Dove trova i soldi Tria per il reddito di cittadinanza
Il ministro dell'Economia ha detto che il
nuovo ammortizzatore ne sostituirà altri: a rischio il Rei, l'assegno
contro la povertà varato dal governo Gentiloni.
Il governo di Giuseppe Conte potrebbe cancellare il reddito di inclusione, ovvero l'unico strumento di contrasto alla povertà che - con fondi molto limitati - è stato varato dal governo Gentiloni nella scorsa legislatura, per far spazio al reddito di cittadinanza. L'orientamento dell'esecutivo Lega-M5s si evince dalle dichiarazioni del ministro dell'Economia Giovanni Tria che il 17 luglio è intervenuto in audizione alla Commissione Finanze del Senato.
«Le riforme vanno affrontate attraverso una rimodulazione e un cambiamento del sistema di entrate e uscite», ha spiegato il ministro. «Quando mi si dice "quanto costa?", rispondo che è una domanda mal posta, perché bisogna vedere quale è il disegno specifico della norma, ma anche perché il costo di un provvedimento non può essere tutto addizionale ma in parte sostitutivo». Tria ha spiegato che si tratterà di «trasformare strumenti di protezione sociale già esistenti in altri strumenti» poi si vedrà «il costo differenziale e come introdurlo gradualmente».
A fine del 2017, erano in condizioni di povertà assoluta il 6,9% delle famiglie residenti, cioè 1 milione e 778 mila nuclei per 5 milioni e 58 mila individui. Per povertà assoluta si intende l'impossibilità di accedere a un paniere di beni e servizi essenziali per uno standard di vita «minimamente accettabile». Si trovano invece in povertà relativa il 12,3% di tutte le famiglie residenti. Si considera «relativamente povera» una famiglia di due persone con meno di 1.085 euro disponibili di spesa al mese. I valori di povertà assoluta sono raddoppiati rispetto all'inizio della crisi, con una progressione che si è accentuata a partire dal 2012. L'Italia, insomma, si è scoperto un Paese di poveri.
«Le riforme vanno affrontate attraverso una rimodulazione e un cambiamento del sistema di entrate e uscite», ha spiegato il ministro. «Quando mi si dice "quanto costa?", rispondo che è una domanda mal posta, perché bisogna vedere quale è il disegno specifico della norma, ma anche perché il costo di un provvedimento non può essere tutto addizionale ma in parte sostitutivo». Tria ha spiegato che si tratterà di «trasformare strumenti di protezione sociale già esistenti in altri strumenti» poi si vedrà «il costo differenziale e come introdurlo gradualmente».
IL DRAMMA DELLA POVERTÀ IN ITALIA
Storicamente l'Italia non ha mai avuto un ammortizzatore sociale pensato esclusivamente per il contrasto della povertà. La scelta di concentrare le risorse sul contrasto alla disoccupazione tra i beneficiari di contratti tradizionali - con la cassa integrazione prima e i contratti di solidarietà poi - ha lasciato però senza coperta migliaia di cittadini che, specie con la crescita della flessibilità (o precarizzazione) delle forme contrattuali si è trovata a fronteggiare situazioni drammatiche senza poter contare su un aiuto concreto da parte dello Stato.A fine del 2017, erano in condizioni di povertà assoluta il 6,9% delle famiglie residenti, cioè 1 milione e 778 mila nuclei per 5 milioni e 58 mila individui. Per povertà assoluta si intende l'impossibilità di accedere a un paniere di beni e servizi essenziali per uno standard di vita «minimamente accettabile». Si trovano invece in povertà relativa il 12,3% di tutte le famiglie residenti. Si considera «relativamente povera» una famiglia di due persone con meno di 1.085 euro disponibili di spesa al mese. I valori di povertà assoluta sono raddoppiati rispetto all'inizio della crisi, con una progressione che si è accentuata a partire dal 2012. L'Italia, insomma, si è scoperto un Paese di poveri.
IL REDDITO DI INCLUSIONE
Il reddito di inclusione (leggi di cosa si tratta) è in vigore dal dicembre 2017 ed è pensato come uno strumento specifico di contrasto alla povertà di carattere universale, non è cioè vincolato ad altre condizioni come l'assegno di accompagnamento, la cassa integrazione, l'assegno sociale. Tale misura è stata finanziata con 2 miliardi per il 2018, 2,5 nel 2019, tra i 2,7 e i tre a regime dal 2020. Questi soldi riescono a sostenere una platea di 2,5 milioni di persone, ovvero meno della metà delle persone in povertà assoluta e che vengono selezionate in base a criteri numerici e di composizione familiare (chi ha minori o persone non autosufficienti a carico viene privilegiato). Le famiglie ricevono un assegno mensile che, per un nucleo di quattro persone, arriva a un massimo di 460 euro. Tali famiglie sono seguite dai servizi sociali e perdono il diritto al sostegno in caso di rifiuto a cercare un lavoro o altri casi di condotta considerata incompatibile con l'aiuto pubblico. Il Rei è erogato per un massimo di 18 mesi.DIFFERENZE CON IL REDDITO DI CITTADINANZA
Le differenze maggiori tra reddito di inclusione e reddito di cittadinanza sono due: il livello degli stanziamenti e i soggetti incaricati di gestire il suo funzionamento. Sul primo fronte, la proposta contenuta nel contratto dovrebbe coprire le esigenze di 4,9 milioni di cittadini erogando un assegno più pesante - 780 euro a persona anziché i circa 187 del Rei - e pesando così sulle casse dello Stato per 29 miliardi di euro. Inoltre, la gestione è affidata ai centri per l'impiego, che per questo andranno potenziati. Il reddito di cittadinanza, a dispetto del nome e per come è congegnato, ha delle analogie con il reddito di inclusione: in entrambi i casi sono misure universali. E in entrambi i casi viene erogato in maniera condizionata: se i beneficiari rifiutano un lavoro, può essere rifiutato.LA PROPOSTA PONTE
Da diversi mesi alcuni economisti - tra cui oggi anche il presidente dell'Inps Tito Boeri in un'intervista a Repubblica - sostengono che il potenziamento del Rei potrebbe essere una buona strada per l'introduzione del reddito di cittadinanza in Italia. Boeri in particolare (ma non solo lui) calcola che aggiungendo 6 miliardi ai tre a oggi disponibili, il Rei coprirebbe una platea pari all'80% delle famiglie in povertà assoluta. Si tratta di meno persone di quelle coperte dal reddito di cittadinanza promesso dal governo, ma comunque una platea molto ampia. Il vantaggio, inoltre, è che la sperimentazione dei primi mesi ha consentito di "testare" il funzionamento di questo strumento ed eviterebbe di dover ricominciare da capo: per il potenziamento dei centri per l'impiego, infatti, il governo ha stanziato 2 miliardi di euro, e secondo i più scettici nemmeno basterebbero.LA CHIUSURA DEL GOVERNO
Le parole di Tria di mertedì, tuttavia, sembrano escludere che il governo vada verso questa direzione.È più facile, a giudicare da quanto dichiarato dal ministro, che si vada a chiudere il Rei e, con i soldi risparmiati, si finanzi il potenziamento dei centri per l'impiego propedeutico al lancio del reddito di cittadinanza, anche per i noti problemi di copertura economica. Già nei mesi scorsi alcuni parlamentari del Pd, tra cui Tommaso Nannicini, avevano denunciato questo rischio.
«Le misure che sono oggi in campo per il contrasto alla povertà, come
il reddito di inclusione, o per le politiche attive, come l'assegno di ricollocazione,
sono coperte con risorse che, sommate, non sarebbero nemmeno
lontanamente sufficienti a coprire le promesse grilline», ha commentato
il deputato di Forza Italia Claudio Pedrazzini. «Oggi scopriamo, dunque, che il reddito di cittadinanza non sarà altro che un sapiente mix tra il reddito di inclusione approvato dal governo Gentiloni e la Naspi
approvata dal governo Renzi. Spiegatelo bene a Di Maio prima che evochi
un altro complotto!» ha ipotizzato in un post su Facebook per il Pd Alessia Rotta.
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