza e solo quando si è sicuri con chi si ha a che fare, abbiamo sempre
detto che la Jugoslavia è solo terra di transito, non facciamoci rovinare le
vacanze. Marciamo spediti e vedrete che prima si arriva in Romania, meglio è”.
La strada è da incubo, “Superstrada” la chiamano
sulla carta, la Zagabria – Belgrado; poco più larga della nostra famigerata
statale Romea, è fatta di lastre di cemento saldate tra loro con bitume;
altrimenti d’inverno il ghiaccio polverizza l’asfalto, ci informano gentilmente
a un distributore di benzina, dove troviamo qualcuno che mastica tedesco,
lingua parlata egregiamente da Corrado. Sembra di correre su delle rotaie:
“Du-Dum, Du-Dum, Du-Dum, pazzesco; ogni tanto ai lati della strada, carcasse di
camion e di macchine, distrutte o bruciate, è il loro deterrente per chi vuole
fare il “bravo” al volante, lasciarle lì in mostra alla memoria. Mica male come
idea. Finalmente Belgrado, sulla carta c’è segnato un campeggio, seguiamo le
indicazioni, percorriamo lunghi viali alberati, con ai lati altissimi
grattacieli e finalmente montiamo la tenda, ci laviamo alla meno peggio, il
posto è di passaggio è non è molto pulito. Evitiamo di cucinare spaghetti o
altro, per stasera bastano un paio di scatolette, patatine fritte, due
sacchetti sopravissuti dall’Italia e crachers. Birra a volontà, comperata allo
spaccio; alle dieci complice la stanchezza, una giusta dose di emozione e tanto altro, stiamo già dormendo. Belgrado
alle 7 di mattino ci riserva una leggera nebbiolina che lascia subito il posto
al sole; una rapida consultazione della carta comperata allo spaccio la sera
prima ci indica come arrivare al confine rumeno, bisogna attraversare in
diagonale tutto il centro città o quello che è; non è difficile, basta seguire
la segnaletica internazionale, cartello verde E107. A parole sembra facile, in
pratica è tutta un’altra cosa. In qualche modo comunque ci arriviamo e quando vediamo
sparire in lontananza alle nostre spalle i grattacieli della capitale, ci
lasciamo sfuggire un sospiro di sollievo. La notte passata ci ha ricaricato il
morale e ci ritroviamo impazienti di continuare il cammino, visto che
consideriamo questo paese come una scocciatura, quasi una parentesi verso altre
e più agognate mete. La strada per raggiungere il confine è relativamente
breve, circa un’ora , poco più di macchina; qualche chilometro prima ragazzini
seminascosti ai lati della strada ci offrono cambi moneta più vantaggiosi di
quelli ufficiali, quasi il doppio. Corrado saggiamente dice che è meglio non
cambiare troppo, dobbiamo pur sempre fare anche un cambio ufficiale
all’ingresso e se ci pescano con un sacco di soldi possono esserci delle
storie. Eccoci dunque in Romania, le formalità di frontiera, prendono un po’ di
tempo ma ormai sentiamo di essere sulla strada giusta. La rotta l’abbiamo già
segnata, prossima tappa Timisoara e da lì attraversiamo i Carpazi fino a
Bucarest. Anzi c’è da valutare se fermarci in uno dei tanti campeggi segnati
sulla carta, proprio nel regno del conte Dracula. Arriviamo a Timisoara che è
circa mezzogiorno, abbiamo fame, l’ultimo pasto decente lo abbiamo fatto in
Italia, di tirare fuori tutta l’attrezzatura per cucinare qualcosa, non se ne
parla neanche, anche perché bisogna stare attenti alle regole, qui non valgono
certo le nostre e non si sa mai. Ci fermiamo in un parcheggio in una grande
piazza, giusto per tirare il fiato e capirci qualcosa; ci guardiamo attorno e
vediamo un’insegna che sembra indicare un ristorante, breve consultazione e
decidiamo di scendere e andare a controllare di persona. Sistemiamo la macchina
negli spazi, mentre qualche curioso si avvicina indicando i 4 cerchi simbolo
della casa tedesca, parlottando con altri curiosi; è gente anziana, magari se
la ricordano quando era la macchina degli ufficiali delle SS. Ci facciamo
coraggio e entriamo cercando di capire come funziona la cosa, anche perché non
ci sono tavoli liberi o per poche persone. Grandi tavolate piene di gente che
mangia in silenzio, probabili impiegati di qualche ufficio o burocrati statali,
non è dato sapere. Si avvicina un tizio in giacca bianca e ci fa cenno di
accomodarci in un grande tavolo dove sono sedute tre persone che alzano gli occhi,
fanno un cenno col capo e riprendono a mangiare. Il discreto tedesco di Corrado
aiuta a risolvere la situazione; mangiamo della carne con delle verdure,
portano un po’ di pane, acqua e birra. Chiediamo il conto e fatti due calcoli,
scopriamo di aver mangiato in tre con 408 lire italiane. Ci rilassiamo un po’
dopo il pasto, fa caldo; prendiamo la carta e la esaminiamo con attenzione,
tracciando una rotta, aiutati anche dal cameriere visto che il locale è ormai
quasi vuoto. Arad, Brad, Brasov, Ploesti, Bucarest, Mamaja, ovvero il Mar Nero.
Eccoci di nuovo in macchina, carichi di adrenalina fino a scoppiare; le strade
sono impossibili anche se queste sembrano essere le migliori ma a noi non
importa niente, è ritornato lo spirito iniziale.
1° Continua
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VACANZE
REMOTE DI TANTI ANNI FA /2
Ripartiamo senza indugi,
destinazione Arad, ci alterniamo alla guida, conducente e navigatore con la
carta in mano per non sbagliare; la strada scivola via abbastanza veloce,
passiamo la città e quando arriviamo nei
pressi di Brad, cominciamo a vedere le Alpi transilvaniche, il registratore spara
musica a tutto volume, siamo “on the road” ma non sono certo le sterminate
pianure americane. Arriva sera e con essa una pioggia torrenziale, non ci si
vede a un palmo di naso e l’illuminazione è zero. Mancano ancora parecchi
chilometri per arrivare a Brasov e decidiamo di trovare un campeggio dove
trascorrere la notte; ne abbiamo appena passato uno, al prossimo ci fermiamo.
Ci infiliamo nella stradina d’ingresso ma l’uomo di guardia, ci ferma e ci fa
capire che non c’è posto; lo guardiamo stupito, il prato è vuoto; cerchiamo di
spiegargli che siamo stanchi, che con quella pioggia non vogliamo rischiare e
che preferiamo fermarci. Niente da fare, è irremovibile. Arriva un italiano, è
di Roma, ci spiega che, purtroppo noi italiani, ci siamo fatti una cattiva fama
da queste parti; tanta, troppa gente, è partita dall’Italia con scatole di
calze di nylon o profumi di basso costo, convinta che bastasse quella mercanzia
per ottenere favori sessuali a buon mercato. Lui, ci spiega, viene qui da
parecchi anni e ormai è accettato ma l’ostilità nei confronti degli italiani e
anche di gente di altri paesi, è comunque forte; ci conviene fare fagotto e
sparire alla svelta, qui non scherzano e potrebbe succedere qualunque cosa,
anche la peggiore se si trova l’ubriaco di turno. Ripartiamo incazzati e con la coda tra le gambe, per fortuna la
pioggia è diminuita d’intensità e si può viaggiare anche se con cautela; il
traffico è inesistente, raggiungiamo Brasov alle 11 di sera, tutto tace sembra
di essere in una città fantasma, rapido consulto e decidiamo di continuare a
oltranza, alternandoci alla guida. Prossima tappa Ploesti, è impossibile
sbagliare strada, è una selva di ciminiere, sembra di essere a Marghera, c’è
sicuramente una raffineria e molte fabbriche chimiche. Dicevo che era
impossibile sbagliare strada e infatti, ci infiliamo in mezzo alla raffineria e
andiamo in crisi; dietro di noi, altre due macchine; ci hanno seguito una
coppia di francesi e una di belgi, speravano che facessimo noi da apripista;
risata generale, più isterica che mai ma anche questa volta riusciamo a uscirne,
dopo una buona mezzora ( Per onor di cronaca devo dire che la mia memoria non è
certa se le raffinerie fossero veramente a Ploesti o Brasov, nel qual caso
bisognerebbe invertire i nomi ma la
sostanza in ogni modo non cambia). Finalmente Bucarest, la capitale, ci sarà
sempre un po’ di vita in più, si spera, oltretutto dobbiamo fare benzina;
troviamo un distributore aperto proprio sulla strada, sono le 3,30 del mattino,
se questo non si chiama culo, dice una voce. Il fanale di sinistra non
funziona, probabile che sia un fusibile bruciato, e la scatoletta di ricambio è
nel portabagagli sotto le valigie; facciamo vedere il problema al benzinaio che
fa cenno di essere in grado di risolverlo. La musica va a tutto volume,
cassetta mix di Lucio Battisti: “Supermarket lunedì, tu non sei più qui, dimmi
ieri come mai tu non eri lì…” e in effetti siamo già a lunedì; siamo partiti
sabato mattino dall’Italia e non ci siamo più fermati a parte la parentesi di
Belgrado; siamo stanchi ma non vediamo alternative, dobbiamo proseguire fino
alla meta finale: il Mar Nero. Ritorna il benzinaio con in mano il fusibile e
contemporaneamente, una macchina della polizia si ferma vicino alla nostra, c’è
un comprensibile momento di panico, ci guardiamo un po’ impauriti, osservando
il poliziotto che si dirige verso di noi, un sorriso, prosegue verso la
macchina e si siede al volante, armeggiando fin che non riesce ad alzare il
volume e chiude gli occhi in estasi, beato di felicità; roba da non credere, ci
guardiamo esterrefatti mentre il benzinaio cambia il fusibile ridendo e anche
noi scoppiamo a ridere. Il fatto è che ha voluto ascoltarla quasi due volte
prima di lasciarci andare, giusto in tempo, cominciavamo ad avere istinti
omicidi. Arriviamo sul Mar Nero alle sei di mattino, non c’era molta strada tra
Bucarest e Costanza, troviamo un campeggio a Mamaia, sembra quasi un incubo,
quattro alberi e tutt’intorno terra e polvere e per fortuna che questa è
rinomata come la spiaggia d’elite nella Romania di Ceausescu; inutile fare gli
schizzinosi, montiamo la tenda in fretta e furia e ci buttiamo a dormire
vestiti. Il sole a picco anticipa il nostro risveglio, sono le due del
pomeriggio, riordiniamo le idee e un po’ di cose; Walter tira fuori tutta
l’attrezzatura per cucinare, io e Corrado andiamo a vedere se si può recuperare
del pane e qualcosa da bere; abbiamo fatto una doccia e ci siamo messi in
costume; osserviamo una vecchia Fiat 1100 primi anni 60, è già due volte che la
incrociamo, è targata Padova, si ferma a un metro di distanza da noi, sono in
quattro, facce da galera, sulla trentina, comunica quello che è al volante;
sicuramente ci ha sentito parlare perché ci rivolge la parola direttamente in
dialetto: “Se ciava?” (traduzione per i non veneti: “si chiava?”), mi sono
tornate in mente le parole del romano riguardo alla cattiva fama di noi
italiani, aveva ragione, li abbiamo mandati a fan culo e, per fortuna, non si
sono più fatti vedere. Allo spaccio prendiamo pane, birra, una specie di
salame, uova e altro. Corrado nota delle bottiglie di vetro da ½ litro, chiuse
con tappo di sughero e spago e si convince sia vino, io non sono d’accordo ma
non c’è verso, ne prende quattro, mentre con la coda dell’occhio osservo le
commesse ridere tra di loro. Quando
arriviamo in tenda il mistero è svelato, due litri di aceto: ha comperato due
litri di aceto; Walter va giù colorito in dialetto tirando in ballo la pesca,
le sardine e il famoso saor veneziano, tutto si conclude con una risata. Alla
sera proviamo a fare un giro in città, ci hanno indicato un posto dove suonano
musica e ci sono ragazzi giovani ma è un buco nell’acqua; tanti sguardi
curiosi, ragazze blindate e complesso da parrocchia. Il giorno dopo rimettiamo
a posto i bagagli nella macchina, facciamo un bagno in mare e alle 16 smontata
la tenda e l’attrezzatura, decidiamo di provare l’accoglienza in Bulgaria, qui
in Romania non è stata all’altezza delle aspettative. Passiamo il confine alle
sei di sera e al primo campeggio ci fermiamo; sembra di essere nella giungla,
tanto è il verde che ci circonda. Breve discussione in tedesco tra Corrado e
l’impiegato che, con i nostri passaporti in mano, dice ironico all’aiutante,
sempre in tedesco: “Alza la sbarra, sono arrivati i capitalisti.” Capitalisti a
noi, brutto stronzo, la consideriamo un’offesa personale. Ci prepariamo per la
cena, e vediamo che si avvicina un tizio, napoletano scopriamo poi, ha visto
l’acqua, gli spaghetti; si mette in ginocchio, implora di averne un piatto; è qui fermo da una settimana, ha rotto il
motore della macchina e sta aspettando che la mettano a posto e ormai sono
giorni che mangia solo patate e salsicce. Ci lasciamo prendere dalla commozione
e lo facciamo accomodare, purché non diventi un’abitudine. Un paio di giorni di
sano relax ci volevano proprio; riposo, bagni, conoscenze anche se poche, visto
che sembra più un campeggio di passaggio; domani è venerdì e una settimana è
quasi volata via, decidiamo di levare le tende, è proprio il caso di dirlo, in
cerca di qualcosa di più attraente. Notiamo subito sulla carta che la prossima
città di una certa consistenza è Varna, con diversi campeggi in riva al mare.
Detto fatto venerdì mattino siamo già in viaggio, abbastanza breve a dire il
vero e comunque lo spostamento ha avuto i suoi frutti. Questo è un Camping con
la C maiuscola, dove si trovano tedeschi, dell’est naturalmente e tante altre
nazionalità con cui relazionare. La città non presenta niente di
particolarmente interessante ma uno dei nostri maggiori motivi di curiosità è
quello di uscire dalle rotte turistiche, magari consigliate, per vedere la vita
reale della gente che ci circonda. Alternavamo, quindi, sole e bagni a visite
nei negozi del centro, in cerca di cose impossibili, divertendoci a confrontare
le nostre usanze con le loro. Attraversando i paesi che trovavamo lungo la
strada, si vedeva lo stile di vita tipico dei regime dell’est, non penso che facessero
la fame ma c’era un insolito modo di affrontare la vita, sicuramente più
arretrato del nostro. Nelle città più grandi, invece, si notava subito la
diversa maniera di vestire, di parlare, socievole e molto più emancipata
culturalmente. In ogni caso, eravamo convinti che occhi discreti controllassero
le nostre mosse, quando uscivamo dai circuiti “normali”. Per fortuna non ci è successo mai niente.
2 Continua
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VACANZE REMOTE DI TANTI ANNI FA /3
Il campeggio che abbiamo scelto, è un Camping stanziale,
come si usa dire in gergo, dove la gente viene per fare le sue sacrosante
ferie. Un po’ come quello che facevamo noi e tanti altri, nelle spiagge
italiane. Come vicini di tenda abbiamo una coppia di tedeschi, con due figli giovani; naturalmente Corrado fa da
interprete, tanto che alla sera, ci infiliamo in lunghe conversazioni sul modo
di vivere della Germania dell’est e sui tanti dubbi che vengono sollevati dai
nostri amici che vorrebbero sicuramente molta più libertà ma che tutto sommato
sono convinti di stare bene e che reputano propaganda negativa, quella fatta
alla loro nazione. Spieghiamo come stanno le cose, con un po’ di sano cinismo,
cercando di convincerli che, tutto sommato, un po’ di democrazia in più non
guasterebbe ma non c’è niente da fare, sono tedeschi: dell’est o dell’ovest,
rimarranno sempre tedeschi. Walter si alza per prendere una cosa in macchina e
così facendo fa cadere un rotolo di carta igienica. Curiosità assoluta, ci
chiedono cosa sia e a cosa serve, risata generale, non la conoscevano. In
compenso, conoscono gli spaghetti; sempre il padre, un giorno che li facemmo,
ne volle un piatto (ormai si era fatta una discreta amicizia), Walter glielo
diede abbondante e lui se lo mangiò tutto, lasciando il resto della famiglia a
bocca asciutta. Passò il resto del pomeriggio in un bagno di sudore, con un
continuo via vai a fare lunghe docce
gelate. Probabile un iperglicemia da coma ma se la cavò egregiamente. Una sera
pioveva a dirotto erano le 18 e il cielo era tutto buio, arrivò una coppia di
francesi, lei, con molta naturalezza, aiutò il marito nell’allestimento della
tenda tenendo l’ombrello aperto e ben saldo in una mano e il martello nell’altra:
francesi che altro! Per il resto il tempo trascorreva abbastanza monotono, il
mare pieno di meduse che per fortuna erano innocue, grandi scorpacciate di
frutta, della quale c’era abbondanza, con dell’uva meravigliosa che cresceva
praticamente per terra. Ma ci stavamo stancando, non era quella la vacanza per
cui avevamo fatto migliaia di chilometri. Un mattino ci guardiamo e la sintonia
è immediata: Sofia, la capitale da vedere, scoprire, visitare. Alle 10 siamo
già pronti e, pagato il conto ce ne andiamo, direzione Burgas da dove avevamo
la possibilità di fare due itinerari, o la parte alta quella più vicina alla
Romania o la bassa attraversando Plovdiv, raggiungendo la città da “sotto” se
mi passate il termine. La decisone fu presa una volta arrivati a Burgas, dove
ci fermiamo per comperare qualcosa da mangiare. Fu li che mi accorgo,
controllando la carta stradale che eravamo a 130 Km. circa dalla Turchia;
passato il confine, il Bosforo e Istambul. Ci scambiamo sguardi straniti, la
tentazione è forte ma il tempo ormai sta per scadere e i soldi cominciano a
calare, anche se ne abbiamo speso molto meno di quello che avevamo
preventivato. Abbandonammo l’idea, maledicendo la Romania che ci aveva
fatto perdere un sacco di tempo per
niente.
Sofia era una bellissima città, immersa nel verde dei suoi
parchi, il più famoso dei quali si chiamava, se la memoria non mi inganna:
“Loewen Park” che si poteva visitare su di un trenino che lo attraversava da
cima a fondo tra animali di ogni specie, severamente protetti. Ci sistemammo in
un campeggio e cominciammo la nostra “visita” particolare alla città. Con molto
tatto, chiedemmo all’ufficio informazioni, se c’era la possibilità di andare in
un qualche mercatino, di qualsiasi tipo, dall’usato al cibo non aveva
importanza, bastava veder un po’ di cose strane. Per fortuna capì al volo
quello che volevamo e strizzandoci un occhio ci diede delle dritte, spiegandoci
anche di non fare troppo i curiosi, altrimenti avremmo incontrato dei guai. Le
visite cominciarono in una piazza non molto grande, dove un negozio di libri,
faceva da catalizzatore per una decina di bancarelle che vendevano la stessa
merce; rimanemmo delusi ma in fin dei conti cosa ci aspettavamo, libri stampati
in italiano? A ogni paese l’alfabeto che trovi, solo che con il cirillico non
avevamo molta dimestichezza. Il giorno dopo, troviamo un altro mercatino di
cibarie varie; devo assolutamente trovare della marmellata di rose che una
persona mi ha richiesto caldamente. Trovata! Ne compero tre vasi, è
trasparente, sembra gelatina. Una mattina che siamo a zonzo in una parte della
città non ancora visitata, vediamo un sacco di gente ben vestita che entra in
una porta salendo alcuni gradini; dalla facciata sembrerebbe una chiesa ma è
stretta tra le case, impossibile; la cosa ci incuriosisce, io voglio entrare,
gli altri sono titubanti, hanno paura di “rogne”; io alzo le spalle e entro,
seguito dagli altri due paurosi. In effetti è una chiesa, ed è piena di gente,
ce ne restiamo in disparte vicino alla porta d’uscita quasi invisibili anche se
qualcuno girandosi ci ha visti. E’ un matrimonio, è la nostra deduzione, vista
la coppia che si trova vicino a quello che assomiglia ad un altare. E’ una
cerimonia di rito ortodosso, probabilmente della chiesa di Costantinopoli e la seguiamo
affascinati, ascoltando la lingua ostica, a tratti è cantilenante; è molto diversa dalle nostre cerimonie di
matrimonio, la gente è più partecipe, specie nella preghiera; non è come da noi
dove la funzione religiosa viene considerata come una rottura di balle in
attesa del pranzo, insomma non c’è l’ipocrisia a cui siamo abituati ed è questo
il paragone che ci salta immediatamente agli occhi, anche se è una vita che non
andiamo più a messa in Italia e forse è proprio per questo, ci hanno fatto
perdere la voglia. Ce ne andiamo prima
che finisca, siamo stati tutti e tre colpiti da quanto visto e rimaniamo in
silenzio; per un po’ di tempo, nessuna voglia di commentare. “Comunque la sposa
era bella-- dico io – e, in ogni caso, ne avremo una in più da raccontare.” Finisce
li. Alla sera decidiamo di cenare
nel ristorante abbastanza quotato a
quanto ci hanno detto; ci portano il menù, scritto in inglese, per fortuna e
facciamo un salto sulla sedia, alla voce primi si legge: “Risi e bisi”, ci
guardiamo sbalorditi e siccome la curiosità è grande, ordiniamo la pietanza,
mentre Corrado parte con una delle sue storiche frasi: “Bitte, haben sie
etwas Bulgarian spezialitat um zu essen?
(spero di averlo scritto giusto ma penso che il significato sia
inequivocabile). Il risultato è stato un “Risi e bisi”, consistente in un
risotto molto liquido, con tre, dicasi tre piselli al suo interno, delle fette
di carne con una salsa abbastanza disgustosa e le immancabili patate di
contorno. Io e Walter coltiviamo l’idea di abbandonare Corrado al suo destino e
finire le ferie in santa pace ma non se ne fa nulla. I Bulgari sono persone
abbastanza simpatiche; mezza età e anziani taciturni, i giovani molto più
espansivi anche se con grandi paure di essere visti a fare cose “non legalizzate”.
Solidarizziamo con alcuni ragazzi e ragazze che gironzolano nei paraggi del
Campeggio o che incontriamo per strada e che fermiamo con la solita scusa di
informazioni su dove andare; qualche sigaretta un po’ di inglese masticato male
da tutte e due le parti e il gioco è fatto. Mi viene in mente mia nonna che
quando voleva offendere qualcuno gli diceva:”bulgaro”, chissà perché, non ci
vedevo il nesso ma forse dipendeva dal fatto che una figlia dei Savoia aveva
sposato un erede al trono di Bulgaria, poi finita la guerra, la cosa fu gestita
dai russi, assieme ai bulgari appunto, misteri della storia. Ormai siamo agli sgoccioli, il tempo è passato
in fretta ed è ora di cominciare a pianificare il rientro in Italia. Decidiamo
di puntare verso nord, attraversare il Danubio che fa da confine con la Romania
e costeggiando il grande fiume, rientrare in Jugoslavia. Ci permettiamo anche
una breve sosta, nuovamente a Bucarest, giusto per capire se, avendola
attraversata di notte e in fretta, per caso non meritasse più attenzione ma la
sensazione iniziale è rimasta negativa.
Saltiamo senza rimpianti la strada dei Carpazi, mandando a
quel paese il Conte Dracula e i suoi concittadini e, costeggiando appunto il
Danubio, rientriamo in Jugoslavia. Ripercorriamo all’inverso la stessa
famigerata Superstrada, solo che a un certo punto tutto si blocca; le notizie
un po’ confuse parlano di un grosso incidente e si rischia di dover bivaccare
per la notte, ci sono parecchi italiani come noi ma cerchiamo di evitare
contaminazioni che si arrangino, non vogliamo rompi balle al seguito. Ennesima
consultazione della carta e scopriamo di essere più vicini all’Italia di quanto
pensassimo; decidiamo quindi di tagliare in diagonale, saltare Zagabria e Lubljana
e uscire all’altezza di Abbazia, rientrando in Italia dall’Istria. Detto fatto
sono le 4 del pomeriggio e ci lanciamo nell’ennesima avventura, anche perché
uscivamo dalle strade internazionali e andavamo all’arrembaggio. Alle 7 di sera è già buio, abbiamo fame, ci fermiamo
in uno sputo di paese; non abbiamo dinari, non ne abbiamo più cambiati proprio
perché, dopo, non valgono niente. Ci indicano un osteria che è abbastanza
affollata visto che è sabato sera, noi sembriamo selvaggi, barba lunga,
praticamente due giorni che non ci facciamo una doccia; la curiosità è alta,
sembra la scena di un film di Cowboy, quando entra lo straniero nel saloon.
Spieghiamo che abbiamo fame ma che abbiamo solo lire, va tutto bene, benedette
le lire. Ci servono un cosciotto di maiale, piccolo devo dire, lessato;
praticamente una porchetta tagliato grossolanamente in 4 pezzi, pane e birra; mangiamo
con voracità e ce ne andiamo; la stanchezza e tanta, provo a guidare ma mi
rendo conto che per ben due volte mi addormento, la seconda con il rischio di
uscire di strada;, nessun altro vuole prendere in mano il volante, decido
quindi di fermarmi vicino a una casa, mi
da più sicurezza e mi metto a dormire, gli
altri già lo fanno. Dopo non so quanto
tempo qualcuno mi scuote il braccio, è Walter, ombre si aggirano intorno alla
macchina, accendo il motore e via. Magari non avevano cattive intenzioni ma
finire male dopo tutte le avventure che abbiamo passato è da stupidi. Alle 9 di
mattina passiamo la frontiera e al primo distributore parcheggiamo all’ombra e
questa volta sì, ci mettiamo a dormire. Alle 13 e 30, arriviamo a Dolo, quasi
all’improvviso, inutile dire che non esistevano ancora cellulari o altro. Avevamo
fatto più di 6000 Km. in 21 giorni, visitato 3 paesi, considerando anche la
Jugoslavia, attraversata di fretta e in tutto avevamo speso 70.000 lire a
testa, comprensive di benzina, costo campeggio, sigarette , cibo, qualche
regalo da portare a casa. Eravamo stanchi ma felici; non ci sentivamo persone
che avevano compiuto qualcosa di eccezionale ma comuni mortali che avevano avuto
il coraggio di fare una vacanza diversa, molto diversa dal solito e, in ogni
caso, non eravamo stati i soli, di italiani come noi ne abbiamo visti tanti e
con differenti modi di comportamento come già detto. L’unica nota negativa: nessuna fotografia anche
perché nessuno di noi possedeva una macchina fotografica. Ci siamo rifatti
l’anno successivo, facendocene prestare una da un’amica .
A qualcuno questa cronaca, potrà sembrare artificiosa o inventata ma vi posso garantire
che è assolutamente vera. Certo dopo 40 anni, molte cose e soprattutto certi dettagli,
sono stati dimenticati ma è stata la nostra prima vera uscita all’avventura,
con molta, diciamolo pure, incoscienza visti i tempi che correvano; c’era
ancora in essere la guerra fredda e, naturalmente, ogni persona che arrivava
dall’occidente anche se portava soldi era vista con sospetto, quasi un
possibile fautore di idee controrivoluzionarie nei confronti del paese ospite. Paradossalmente l’anno successivo in Ungheria
e Cecoslovacchia dovemmo affrontare maggiori problemi relativi ai nostri
comportamenti e comunque questo viaggio ha posto le basi di un’esperienza di cui avremmo fatto tesoro in seguito, l’anno
successivo, appunto. Il piano generale era di viaggiare per altri due, tre anni
visitando tutto quello che c’era da visitare ma purtroppo le cose non sono
andate propriamente così. Come già detto, l’anno successivo siamo andati in
Ungheria e Cecoslovacchia ma nel 1974 io mi sono sposato(******) e poi finì
tutto. Per la cronaca provai con mia moglie e una coppia di amici a fare un
viaggio in Grecia ma una persona che non è mai stata abituata a fare campeggio,
passata la giovinezza non ci si abituerà mai, quindi il risultato fu pietoso.
Adesso non vi prometto niente ma vediamo se ho voglia di fare anche la
cronistoria del 1973: Dolo, Zagabria,
angolo retto e Ungheria con il lago Balaton, Budapest, e poi Cecoslovacchia,
Brno, Bratislava, Praga e rientro attraverso Vienna e l’Austria. Quello fu il
più bel viaggio in assoluto, forti dell’esperienza passata, ci furono molte più
amicizie con coetanei anche di altre nazioni, in definitiva eravamo più
smaliziati; si era aggiunta un’altra persona, Sandro, le macchine erano due,
come le tende, insomma c’era più organizzazione. Non sono per mia natura una
persona che vive di ricordi ma questi sono stati i più belli e con il senno del
poi, mi sarebbe piaciuto continuare e fare altre esperienze ma, purtroppo, la
giovinezza è bella proprio perché a volte non la si programma e ci costringe ad
attraversarla mettendo assieme errori e cose positive; io l’ho sempre vissuta
così, forse è per questo che non guardo mai al passato con nostalgia e
retorica, ogni giorno è un nuovo giorno e c’è sempre qualcosa di nuovo da
scoprire o da imparare, perché la vita è bella e va vissuta fino all’ultimo
minuto.
/3 FINE
Checcuswriter
Copyright agosto
2012-08-26
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