venerdì 17 agosto 2018

A chi spettavano i controlli di Ponte Morandi

Le denunce non ascoltate dal 2013. I carenti monitoraggi di Autostrade. Il compito di vigilanza dello Stato disatteso per carenza di risorse. La catena delle responsabilità per la tragedia di Genova è molto lunga.

Sapere non è agire, ha sottolineato con l'acume da ex pm l'ex ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Antonio Di Pietro sul disastro del ponte Morandi di Genova. E agire, considerato che gli interventi di manutenzione sul viadotto erano continui, si può ancora dedurre che non sia matematicamente salvare. I diversi elementi che emergono nella ricostruzione della storia del ponte e di altri viadotti a rischio, e sulle responsabilità in materia di viabilità, sono oggetto di esame approfondito delle autorità giudiziarie ma danno già alla tragedia i contorni di una tipica storia italiana. Non a caso è iniziato lo scaricabarile tra chi porta parti rilevanti di responsabilità. Se forse neanche i più critici, tra gli addetti ai lavori, potevano immaginare un cedimento così massiccio del controverso ponte, tutti gli addetti ai lavori – politici, funzionari e tecnici statali come del gestore privato, addetti alla sicurezza – sapevano che il Morandi era una struttura gravemente malata, forse la più malata e monitorata d'Italia, e che diecimila ponti sono da anni a rischio di crollo, come sottolineato dal direttore dell'Istituto per le Tecnologie della Costruzione del Cnr, Antonio Occhiuzzi. Ciononostante raramente vengono chiusi, e men che meno si impongono per cause di forza maggiore piani di ricostruzione o varianti alternative. Semplicemente si rimanda fino alla catastrofe annunciata.

I soccorsi dopo il crollo di Ponte Morandi.

L'INTERROGAZIONE IN SENATO DEL 2016 SUL CEDIMENTO DEL MORANDI

È del 28 aprile 2016 (e non è l'unica denuncia) l'interrogazione del senatore genovese Maurizio Rossi in quota Scelta civica all'allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Del Rio sull'eventualità che «il ponte Morandi, viste le attuali condizioni di criticità, potrebbe venir chiuso almeno al traffico pesante, entro pochi anni, gettando la città nel caos». Rossi, che dopo il disastro racconta di «parlare con preoccupazione di quel ponte dal 2013» e di «non essere mai stato degnato di una risposta dai ministri competenti», nell'intervento a Palazzo Madama affermava anche che «recentemente» il Morandi era «stato oggetto di un preoccupante cedimento dei giunti».



Senza un'opera straordinaria di manutenzione era «concreto il rischio di una sua chiusura» e il senatore voleva delucidazioni anche sull'«attuale blocco dell'iter dei lavori per la costruzione della Gronda di Genova», cioè della variante al ponte. Considerato che, nelle prime fasi delle procedure, la «necessità finanziaria dei lavori» risultava «già nella disponibilità della società Autostrade, grazie ad aumenti tariffari concordati e subito applicati su tutto il territorio nazionale», queste disponibilità finalizzate alla costruzione della Gronda e incassate in anticipo, si chiedeva Rossi, venivano «utilizzate per altre finalità» o erano state «accantonate»?

AUTOSTRADE PER L'ITALIA SI TRINCERA NELL'IMPREVEDIBILITÀ

Quasi due anni e mezzo dopo la bretella della Gronda era diventata lettera morta, come tante incompiute italiane, e la parte finanziaria degli atti delle concessioni tra il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e le società che gestiscono le autostrade è risultata coperta da segreto. Si è scoperto nel frattempo che Autostrade per l'Italia, concessionaria anche del tratto di Genova, aveva accelerato – ma non abbastanza – la preselezioni di un grosso bando di oltre 20 milioni di euro. Una gara da far partire a settembre, per rinforzare i tiranti del pilastro sbriciolatosi il 14 agosto 2018, che da tempo destavamo molte perplessità tra gli ingegneri sulla loro resistenza.
Nulla era presagibile dai controlli più approfonditi svolti sul ponte Morandi
Autostrade per l'Italia
Per il fragile ponte Morandi si sarebbe trattato dell'intervento più grosso dal rinforzo dei tiranti di un altro pilastro, indispensabile già negli Anni 90. Il direttore del tronco genovese di Autostrade per l'Italia Stefano Marigliani lo ha giustificato come un lavoro che puntava ad «allungare la vita» del viadotto, l'usura nei tiranti crollati si sarebbe rivelata ancora più lenta rispetto ai precedenti casi di tiranti difettati. «I controlli approfonditi» svolti anche il 20 giugno scorso non avevano però individuato un pericolo così allarmante da rendere immediata la chiusura del ponte. Per la società concessionaria è la vecchia tesi dell'imprevedibilità e dell'imponderabile che libera da responsabilità penali dolose.

L'OBBLIGO DI VIGILANZA DEL MINISTERO DISATTESO

Autostrade per l'Italia ha ammesso che «qualcosa nel sistema dei controlli non ha funzionato», ma che «nulla era presagibile». E se i i controlli della società che incassa miliardi di euro dai pedaggi e reinveste in media poco più di 500 milioni in l'anno manutenzione sono stati fallaci, anche la vigilanza dello Stato è venuta meno: come ha ricordato Di Pietro, che da ministro inaugurò il contratto di concessione, l'articolo 28 del medesimo assegna un ruolo cruciale di controllo del pubblico sul concessionario privato: «Il concedente vigila», è scritto, «affinché i lavori di adeguamento sulle autostrade siano eseguiti a perfetta regola d'arte».
Se sul ponte di Genova Autostrade per l'Italia ha svolto i controlli in totale autonomia, senza rendere conto a nessuno, è perché nessuno dalla Struttura di vigilanza ministeriale si è mosso
Attraverso l'Anas e, dal 2013, anche attraverso una specifica Struttura di vigilanza istituita per legge dallo stesso ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sulle autostrade lo Stato deve vigilare «anche sui lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e sui ripristini. Visita e assiste ai lavori e», continua il testo, «può eseguire prove, esperimenti, misurazioni, saggi e quant'altro necessario per l'accertamento del buon andamento dei lavori stessi». È falso quindi dire che ad Autostrade per l'Italia sia stata concessa mano libera: se sul ponte di Genova ha svolto i controlli in totale autonomia, senza rendere conto a nessuno, è perché nessuno dalla Struttura di vigilanza ministeriale si è mosso.

LE DENUNCE DI EX FUNZIONARI SULLA POCA MANUTENZIONE

Anche in Germania, dove il 13% dei ponti è logoro, è un'agenzia specializzata del ministero tedesco delle Infrastrutture e dei Trasporti a redigere controlli e report su scala nazionale. Due occhi, specie in caso di errore umano nei controlli e specie in controlli di privati, sono meglio di uno. Ma esiste concretamente questa struttura? Le verifiche del personale del Ministero sulla rete autostradale sarebbero poche e superficiali per la scarisità di mezzi e risorse a disposizione, da un punto legale è necessario capire su Genova anche quali e quanti controlli siano stati effettuati dagli uffici preposti. Costituirsi parte civile come ha annunciato il neo ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Danilo Toninelli può, con il corso delle indagini, ritorcersi in un boomerang.

PIÙ DIPARTIMENTI DEL MINISTERO RESPONSABILI PER LE AUTOSTRADE

Il giovane capo pentastellato del dicastero è in carica da pochi mesi e può anche non aver saputo del dovere di vigilanza dello Stato. Ma qualcuno al ministero deve saperlo bene e tace. Tanto più che, al ministero, oltre alla Direzione per la Vigilanza sulle concessionarie autostradali esiste la Direzione per le Strade e le Autostrade e per la Vigilanza sulle Infrastrutture stradali che dovrebbe applicare la legge 35/2011 di recezione della direttiva europea sulla sicurezza delle infrastrutture stradali. Direttiva che addetti al lavori dicono a L43 praticamente inapplicata in Italia. Anche al verificarsi di incidenti, raramente si eseguono ispezioni per esaminarne le concause, basandosi solo sui rapporti di polizia e scaricando l'intera responsabilità sui conducenti.

I soccorsi dei Vigili del fuoco.

È noto da anni poi, tra i tecnici del ministero e gli ispettori di tutti i livelli di controllo (Stato, Regioni, Province, Comuni e Prefetture), anche lo stato critico di migliaia tra ponti e cavalcavia: in una relazione del 2014, l'ex direttore generale della Vigilanza e della Sicurezza del ministero delle Infrastrutture Pasquale Cialdini ricordava la necessità di una «vigilanza permanente», visto e considerato lo sviluppo di «tecniche di manutenzione molto evolute», per «scongiurare eventi drammatici e vere e proprie catastrofi». Ne discende, aggiungeva, «che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, di società private sono direttamente responsabili».

AD AGRIGENTO IL PONTE CHIUSO DAI GIUDICI E NON DALL'ANAS

I protocolli esistono e sono chiarissimi: un controllo annuale generale e completo, nel mezzo ispezioni trimestrali e anche un'ispezione quotidiana degli addetti alla manutenzione, che nei ponti ad alto rischio come il Morandi non dovrebbe mai mancare. Quello che manca agli enti pubblici – ma non ad Autostrade per l'Italia – è il denaro per svolgere correttamente la propria funzione. Negli anni dell'incarico tra il 2009 e il 2011 Cialdini individuò oltre 5 mila ponti malmessi e constatò «l'assoluta scarsezza di risorse necessarie». Quasi 10 anni dopo, in occasione della tragedia a Genova, l'ispettore di una società incaricata dei sopralluoghi ha rivelato che circa 60 mila ponti sarebbero sotto monitoraggio.

 
L'Anas ha aumentato i fondi per la manutenzione ma, come in Germania, il deterioramento procede a passo più veloce delle riparazioni. Gran parte delle infrastrutture italiane è degli Anni 50 e 60 e la gran parte degli ingegneri concorda che, con il cemento armato arrivato a fine vita, sia a rischio: nel nostro Paese, infatti, cedono una ventina di ponti l'anno. Comuni e Province sono paralizzati dalla penuria di soldi e rimandano i lavori, non di rado senza chiudere i viadotti, come è successo ad Agrigento. Nel 2017 fu la procura locale e non l'Anas a chiudere sulla statale 115 un altro ponte Morandi, dopo aver aperto un'inchiesta su segnalazione di un'associazione di cittadini. La struttura era infatti in evidente degrado. Ecco perché, con altri 10 mila ponti a rischio, l'Italia non può ancora dirsi sicura.
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