sabato 12 gennaio 2013

Mariangela Melato


http://www.ilmessaggero.it/spettacoli/cinema/melato_arbore_amore_litigio_foto_video/notizie/243617.shtml

Addio alla Melato, il ricordo di Arbore: l’irresistibile ascesa della figlia del ghisa


ROMA - Il dolore è una brutta bestia. Può spegnere il sorriso, e 

per uno come Renzo Arbore è come smettere di respirare, ti può far macerare in silenzio, ti può far venire voglia, all’improvviso, di parlare proprio di quello che ti fa più male. «Voglio far sapere alla gente chi era Mariangela, non solo l'attrice e il personaggio pubblico, ma la donna, perché è stata la persona più fantastica che abbia mai incontrato. E la più nobile, una nobiltà d'animo che era una fortissima risposta alla cialtroneria che ci circonda». La voce è rotta, il pianto spezza le parole ma Renzo va avanti: «In quarantuno anni di sentimenti che ci hanno unito non l’ho mai sentita alzare la voce. Non abbiamo mai litigato. L’ottanta per cento del nostro rapporto è stato fatto di sorrisi. Perfino nel periodo più brutto della malattia. Io avevo il compito di farla sorridere e lei rispondeva sempre a tono, pronta a replicare alla battuta».

Ci racconta la sua storia?
«Non è raccontabile la storia di questa ragazza del bar Giamaica, il bar di Brera dove fece i suoi primi incontri artistici. Era figlia di un ghisa, un vigile urbano milanese, ma si è sempre coltivata fino a diventare una grande intellettuale. Ha studiato e lavorato con determinazione e passione. Ha frequentato veri maestri, passando da film spiritosi e leggeri a titoli impegnati, facendo sempre scelte dettate da un solo codice: fare cose belle capaci di arricchire il pubblico. Nessun ossequio alle esigenze del mercato. Non l'ho mai sentita parlare di soldi, ma solo di lavoro fatto bene. Il successo non l'ha mai condizionata, neppure quanto è stato fortissimo come quando andavamo in America e, appena arrivava lei, si aprivano le porte dei teatri per l’attrice di Film d'amore d'anarchia e di Travolti da un insolito destino».

L'ultima sua prova di teatro è stata Il dolore di Margherite Duras, due anni fa.
«Lei aveva già questa orribile malattia, eppure stava da sola in scena per un'ora e mezza e poi per un'altra ora e mezza riceveva il pubblico che voleva salutarla in camerino. Ricordo che la sera andavo a prenderla e mi presentavo sempre molto dopo la fine del monologo».

Non ha voluto mollare fino a che ha potuto.
«Ha avuto bravissimi medici come il dottor Astori e il dottor Pedersoli di Verona, ma non ho mai visto un coraggio come il suo, anche nell’ultimo periodo. Ha continuato a pensare al lavoro. Aveva preso l'impegno di fare Il giardino dei ciliegi con Gabriele Lavia e studiava il testo a memoria. Ha sperato a lungo di poterlo fare, finché non me ne ha più parlato. E non ci siamo più detti nulla».

Siete stati uniti tanto, eppure sembravate così lontani: da una parte lo showman, dall’altra l’attrice impegnata.
«Era una donna semplice, ridanciana, spiritosa, ricca di musicalità e piena di swing. La sua grazia da fuoriclasse era speciale e si manifestava a teatro, al cinema, in televisione. Quando recitava e quando ballava, ed era una ballerina straordinaria. La ricordo a Canzonissima quando entrò in scena chiusa dentro una valigia portata da Pippo Baudo, poi ne uscì e si mise a ballare uno scatenato rhythm'n'blues. Era deliziosa anche quando cantava come fece nel mio programma Meno siamo meglio stiamo o nel film di Pupi Avati Aiutami a sognare, dove cantava delle canzoni di Fats Waller».

Dei suoi show televisivi che diceva?
«Mi ha sempre aiutato moltissimo. Ho assorbito molto da lei. Mi ha regalato la maturità. Io ero un ragazzo di provincia allegro e volenteroso. Mi ha fatto incontrare grandi personaggi del cinema e della cultura. Ai tempi dell’Altra domenica guardava sempre le registrazioni con me, segnalando quello che non dovevo dire. Senza di lei non avrei avuto i risultati che ho raggiunto».

Sabato 12 Gennaio 2013 - 09:41

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