AVVOCATI DEGLI ITALIANI O AVVOCATICCHI?
Ho aspettato a scrivere perché, di fronte a tragedie enormi come quella di Genova, c’è il rischio di essere fraintesi. Però, in questi giorni, ne ho lette tante, che vorrei provare a svolgere qualche riflessione.
Se cercate un post di lettura istantanea, non è qui che lo troverete. Di fronte a questioni complesse, non sono capace di semplificazioni. È un mio limite, dovete prendermi così. Non sono un ingegnere. Quindi non sono in grado di fare valutazioni tecniche. Per questo starei sulla prospettiva che mi appartiene. Quella giuridica, partendo dalle intenzioni espresse dal Presidente Conte quando si è insediato. Disse: “io sarò l’avvocato degli italiani”.
Ebbene, vediamo come dovrebbe comportarsi un bravo avvocato in un frangente come questo. Anzitutto, un bravo avvocato sa che, nel suo agire, deve avere due stelle polari: l’interesse dei suoi assistiti e i fatti. È proprio partendo dai fatti che il bravo avvocato traccia gli obiettivi raggiungibili, avendo sempre cura di dire la verità ai propri assistiti. Perché non c’è avvocato peggiore di quello che mente a chi gli ha affidato il bene più caro, ossia la tutela dei propri diritti.
Gli interessi dei cittadini dunque, ossia i “clienti” che Conte ha scelto di rappresentare. Mi pare che in questo caso siano tre:
1. ottenere misure urgenti e immediate che preservino il più possibile la viabilità di Genova e riducano il terribile impatto economico del crollo sulla città, assicurando il ripristino dell’opera e la realizzazione di vie d’accesso alternative.
2. ottenere che i responsabili paghino fino all’ultimo centesimo i danni materiali e non, tenendo conto del rischio oggettivo che lo Stato possa essere chiamato in causa in quanto proprietario della rete autostradale.
3. creare le condizioni, ove ritenuto opportuno, per poter sciogliere i vincoli contrattuali in essere, mettendosi al riparo dal rischio di soccombere in eventuali contenziosi.
Quanto ai fatti, proviamo a metterli in fila:
Il crollo del ponte Morandi non è una fatalità. Non c’è stato un terremoto, una valanga, un evento esterno di portata tale da farà crollare il ponte.
Ciò detto, nessuno è ancora in grado di affermare con certezza quale sia la causa esatta del crollo del ponte.
La gestione di quel ponte autostradale è in capo ad Autostrade per l’Italia, società privata quotata in borsa che opera sulla tratta in forza di una concessione il cui testo (contrariamente a quanto affermato da alcuni membri del Governo) è pubblico. Non era così fino a poco fa. Oggi, invece, il documento è consultabile (salvo alcuni allegati tecnici che sono secretati per ragioni antitrust) grazie a quanto deciso dal precedente Esecutivo.
La concessione è disciplinato da uno schema di convenzione sottoscritto da Anas e Autostrade nell’ottobre 2007 ma divenuto operativo solo nel 2008, con il Decreto Legge 59 del Governo Berlusconi/Lega. Come ben spiegato da Chiara Braga, tale Decreto prevedeva, tra l’altro, “l’approvazione per legge di tutte le nuove convenzioni con i concessionari autostradali già sottoscritte da ANAS ma che ancora non avevano ricevuto il parere favorevole di NARS, CIPE e Commissioni Parlamentari”.
In tal modo, la convenzione è stata adottata senza possibilità per il Parlamento di dire la propria sulle clausole ivi contenute, compresa quella che riconosceva aumenti tariffari annuali di almeno il 70% dell’inflazione reale, indipendentemente dalla valutazione sulla qualità del servizio e la realizzazione degli investimenti. Tale previsione sarebbe stata inesigibile in forza di norme approvate dal Governo Prodi nel 2006, che - sempre come ricorda puntualmente Chiara Braga - legavano la possibilità di aumenti tariffari a qualità del servizio e investimenti realizzati e davano titolo ad Anas di revocare la concessione e metterla a gara se la concessionaria non avesse accettato la richiesta di applicare migliori condizioni per interesse pubblico. Norme abrogate dal Governo Berlusconi/Lega.
Lo schema di convenzione prevede una durata della concessione fino al dicembre 2038.
Nel 2017, il Governo Gentiloni ha notificato alla Commissione EU (DG Competition) un piano di investimenti volto a consentire la realizzazione di una serie di opere di ammodernamento e adeguamento di alcune delle tratte stradali date in concessione ad Autostrade. In sostanza, il piano contempla che, a fronte di una proroga della scadenza della concessione di 48 mesi, dal 2038 al 2042, Autostrade realizzi con tempistiche stringenti una lista di interventi. La proroga è funzionale a evitare che l’incremento degli investimenti richiesti ad Autostrade si trasformi in un eccessivo aumento dei pedaggi stradali pagati dagli utenti.
Tra gli investimenti previsti dal piano vi è quello relativo alla realizzazione della così detta Gronda, la tratta necessaria per consentire di alleggerire il traffico del ponte Morandi e che, se oggi esistesse, avrebbe evitato di avere Genova tagliata in due.
La Commissione EU ha esaminato approfonditamente il piano presentato dal Governo e ha autorizzato la proroga (qui si trova il testo della decisione http://ec.europa.eu/competit…/elojade/isef/case_details.cfm…) dando atto di come l’approvazione del progetto relativo alla Gronda abbia richiesto 15 anni (sono note le opposizioni feroci a tale progetto da parte di comitati appoggiati dal M5S) e di come, in questi 15 anni, e stanti tutte le modifiche via via richieste o rese necessarie dalle mutate esigenze, l’opera inizialmente prevista per 34,1 km e per un costo di 1,8 miliardi di Euro oggi debba essere realizzata per 72 km con un costo di 4,32 miliardi di Euro. Un costo, grazie alla proroga, interamente coperto da Autostrade che, pertanto, contrariamente a quanto affermato dal Ministro Salvini, non è calcolato ai fini dei parametri europei.
Alla data di notifica alla Commissione del progetto descritto la norma dello Sblocca Italia (ripetutamente invocata dal Ministro Di Maio e che contemplava la possibilità di estendere le concessioni autostradali) non era più in vigore, essendo stata abrogata dal Codice dei Contratti pubblici del 18 aprile 2016. È, quindi, una norma che non ha avuto alcuna rilevanza sulla proroga della concessione con Autostrade.
In ogni caso, quella proroga è del tutto ininfluente rispetto alla circostanza che alla data del crollo fosse in vigore la concessione disciplinata dalla convenzione del 2008, posto che sin dall’origine è previsto che tale concessione scadrà nel 2038, ossia tra 20 anni.
Chiariti gli obiettivi ed ricostruiti i fatti, il buon avvocato deve mettere in campo la propria strategia, evitando innanzitutto di scoprire le proprie carte con annunci non basati su un attento studio delle carte. Attento studio da cui emergerebbe come lo schema di convenzione con Autostrade preveda due fattispecie distinte: la decadenza, che può essere invocata dal concedente a fronte di gravi inadempienze e che non contempla indennizzi in favore del concessionario, ovvero la revoca (quella annunciata dal Presidente Conte), a fronte della quale Autostrade ha diritto a vedersi riconosciuto un indennizzo pari ai ricavi previsti fino alla data di scadenza della concessione. La decadenza può essere attivata solo seguendo una procedura precisa di contestazioni e contraddittorio con il concessionario. Quindi, se vuole evitare di far pagare ai propri assistiti/cittadini italiani un indennizzo miliardario e se vuole ottenere da Autostrade la messa in sicurezza del sito, il ripristino dell’opera, la realizzazione degli investimenti, prima di parlare, il buon avvocato avvia tutte le necessarie verifiche tecniche, legali ed economiche (anche solo ipotizzare una quantificazione dei danni, in un caso come questo, richiede un enorme lavoro da parte di espertissimi). Il buon avvocato procede così non solo per disporre di un quadro informativo completo ed esaustivo sulla base del quale fondare le proprie valutazioni sull’opportunità e la convenienza della decadenza, ma anche e soprattutto per raccogliere tutte le evidenze utili a costruire un dossier solido da utilizzare nei confronti di Autostrade, qualora fossero accertate sue responsabilità, ed essere così pronti a ribattere colpo su colpo in un eventuale contenzioso con la stessa concessionaria e, particolare di non poco conto, a disporre degli elementi utili nell’ambito di eventuali cause civili di terzi.
Questo è il modo in cui procederebbe un bravo avvocato, quello che non si preoccupa di alimentare il proprio ego e di ottenere un facile ed effimero consenso, ma che persegue con determinazione assoluta un unico solo obiettivo: portare a casa risultati per i propri assistiti.
Poi c’è quello che in gergo chiamiamo avvocaticchio. Si tratta di una tipologia di leguleio che spara contestazioni al buio, promettendo la luna ai propri assistiti, assicurando che, lui sì, menerá le mani, mica come gli altri. L’avvocaticchio perde puntualmente le cause, con condanna alle spese per i clienti. Quando questi attoniti chiedono “ma come, non dovevamo vincere a mani basse?”, risponde, scuotendo la testa, “guardate, sono imbufalito, questo sistema è marcio, ci sono le lobby, le pastette, uno schifo, ci vorrebbe una rivoluzione. In appello, però, li facciamo neri”....
Lisa Noja
Ho aspettato a scrivere perché, di fronte a tragedie enormi come quella di Genova, c’è il rischio di essere fraintesi. Però, in questi giorni, ne ho lette tante, che vorrei provare a svolgere qualche riflessione.
Se cercate un post di lettura istantanea, non è qui che lo troverete. Di fronte a questioni complesse, non sono capace di semplificazioni. È un mio limite, dovete prendermi così. Non sono un ingegnere. Quindi non sono in grado di fare valutazioni tecniche. Per questo starei sulla prospettiva che mi appartiene. Quella giuridica, partendo dalle intenzioni espresse dal Presidente Conte quando si è insediato. Disse: “io sarò l’avvocato degli italiani”.
Ebbene, vediamo come dovrebbe comportarsi un bravo avvocato in un frangente come questo. Anzitutto, un bravo avvocato sa che, nel suo agire, deve avere due stelle polari: l’interesse dei suoi assistiti e i fatti. È proprio partendo dai fatti che il bravo avvocato traccia gli obiettivi raggiungibili, avendo sempre cura di dire la verità ai propri assistiti. Perché non c’è avvocato peggiore di quello che mente a chi gli ha affidato il bene più caro, ossia la tutela dei propri diritti.
Gli interessi dei cittadini dunque, ossia i “clienti” che Conte ha scelto di rappresentare. Mi pare che in questo caso siano tre:
1. ottenere misure urgenti e immediate che preservino il più possibile la viabilità di Genova e riducano il terribile impatto economico del crollo sulla città, assicurando il ripristino dell’opera e la realizzazione di vie d’accesso alternative.
2. ottenere che i responsabili paghino fino all’ultimo centesimo i danni materiali e non, tenendo conto del rischio oggettivo che lo Stato possa essere chiamato in causa in quanto proprietario della rete autostradale.
3. creare le condizioni, ove ritenuto opportuno, per poter sciogliere i vincoli contrattuali in essere, mettendosi al riparo dal rischio di soccombere in eventuali contenziosi.
Quanto ai fatti, proviamo a metterli in fila:
Il crollo del ponte Morandi non è una fatalità. Non c’è stato un terremoto, una valanga, un evento esterno di portata tale da farà crollare il ponte.
Ciò detto, nessuno è ancora in grado di affermare con certezza quale sia la causa esatta del crollo del ponte.
La gestione di quel ponte autostradale è in capo ad Autostrade per l’Italia, società privata quotata in borsa che opera sulla tratta in forza di una concessione il cui testo (contrariamente a quanto affermato da alcuni membri del Governo) è pubblico. Non era così fino a poco fa. Oggi, invece, il documento è consultabile (salvo alcuni allegati tecnici che sono secretati per ragioni antitrust) grazie a quanto deciso dal precedente Esecutivo.
La concessione è disciplinato da uno schema di convenzione sottoscritto da Anas e Autostrade nell’ottobre 2007 ma divenuto operativo solo nel 2008, con il Decreto Legge 59 del Governo Berlusconi/Lega. Come ben spiegato da Chiara Braga, tale Decreto prevedeva, tra l’altro, “l’approvazione per legge di tutte le nuove convenzioni con i concessionari autostradali già sottoscritte da ANAS ma che ancora non avevano ricevuto il parere favorevole di NARS, CIPE e Commissioni Parlamentari”.
In tal modo, la convenzione è stata adottata senza possibilità per il Parlamento di dire la propria sulle clausole ivi contenute, compresa quella che riconosceva aumenti tariffari annuali di almeno il 70% dell’inflazione reale, indipendentemente dalla valutazione sulla qualità del servizio e la realizzazione degli investimenti. Tale previsione sarebbe stata inesigibile in forza di norme approvate dal Governo Prodi nel 2006, che - sempre come ricorda puntualmente Chiara Braga - legavano la possibilità di aumenti tariffari a qualità del servizio e investimenti realizzati e davano titolo ad Anas di revocare la concessione e metterla a gara se la concessionaria non avesse accettato la richiesta di applicare migliori condizioni per interesse pubblico. Norme abrogate dal Governo Berlusconi/Lega.
Lo schema di convenzione prevede una durata della concessione fino al dicembre 2038.
Nel 2017, il Governo Gentiloni ha notificato alla Commissione EU (DG Competition) un piano di investimenti volto a consentire la realizzazione di una serie di opere di ammodernamento e adeguamento di alcune delle tratte stradali date in concessione ad Autostrade. In sostanza, il piano contempla che, a fronte di una proroga della scadenza della concessione di 48 mesi, dal 2038 al 2042, Autostrade realizzi con tempistiche stringenti una lista di interventi. La proroga è funzionale a evitare che l’incremento degli investimenti richiesti ad Autostrade si trasformi in un eccessivo aumento dei pedaggi stradali pagati dagli utenti.
Tra gli investimenti previsti dal piano vi è quello relativo alla realizzazione della così detta Gronda, la tratta necessaria per consentire di alleggerire il traffico del ponte Morandi e che, se oggi esistesse, avrebbe evitato di avere Genova tagliata in due.
La Commissione EU ha esaminato approfonditamente il piano presentato dal Governo e ha autorizzato la proroga (qui si trova il testo della decisione http://ec.europa.eu/competit…/elojade/isef/case_details.cfm…) dando atto di come l’approvazione del progetto relativo alla Gronda abbia richiesto 15 anni (sono note le opposizioni feroci a tale progetto da parte di comitati appoggiati dal M5S) e di come, in questi 15 anni, e stanti tutte le modifiche via via richieste o rese necessarie dalle mutate esigenze, l’opera inizialmente prevista per 34,1 km e per un costo di 1,8 miliardi di Euro oggi debba essere realizzata per 72 km con un costo di 4,32 miliardi di Euro. Un costo, grazie alla proroga, interamente coperto da Autostrade che, pertanto, contrariamente a quanto affermato dal Ministro Salvini, non è calcolato ai fini dei parametri europei.
Alla data di notifica alla Commissione del progetto descritto la norma dello Sblocca Italia (ripetutamente invocata dal Ministro Di Maio e che contemplava la possibilità di estendere le concessioni autostradali) non era più in vigore, essendo stata abrogata dal Codice dei Contratti pubblici del 18 aprile 2016. È, quindi, una norma che non ha avuto alcuna rilevanza sulla proroga della concessione con Autostrade.
In ogni caso, quella proroga è del tutto ininfluente rispetto alla circostanza che alla data del crollo fosse in vigore la concessione disciplinata dalla convenzione del 2008, posto che sin dall’origine è previsto che tale concessione scadrà nel 2038, ossia tra 20 anni.
Chiariti gli obiettivi ed ricostruiti i fatti, il buon avvocato deve mettere in campo la propria strategia, evitando innanzitutto di scoprire le proprie carte con annunci non basati su un attento studio delle carte. Attento studio da cui emergerebbe come lo schema di convenzione con Autostrade preveda due fattispecie distinte: la decadenza, che può essere invocata dal concedente a fronte di gravi inadempienze e che non contempla indennizzi in favore del concessionario, ovvero la revoca (quella annunciata dal Presidente Conte), a fronte della quale Autostrade ha diritto a vedersi riconosciuto un indennizzo pari ai ricavi previsti fino alla data di scadenza della concessione. La decadenza può essere attivata solo seguendo una procedura precisa di contestazioni e contraddittorio con il concessionario. Quindi, se vuole evitare di far pagare ai propri assistiti/cittadini italiani un indennizzo miliardario e se vuole ottenere da Autostrade la messa in sicurezza del sito, il ripristino dell’opera, la realizzazione degli investimenti, prima di parlare, il buon avvocato avvia tutte le necessarie verifiche tecniche, legali ed economiche (anche solo ipotizzare una quantificazione dei danni, in un caso come questo, richiede un enorme lavoro da parte di espertissimi). Il buon avvocato procede così non solo per disporre di un quadro informativo completo ed esaustivo sulla base del quale fondare le proprie valutazioni sull’opportunità e la convenienza della decadenza, ma anche e soprattutto per raccogliere tutte le evidenze utili a costruire un dossier solido da utilizzare nei confronti di Autostrade, qualora fossero accertate sue responsabilità, ed essere così pronti a ribattere colpo su colpo in un eventuale contenzioso con la stessa concessionaria e, particolare di non poco conto, a disporre degli elementi utili nell’ambito di eventuali cause civili di terzi.
Questo è il modo in cui procederebbe un bravo avvocato, quello che non si preoccupa di alimentare il proprio ego e di ottenere un facile ed effimero consenso, ma che persegue con determinazione assoluta un unico solo obiettivo: portare a casa risultati per i propri assistiti.
Poi c’è quello che in gergo chiamiamo avvocaticchio. Si tratta di una tipologia di leguleio che spara contestazioni al buio, promettendo la luna ai propri assistiti, assicurando che, lui sì, menerá le mani, mica come gli altri. L’avvocaticchio perde puntualmente le cause, con condanna alle spese per i clienti. Quando questi attoniti chiedono “ma come, non dovevamo vincere a mani basse?”, risponde, scuotendo la testa, “guardate, sono imbufalito, questo sistema è marcio, ci sono le lobby, le pastette, uno schifo, ci vorrebbe una rivoluzione. In appello, però, li facciamo neri”....
Lisa Noja
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