domenica 1 aprile 2018

2001 ODISSEA NELLO SPAZIO 50 ANNI PORTATI BENE 1°


2001 ODISSEA NELLO SPAZIO 50 ANNI PORTATI BENE

"Che succede Hal?". Compie 50 anni l'Odissea di Kubrick che portò il '68 al cinema e anticipò i dilemmi morali di oggi
La fantascienza diventa testo allegorico ed esoterico in cui cercare di decifrare non solo il futuro, ma anche il mistero della vita, della nostra vita
Aol
"Va verso la tenda, guarda dietro di essa e scopre una porta aperta dove prima c' era una solida parete. Fissa gli occhi spalancati in ciò che appare uno spazio infinito, un mondo senza orizzonti. Come il caos prima della creazione: vuoto e senza forma": firmato Stanley Kubrick ed Arthur C. Clarke. Sono le battute finali di un copione di 2001: Odissea nello spazio, trovato per caso in un negozio di manoscritti e libri usati di San Francisco circa venti anni fa, in cui si trova una versione del finale del film differente da quello che Kubrick ha girato e montato nel suo celebre capolavoro destinato a consolidarlo definitivamente, alla fine degli anni sessanta, come uno dei più grandi registi di tutti i tempi. Oggi, che ricorrono i 50 anni dalla sua uscita nei cinema (la prima fu a Washington il 2 aprile del 1968), e che Cannes dedicherà al film una proiezione speciale, introdotta da Christopher Nolan, con una stampa tutta nuova, restaurata con la tradizionale tecnologia fotochimica, della copia a 70mm, vale la pena rievocare il cammino che quelle immagini hanno fatto fino a noi: sfidando radicalmente l'idea che avevamo dei film di fantascienza – ma anche, forse, quelle di civiltà, di cinema, di visione.
Le riprese del film cominciarono il 29 dicembre del 1965, più di un anno dopo il 17 maggio del 1964, giorno nel quale Kubrick e Clarke stipularono un accordo per scrivere insieme una sceneggiatura il cui titolo provvisorio era How the Solar System was Won.
Era sera e dalla terrazza dell' appartamento di Kubrick di New York i due videro un oggetto luminoso sfrecciare nel cielo. Risultò essere un pallone metallizzato utilizzato per rilevazioni nell'atmosfera, ma i due lo presero come il migliore auspicio possibile. Forse le intelligenze extraterrestri che guidavano l' umanità nel film stavano guidando anche loro.
Alla fine del 1964, Clarke e Kubrick terminarono un riassunto di più di cento pagine che nel nome dei capitoli conteneva gia l' articolazione del film (da "L' alba dell' uomo" fino a "Giove e oltre l' infinito"). In realtà lo script conteneva poco di quanto poi era destinato a diventare così straordinariamente interessante, così incredibilmente popolare, e la produzione si lamentava del fatto che non avesse un copione che le consentisse di definire i preventivi, il piano di lavorazione, le scenografie da costruire.
Il problema era che Kubrick non era per niente soddisfatto delle varie versioni in sceneggiatura delle celebri sequenze finali dell' ultimo capitolo ("Giove e oltre l' infinito") tanto che Clarke ne elaborò diverse varianti (e in effetti l' idea che è contenuta in questo finale "ritrovato" - una porta che si apre sull' infinito - era qualcosa cui il regista teneva in modo particolare visto che è proprio ciò che richiese esplicitamente al creatore degli effetti speciali Douglas Trumbull: "l' effetto della porta nello spazio, una sensazione di precipizio giù per un corridoio di larghezza infinita" si legge in John Baxter, Stanley Kubrick. La biografia) e che diventerà, invece il viaggio a perdifiato in un tunnel dove scorrono a velocita pazzesca disegni, quadri di pop art, diagrammi di cablaggio, schermi di computer.
Questo è il primo incontestabile segnale della grandezza cinematografica di Stanley K.: aver metabolizzato in un kolossal di fantascienza il cinema underground. Quella sequenza finale, che qualsiasi spettatore ricorda, fa tesoro di tutta la sperimentazione del New America Cinema del decennio precedente. Lo spettatore non lo sa, ma si porta negli occhi, a casa, un concentrato inaudito di arte d'avanguardia, un assordante cocktail pop – insieme a domande fondamentali come: siamo forse servitori passivi di civiltà sconosciute e remote che hanno portato la vita su questo pianeta per poi guidarci con dei monoliti come Hansel e Gretel con i sassolini nella foresta dell'infinità del tempo e dell'universo? Si può usare la musica di Richard Strauss per commentare la vita e le meraviglie tecnologiche che danzano nello spazio? Le macchine diventeranno così intelligenti da guidarci e controllarci come fa il più celebre computer della storia del cinema (Hal 9000. Che avrebbe potuto figurare tra le nomination all'interpretazione del film)? Ed è davvero cambiato qualcosa, nelle dinamiche del potere, nel controllo del territorio, nella manipolazione delle coscienze, tra l'era della scimmia e quella delle astronavi?
La fantascienza, che una volta era un posto semplice e fiabesco, avventuroso e meraviglioso - Lucas provvederà a riportarla ad uno stadio infantile con la meravigliosa regressione di Guerre Stellari, meno di dieci anni dopo - diventerà con il film di Kubrick un testo allegorico ed esoterico in cui cercare di decifrare non solo il futuro ma anche il mistero della vita, della nostra vita: quel monolite è un simbolo di Dio? Quel viaggio finale è una metafora dell'esplorazione dell'inconscio? E a quale società e civiltà appartiene quel feto che annuncia una rinascita ma soprattutto la morte di un mondo spossato e millenario impersonato dall'astronauta decrepito e muto?
Kubrick riscrisse l'intero finale solo con il cinema pescando come un profeta in una visione che gareggia con il potere di una creazione visiva all'altezza di Bosch, Dante o Dalì. Immagini mai viste, perturbanti, arcane, maestose.
Nel finale originario di quello script c'è uno zapping interplanetario che forse, in un film del genere, avrebbe anticipato il dibattito sulla televisione e la sua dittatura mediatica di qualche decennio (ad un certo punto l' astronauta si trova in una stanza d'albergo di fronte ad un televisore che cambia canali velocemente offrendo anche esempi di trasmissioni non umane), c'e una passeggiata su un pianeta il cui paesaggio è completamente disegnato dalla tecnologia come fa l' urbanistica con le città, ci sono distese interminabili di erba color porpora. Insomma, queste pagine non hanno avuto la fortuna di diventare immagini del cinema di Kubrick – ma quelle che lui scelse hanno continuato ad essere consultate, dibattute e interpretate, nelle case, nei cineforum, nella saggistica, per anni. Kubrick fa con noi spettatori ciò che gli extraterrestri nel film fanno con gli uomini. Ci sprona all'avventura del mistero dell'universo. Le scenografie settecentesche, il dialogo muto tra il moribondo e il monolite, gli occhi del feto che scrutano il pianeta azzurro. Sono immagini che contengono un messaggio sconosciuto, una interpellazione che nessuno sguardo poteva tralasciare. Come enigmi sapienziali destinati ad intelligenze superiori, come segnali ermetici dalla cui decifrazione dipendeva il nostro destino: se qualcuno ne conoscesse davvero il senso, forse saremmo ancora in tempo per salvarci.
2001 Odissea nello spazio, la potenza dirompente di "un'atomica buona" sul '68
Teresa Marchesi Giornalista e regista
Reuters Photographer / Reuters
UNDATED FILE PHOTOGRAPH - Famed film director Stanley Kubrick is shown on the set of his film "A Clockwork Orange" in this undated file photograph. Kubrick died at his home in London March 7. (BW ONLY) fsp/HO-Photo Courtesy Warner Bros. FSP/JP
Era il 1968, con gli studenti in piazza a sognare di cambiare il mondo. Non sapevamo che un anno dopo l'uomo avrebbe messo piede sulla Luna. Solo 14 anni dopo il genio incrociato di Philip K.Dick e Ridley Scott avrebbe prodotto la fantascienza filosofica di "Blade Runner". La tecnologia applicata agli effetti speciali era alla preistoria. Gli amici li chiamavi da casa col telefono fisso, Internet e i social non erano nemmeno una fantasia. In quel mondo, l'impatto sul nostro immaginario di "2001: Odissea nello spazio" ha avuto la potenza dirompente di un'atomica 'buona'.
Appartengo a quella bizzarra generazione che ha fatto l'alba (più di una volta!) per decodificare quel film. Ognuno aveva la sua lettura, di solito mirabolante, convincente mai. Mi ( ci ) mancava l'illuminante battuta sfuggita ad Arthur C. Clarke, che aveva elaborato con Kubrick la sceneggiatura partendo da tre suoi racconti datati ( "La sentinella", 1948, "Encounter in the Dawn", 1950, e "Guardian Angel", 1950 ) : "Se qualcuno avrà capito il film alla prima visione, avremo fallito nel nostro scopo". Virate in positivo, così suonavano le 'istruzioni per l'uso' di Stanley Kubrick : "Siete liberi di speculare a vostro piacere sul significato filosofico e allegorico del film..". Nessuna mappa per orientarsi.
Era un doppio salto mortale : non solo una forma sperimentale e visionaria di cinema, ma un cinema virtualmente interattivo. "2001, Odissea nello spazio"era, programmaticamente, un'esperienza visiva che puntava direttamente all'inconscio, "aggirando il gradino della comprensione, dell'intelletto e delle sue costruzioni verbali" (Kubrick). Imponeva a te, spettatore, una partecipazione attiva e diretta. Per chi, allora e dopo, a torto o a ragione, non ha avuto voglia di perderci tempo, resta e resterà sempre un Ufo, un oggetto non identificato.
Il primo errore da evitare è ridurlo a una meditazione sul rapporto uomo-tecnologia. Il mélo edipico che si sviluppa intorno al computer di bordo dell'astronave "Discovery" (il nome, Hal 9000, è anche-non solo- un gioco sulle lettere dell'alfabeto che precedono la sigla IBM ), e alla sua 'umana' e filiale rivolta contro i padri-padroni, è appena un tassello del mosaico. Kubrick ha segnato indelebilmente un'epoca che aspirava alla verità e alla speranza costruendo un'opera di teleologia laica. Teleologia, non teologia: è una esplorazione delle finalità.
Basta fare attenzione ai tre capitoli che scandiscono questo film eccezionalmente afasico ( 40 minuti scarsi di dialogo su 141 ), e ai tre monoliti neri che compaiono simbolicamente – a distanza – per indicare la strada, la direzione di ricerca. Se avesse realizzato il suo progetto più ambizioso , "A.I." (progetto poi riciclato a suo modo da Spielberg ), Kubrick ci avrebbe fornito la chiave definitiva per decifrare la sua" Odyssey". Ma è chiaro che credeva nell'esistenza di entità più evolute di vita, in qualche zona della Galassia, capaci di orientare lo spirito di civiltà arcaiche come quella terrestre. L'embrione umano in finale incarna una possibilità di rigenerazione per noi esseri umani che in quel '68 suonò profetica.
Non sarebbe efficace il messaggio, però, senza la diagnosi impietosa che apre il film. La molla della civiltà, per gli uomini- scimmia del primo capitolo, è la scoperta che un osso impugnato è più potente della nuda mano. E' la prima scintilla dell'intelligenza, ma anche dell'aggressività e della violenza, inseparabili – almeno finora - dallo sviluppo umano. Almeno finora, ma indubbiamente finora, a giudizio del regista, che trascina il titoletto "L'alba della civiltà"a comprendere il presente e il futuro prossimo, fino al 2001 del viaggio su Giove. Il nostro tempo appartiene ancora a quell'alba.
Con una semplice immagine vertiginosa, l'osso lanciato nel cielo che si fa nave spaziale, Stanley Kubrick ci ha già spiegato che l'evoluzione ha perfezionato lo strumento, non l'uomo. Ora, se qualcuno nutre dubbi sulla validità di un culto cinefilo a mezzo secolo di distanza, dovrebbe provare a comunicare un'idea del genere attraverso una 'esperienza non verbale' (cosi K. definiva il suo film, paragonandolo all'emozione musicale).
Poi si può almanaccare sulla cultura viennese di cui il Nostro è impregnato (nato nel Bronx ma da ebrei austriaci) , sulla fascinazione del subconscio figlia di Freud, sui non meno viennesi Johann Strauss e Richard Strauss di "Così parlò Zarathustra"e del "Bel Danubio blu", ma è il Mistero offerto da Kubrick il monolite nero, il parallelepipedo magico al quale la generazione del '68 si è aggrappata. Si è aggrappata a un oggetto enigmatico che rifiutava di impartirti lezioni – in controtendenza sull'epoca, ma i tempi non sono poi tanto cambiati - per impegnarti a scavare di testa tua, per invogliarti a capire senza la bussola rassicurante della parola.
I modellini spaziali di " 2001: Odissea nello spazio" e i suoi 'astronomici ' 10 milioni di dollari oggi forse possono risultare risibili, ma vale ancora la pena di fare mattina a rimpallarsi interpretazioni più o meno sensate. Sapendo che riuscirai a conquistare, alla fine di questa sorta di viaggio iniziatico, solo un pugno di domande. Ma sono le domande, non le risposte, che ti aiutano a crescere.


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