la rotta del mediterraneo
Migranti, arriva in Europa solo il 2% degli africani in fuga
Si parte per disperazione. Come
facevano i nostri avi ai primi del Novecento con le valigie di
cartone. Per fame. Siccità. Per assenza di lavoro. Per guerre e
persecuzioni politiche. Ma ridurre il problema delle migrazioni
dall’Africa al cosiddetto «fronte Sud» è solo parte della verità, che è
molto più complessa e tremendamente più estesa. È come voler limitare lo
sguardo davanti a un affresco solo su un particolare.
Cinquantaquattro Stati, un miliardo di persone
L’Africa, ma sarebbe più corretto parlare di Afriche, è un continente enorme con oltre un miliardo di persone, 54 Stati diversi per condizioni politiche, economiche, climatiche e sociali. E poi ci sono i numeri. Che non parlano di una «invasione degli immigrati» verso l’Italia ma al contrario di un decremento degli sbarchi: nei primi sei mesi dell’anno gli arrivi sulle coste europee sono diminuiti di cinque volte rispetto ai picchi del 2016, dati Unhcr. Considerando che in Italia ci sono lavori che nessuno vuole più fare. Che i nostri vecchi sono accompagnati nell’ultima fase della vita da un esercito silenzioso di badanti. Che in agricoltura e in molte fabbriche sarebbe complicato immaginare di continuare la produzione senza la forza lavoro a basso costo degli immigrati regolari.
Il nodo dell’integrazione
Il punto non è tanto «l’invasione» ma piuttosto una vera integrazione che trasformi i migranti, da scappati di casa in cittadini. Da fuggitivi a parte della società, energie vive per la comunità civile. Senza dimenticare i problemi. Che ci sono, dal contrasto al traffico di esseri umani alla ripartizione degli oneri dell’accoglienza. E andrebbero affrontati dalla politica in bancarotta etica - divisa - e non sui social. Per dirla con Rogers Waters, mente creativa dei Pink Floyd, che in questo periodo apre i suoi concerti con una frase, sempre la stessa, che ricorda il titolo del libro di un giornalista italiano più conosciuto all’estero che da noi, Vittorio Arrigoni, ucciso dagli islamisti nel 2011: «Restiamo umani».
Rifugiati e migranti economici
Intanto le parole. È sbagliato parlare di immigrati. Ci sono i migranti economici che arrivano da Sud o da Nord: sono quelli che vanno via dall’Africa per cercare un posto migliore dove stare. Poi ci sono i rifugiati. Quelli che scappano. Dal 2015 secondo la già ricordata Agenzia Onu per i rifugiati, le persecuzioni, le guerre e la siccità hanno portato a un aumento delle migrazioni forzate. Una persona ogni 113 nel mondo è costretta alla fuga. Dal 2015 - complice la guerra in Siria - 65,3 milioni di rifugiati hanno lasciato il loro Paese: un numero superiore agli abitanti di nazioni come Italia, Francia o Gran Bretagna. Ogni minuto in qualche posto del mondo 24 persone sono costrette a lasciare casa. Fino al 2005 erano sei al minuto.
Flussi in calo, solo 172mila sbarchi nel 2017
In Italia, nonostante la percezione, in termini assoluti il numero di rifugiati e di migranti è aumentato ma è basso se si considera il trend globale. I profughi nel 2017 in Africa sono raddoppiati, stando ai dati del Global report on internal displacement (Grid) del Norwegian refugee council. L’Africa subsahariana rappresenta solo il 14% della popolazione mondiale ma quasi la metà dei nuovi rifugiati si registra dal Sahara in giù: 5,5 milioni di persone, 46,4% del totale mondiale. Nord Africa e Medio Oriente hanno avuto 4,5 milioni di rifugiati. A questi vanno aggiunti i migranti economici. In totale nel 2017 hanno lasciato la loro casa in Africa circa 10 milioni di persone. Ma dal «fronte Sud» di Italia, Spagna e Grecia sono transitate verso l’Europa 172.301 persone, con 3.139 tra morti e scomparsi stimati (morti che potrebbero essere evitati con un accordo politico con i Paesi nordafricani, e una semplice rete di radar come accadde anni fa con i gommoni provenienti dall’Albania). Su 10 milioni di profughi africani insomma 172mila prendono la via del mare.
In fuga dalle guerre...
Il Paese africano che ha il più alto numero di rifugiati è la Repubblica democratica del Congo (2,2 milioni) dove è in corso una guerra civile dimenticata da decenni nel Kivu con violenze e scontri tra bande armate e truppe governative. E dove è partita una nuova “corsa dell’oro” legata alla conquista dei minerali per alimentare le batterie. Batterie che muovono il mondo, dagli smartphone alle auto elettriche. Le major minerarie si affidano a sub fornitori locali per la gestione del processo estrattivo. In questo passaggio la catena produttiva allenta le maglie e si creano situazioni di sfruttamento e inquinamento ambientale. Centinaia di migliaia di persone lavorano nelle miniere, compresi donne e bambini in condizioni di lavoro durissime. Secondo Amnesty International, almeno un quinto della produzione di cobalto in Congo viene estratta da «minatori improvvisati». Chi può scappa. Il report Grid giudica la risposta internazionale alla crisi in Congo «gravemente insufficiente». Una crisi seconda solo alla Siria a livello mondiale.
...e dalla siccità
Per la prima volta sono state censite anche le persone costrette a spostarsi a causa della siccità in Etiopia, Somalia, Burundi e Madagascar (1,3 milioni). La World Bank stima che nel 2050 i rifugiati per gli effetti del cambiamento climatico saranno oltre 140 milioni. Numeri allarmanti di rifugiati si registrano anche in Sud Sudan (932mila) e Repubblica Centraficana, da anni alle prese con guerre civili a singhiozzo. Un’area di crisi recente è quella del Nord del Camerun con le violenze degli indipendentisti e gli attentati degli islamisti di Boko Haram che sconfinano dalla Nigeria. I ribelli sparano, i terroristi si fanno esplodere e la gente scappa. L’86% dei rifugiati africani vengono accolti nei campi Unhcr, in Paesi a basso reddito, vicini alle aree di crisi. I principali sono in Uganda, Sudan, Etiopia Kenya e Libano.
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