2001 ODISSEA NELLO SPAZIO 50 ANNI PORTATI BENE
"Che succede Hal?". Compie 50 anni
l'Odissea di Kubrick che portò il '68 al cinema e anticipò i dilemmi morali di
oggi
La fantascienza diventa testo allegorico ed
esoterico in cui cercare di decifrare non solo il futuro, ma anche il mistero
della vita, della nostra vita
Aol
"Va verso la tenda, guarda dietro di essa e scopre una
porta aperta dove prima c' era una solida parete. Fissa gli occhi spalancati in
ciò che appare uno spazio infinito, un mondo senza orizzonti. Come il caos
prima della creazione: vuoto e senza forma": firmato Stanley Kubrick ed
Arthur C. Clarke. Sono le battute finali di un copione di 2001: Odissea nello spazio,
trovato per caso in un negozio di manoscritti e libri usati di San Francisco
circa venti anni fa, in cui si trova una versione del finale del film
differente da quello che Kubrick ha girato e montato nel suo celebre capolavoro
destinato a consolidarlo definitivamente, alla fine degli anni sessanta, come
uno dei più grandi registi di tutti i tempi. Oggi, che ricorrono i 50 anni
dalla sua uscita nei cinema (la prima fu a Washington il 2 aprile del 1968), e
che Cannes dedicherà al film una proiezione speciale, introdotta da Christopher
Nolan, con una stampa tutta nuova, restaurata con la tradizionale tecnologia
fotochimica, della copia a 70mm, vale la pena rievocare il cammino che quelle
immagini hanno fatto fino a noi: sfidando radicalmente l'idea che avevamo dei
film di fantascienza – ma anche, forse, quelle di civiltà, di cinema, di
visione.
Le riprese del film cominciarono il 29 dicembre del 1965, più
di un anno dopo il 17 maggio del 1964, giorno nel quale Kubrick e Clarke
stipularono un accordo per scrivere insieme una sceneggiatura il cui titolo
provvisorio era How the Solar System was Won.
Era sera e dalla terrazza dell' appartamento di Kubrick di New
York i due videro un oggetto luminoso sfrecciare nel cielo. Risultò essere un
pallone metallizzato utilizzato per rilevazioni nell'atmosfera, ma i due lo
presero come il migliore auspicio possibile. Forse le intelligenze
extraterrestri che guidavano l' umanità nel film stavano guidando anche loro.
Alla fine del 1964, Clarke e Kubrick terminarono un riassunto
di più di cento pagine che nel nome dei capitoli conteneva gia l' articolazione
del film (da "L' alba dell' uomo" fino a "Giove e oltre l'
infinito"). In realtà lo script conteneva poco di quanto poi era destinato
a diventare così straordinariamente interessante, così incredibilmente
popolare, e la produzione si lamentava del fatto che non avesse un copione che
le consentisse di definire i preventivi, il piano di lavorazione, le
scenografie da costruire.
Il problema era che Kubrick non era per niente soddisfatto
delle varie versioni in sceneggiatura delle celebri sequenze finali dell'
ultimo capitolo ("Giove e oltre l' infinito") tanto che Clarke ne
elaborò diverse varianti (e in effetti l' idea che è contenuta in questo finale
"ritrovato" - una porta che si apre sull' infinito - era qualcosa cui
il regista teneva in modo particolare visto che è proprio ciò che richiese
esplicitamente al creatore degli effetti speciali Douglas Trumbull: "l'
effetto della porta nello spazio, una sensazione di precipizio giù per un
corridoio di larghezza infinita" si legge in John Baxter, Stanley Kubrick.
La biografia) e che diventerà, invece il viaggio a perdifiato in un tunnel dove
scorrono a velocita pazzesca disegni, quadri di pop art, diagrammi di
cablaggio, schermi di computer.
Questo è il primo incontestabile segnale della grandezza
cinematografica di Stanley K.: aver metabolizzato in un kolossal di
fantascienza il cinema underground. Quella sequenza finale, che qualsiasi
spettatore ricorda, fa tesoro di tutta la sperimentazione del New America
Cinema del decennio precedente. Lo spettatore non lo sa, ma si porta negli
occhi, a casa, un concentrato inaudito di arte d'avanguardia, un assordante
cocktail pop – insieme a domande fondamentali come: siamo forse servitori passivi
di civiltà sconosciute e remote che hanno portato la vita su questo pianeta per
poi guidarci con dei monoliti come Hansel e Gretel con i sassolini nella
foresta dell'infinità del tempo e dell'universo? Si può usare la musica di
Richard Strauss per commentare la vita e le meraviglie tecnologiche che danzano
nello spazio? Le macchine diventeranno così intelligenti da guidarci e
controllarci come fa il più celebre computer della storia del cinema (Hal 9000.
Che avrebbe potuto figurare tra le nomination all'interpretazione del film)? Ed
è davvero cambiato qualcosa, nelle dinamiche del potere, nel controllo del
territorio, nella manipolazione delle coscienze, tra l'era della scimmia e
quella delle astronavi?
La fantascienza, che una volta era un posto semplice e
fiabesco, avventuroso e meraviglioso - Lucas provvederà a riportarla ad uno
stadio infantile con la meravigliosa regressione di Guerre Stellari, meno di
dieci anni dopo - diventerà con il film di Kubrick un testo allegorico ed
esoterico in cui cercare di decifrare non solo il futuro ma anche il mistero
della vita, della nostra vita: quel monolite è un simbolo di Dio? Quel viaggio
finale è una metafora dell'esplorazione dell'inconscio? E a quale società e
civiltà appartiene quel feto che annuncia una rinascita ma soprattutto la morte
di un mondo spossato e millenario impersonato dall'astronauta decrepito e muto?
Kubrick riscrisse l'intero finale solo con il cinema pescando
come un profeta in una visione che gareggia con il potere di una creazione
visiva all'altezza di Bosch, Dante o Dalì. Immagini mai viste, perturbanti,
arcane, maestose.
Nel finale originario di quello script c'è uno zapping
interplanetario che forse, in un film del genere, avrebbe anticipato il
dibattito sulla televisione e la sua dittatura mediatica di qualche decennio
(ad un certo punto l' astronauta si trova in una stanza d'albergo di fronte ad
un televisore che cambia canali velocemente offrendo anche esempi di
trasmissioni non umane), c'e una passeggiata su un pianeta il cui paesaggio è
completamente disegnato dalla tecnologia come fa l' urbanistica con le città,
ci sono distese interminabili di erba color porpora. Insomma, queste pagine non
hanno avuto la fortuna di diventare immagini del cinema di Kubrick – ma quelle
che lui scelse hanno continuato ad essere consultate, dibattute e interpretate,
nelle case, nei cineforum, nella saggistica, per anni. Kubrick fa con noi
spettatori ciò che gli extraterrestri nel film fanno con gli uomini. Ci sprona
all'avventura del mistero dell'universo. Le scenografie settecentesche, il
dialogo muto tra il moribondo e il monolite, gli occhi del feto che scrutano il
pianeta azzurro. Sono immagini che contengono un messaggio sconosciuto, una
interpellazione che nessuno sguardo poteva tralasciare. Come enigmi sapienziali
destinati ad intelligenze superiori, come segnali ermetici dalla cui
decifrazione dipendeva il nostro destino: se qualcuno ne conoscesse davvero il
senso, forse saremmo ancora in tempo per salvarci.
2001 Odissea nello spazio, la potenza dirompente
di "un'atomica buona" sul '68
Teresa
Marchesi Giornalista e regista
Reuters Photographer /
Reuters
UNDATED FILE PHOTOGRAPH -
Famed film director Stanley Kubrick is shown on the set of his film "A
Clockwork Orange" in this undated file photograph. Kubrick died at his
home in London March 7. (BW ONLY) fsp/HO-Photo Courtesy Warner Bros. FSP/JP
Era il 1968, con gli studenti in piazza a
sognare di cambiare il mondo. Non sapevamo che un anno dopo l'uomo avrebbe
messo piede sulla Luna. Solo 14 anni dopo il genio incrociato di Philip K.Dick
e Ridley Scott avrebbe prodotto la fantascienza filosofica di "Blade
Runner". La tecnologia applicata agli effetti speciali era alla
preistoria. Gli amici li chiamavi da casa col telefono fisso, Internet e i
social non erano nemmeno una fantasia. In quel mondo, l'impatto sul nostro
immaginario di "2001: Odissea nello spazio" ha avuto la potenza
dirompente di un'atomica 'buona'.
Appartengo a quella bizzarra generazione che ha fatto l'alba
(più di una volta!) per decodificare quel film. Ognuno aveva la sua lettura, di
solito mirabolante, convincente mai. Mi ( ci ) mancava l'illuminante battuta
sfuggita ad Arthur C. Clarke, che aveva elaborato con Kubrick la sceneggiatura
partendo da tre suoi racconti datati ( "La sentinella", 1948,
"Encounter in the Dawn", 1950, e "Guardian Angel", 1950 ) :
"Se qualcuno avrà capito il film alla prima visione, avremo fallito nel
nostro scopo". Virate in positivo, così suonavano le 'istruzioni per
l'uso' di Stanley Kubrick : "Siete liberi di speculare a vostro piacere
sul significato filosofico e allegorico del film..". Nessuna mappa per
orientarsi.
Era un doppio salto mortale : non solo una forma sperimentale
e visionaria di cinema, ma un cinema virtualmente interattivo. "2001,
Odissea nello spazio"era, programmaticamente, un'esperienza visiva che
puntava direttamente all'inconscio, "aggirando il gradino della
comprensione, dell'intelletto e delle sue costruzioni verbali" (Kubrick).
Imponeva a te, spettatore, una partecipazione attiva e diretta. Per chi, allora
e dopo, a torto o a ragione, non ha avuto voglia di perderci tempo, resta e
resterà sempre un Ufo, un oggetto non identificato.
Il primo errore da evitare è ridurlo a una meditazione sul
rapporto uomo-tecnologia. Il mélo edipico che si sviluppa intorno al computer
di bordo dell'astronave "Discovery" (il nome, Hal 9000, è anche-non
solo- un gioco sulle lettere dell'alfabeto che precedono la sigla IBM ), e alla
sua 'umana' e filiale rivolta contro i padri-padroni, è appena un tassello del
mosaico. Kubrick ha segnato indelebilmente un'epoca che aspirava alla verità e
alla speranza costruendo un'opera di teleologia laica. Teleologia, non
teologia: è una esplorazione delle finalità.
Basta fare attenzione ai tre capitoli che scandiscono questo
film eccezionalmente afasico ( 40 minuti scarsi di dialogo su 141 ), e ai tre
monoliti neri che compaiono simbolicamente – a distanza – per indicare la
strada, la direzione di ricerca. Se avesse realizzato il suo progetto più
ambizioso , "A.I." (progetto poi riciclato a suo modo da Spielberg ),
Kubrick ci avrebbe fornito la chiave definitiva per decifrare la sua"
Odyssey". Ma è chiaro che credeva nell'esistenza di entità più evolute di
vita, in qualche zona della Galassia, capaci di orientare lo spirito di civiltà
arcaiche come quella terrestre. L'embrione umano in finale incarna una
possibilità di rigenerazione per noi esseri umani che in quel '68 suonò
profetica.
Non sarebbe efficace il messaggio, però, senza la diagnosi
impietosa che apre il film. La molla della civiltà, per gli uomini- scimmia del
primo capitolo, è la scoperta che un osso impugnato è più potente della nuda
mano. E' la prima scintilla dell'intelligenza, ma anche dell'aggressività e
della violenza, inseparabili – almeno finora - dallo sviluppo umano. Almeno
finora, ma indubbiamente finora, a giudizio del regista, che trascina il
titoletto "L'alba della civiltà"a comprendere il presente e il futuro
prossimo, fino al 2001 del viaggio su Giove. Il nostro tempo appartiene ancora
a quell'alba.
Con una semplice immagine vertiginosa, l'osso lanciato nel
cielo che si fa nave spaziale, Stanley Kubrick ci ha già spiegato che
l'evoluzione ha perfezionato lo strumento, non l'uomo. Ora, se qualcuno nutre
dubbi sulla validità di un culto cinefilo a mezzo secolo di distanza, dovrebbe
provare a comunicare un'idea del genere attraverso una 'esperienza non verbale'
(cosi K. definiva il suo film, paragonandolo all'emozione musicale).
Poi si può almanaccare sulla cultura viennese di cui il Nostro
è impregnato (nato nel Bronx ma da ebrei austriaci) , sulla fascinazione del
subconscio figlia di Freud, sui non meno viennesi Johann Strauss e Richard
Strauss di "Così parlò Zarathustra"e del "Bel Danubio blu",
ma è il Mistero offerto da Kubrick il monolite nero, il parallelepipedo magico
al quale la generazione del '68 si è aggrappata. Si è aggrappata a un oggetto
enigmatico che rifiutava di impartirti lezioni – in controtendenza sull'epoca,
ma i tempi non sono poi tanto cambiati - per impegnarti a scavare di testa tua,
per invogliarti a capire senza la bussola rassicurante della parola.
I modellini spaziali di " 2001: Odissea nello
spazio" e i suoi 'astronomici ' 10 milioni di dollari oggi forse possono
risultare risibili, ma vale ancora la pena di fare mattina a rimpallarsi
interpretazioni più o meno sensate. Sapendo che riuscirai a conquistare, alla
fine di questa sorta di viaggio iniziatico, solo un pugno di domande. Ma sono
le domande, non le risposte, che ti aiutano a crescere.
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