lunedì 28 gennaio 2013
incontri al Mirage
Incontri al Mirage: Annalisa Fracasso e Francesco Danieletto
Inserito il: 26/01/2013
presentano "bucce d'acino" e "le ragioni della follia"
domenica 27 gennaio 2013
Mai dimenticherò
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. (Elie Wiesel)
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. (Elie Wiesel)
Chi ama chi!
Capisci?
Il problema non è eterosessuale o omosessuale, il problema sei tu.
Tu che dividi ancora l'umanità in “chi ama chi”!
(Davide Capelli - dal libro "R-Evolution" Emv Edizioni)
Il problema non è eterosessuale o omosessuale, il problema sei tu.
Tu che dividi ancora l'umanità in “chi ama chi”!
(Davide Capelli - dal libro "R-Evolution" Emv Edizioni)
Non è vero...
Non è vero. I cancelli di Auschwitz non sono stati mai abbattuti: guardate, guardateci dentro. Guardateli, aggrappati al filo spinato, che ci guardano: i palestinesi, i bambini di Beslan, i ruandesi, gli armeni, i cinesi, i cambogiani, gli ucraini, i bosniaci, i curdi, i kosovari. Dietro di loro, file e file di nativi americani, di africani di ogni regione. E poi siciliani e calabresi, pugliesi e campani ancora in fondo alle stive dei piroscafi. E altri ancora, incoronati d'alghe, muti, annegati nella pancia del Mediterraneo, caduti dai barconi, ieri o l'altroieri notte.
TG24Siria
*** NOI NON CELEBRIAMO LA "GIORNATA DELLA MEMORIA"
*** CI SI CHIEDE DI RICORDARCI DI "IERI"
*** MA DI CHIUDERE GLI OCCHI SUL PRESENTE
*** SULLA MATTANZA DI ARABI DI SIRIA E PALESTINA
#
Si chiede "memoria" per alcuni, negandola ad altri.
Qualcosa non quadra, non tornano i conti. Noi gli occhi non li chiudiamo, noi non dimenticheremo: ABBIAMO BUONA MEMORIA.
TG24Siria e tutto il Network di SyrianFreePress.net non partecipano alle commemorazioni su questa "memoria" a senso unico. È nel nostro diritto farlo.
A meno che il rabbinato internazionale che sostiene l'Entità Sionista non riconosca l'olocausto compiuto da oltre 60 anni a questa parte ai danni della popolazione araba di Palestina, cristiana e musulmana, che ha avuto come culmine diversi massacri di Gaza e che continua, quotidianamente, in tutta la Palestina occupata, in un lento, inarrestabile stillicidio.
Non si puo celebrare solo e sempre "una" memoria.
O si è sensibili a tutte le disgrazie umane, o ci si considera l'unica rappresentanza umana per cui doversi dispiacere, mentre tutti gli altri sono solo "animali parlanti", poco più che bestie, come celebra il Talmud, e quindi indegni.
Senza voler ferire la suscettibilità altrui per le sofferenze patite, ma o si celebrano le memorie delle sofferenze di tutti gli esseri umani, a partire da quelle più recenti e fresche di Gaza, oppure non intendiamo renderci complici di quella che è solo una campagna di propaganda, per ingrassare quella che anche l'ebreo Norman Finkelstein definisce "la fabbrica dell'olocausto".
Non si può avere la memoria così corta da non vedere quel che succede sotto i nostri occhi adesso, pretendendo di imporci il monopolio di un'unica memoria.
Memoria sulla quale oltretutto non è concesso investigare sulle dinamiche, nè è permessa a storici di professione la ricerca.
Memoria che viene imposta a senso unico e incontestabile. Strana memoria.
La comunità israelita, che sostiene ed è complice, apertamente o con il suo silenzioso assenso, dello Stato ebraico-sionista e ne approva l'operato genocida nei confronti della popolazione araba di Terra Santa, non può chiederci di chiudere gli occhi sui crimini compiuti dai suoi leader e nello stesso tempo volerci solidali con le proprie passate traversie: traversie grazie alle quali l'entità coloniale insediatasi in Palestina si ingrassa sempre più, giustificando e coprendo così ogni suo crimine.
Questa ostinata insensibilità verso i fratelli arabi di Terra Santa, espropriati e massacrati da decenni nella propria terra, non gioca a favore dei così definiti impropriamente "fratelli maggiori", ma anzi accresce nel mondo l'ostilità nei loro confronti.
Il loro motto preferito è "occhio per occhio, dente per dente": non si aspettino comportamento diverso nei loro confronti da chi non ha ancora svenduto all'ammasso la propria lucidità.
Se il rabbianto internazionale non riconoscerà le sofferenze ed i crimini commessi oggi ai danni della Palestina e del suo popolo, noi e tutti gli uomini ancora intellettualmente liberi non potremo onestamente riconoscere la loro memoria.
POCHI SANNO CHE IL 14 MAGGIO, GIORNO IN CUI IN PALESTINA SI CELEBRA LA NAKBA, LA CATASTROFE (significato simile a quello della shoà), QUANDO LA POPOLAZIONE ARABA FU CACCIATA DAI SUOI VILLAGGI, MASSACRATA, DEPORTATA, È UNA GIORNATA DI COMMEMORAZIONE VIETATA PER LEGGE NELLA PALESTINA OCCUPATA DALL'ENTITÀ COLONIALE SIONISTA.
In quel giorno le frontiere ed i check-point vengono chiusi (è capitato anche a noi di ritrovarci blindati a Jenin pochi anni fa in quell'occasione, con le milizie sioniste che ci impedivano ogni movimento verso l'esterno) e sono vietate tutte le commemorazioni. E' vietato alla popolazione autoctona di Terra Santa, in quel giorno di maggio, ricordare i propri cari e le proprie sofferenze, fare visita a parenti, cimiteri, memoriali. Una giornata di lutto e di memoria vietata.
E si ha la faccia tosta di voler imporre una "giornata della memoria", mentre la si nega agli altri...
In quanto gli arabi sono sicuramente di ceppo semita, questa negazione della loro memoria, oltre al furto della loro terra, al loro lento genocidio, da oltre 60 anni a questa parte, è da ritenersi quale vero ed inconfutabile atto di ANTISEMITISMO.
"Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume...Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?" (Mt. 23, 13-36)
*
La redazione di TG24Siria
e tutto il Network di SyrianFreePress.net
*
ALTRE FOTO AI LINKS:
http://syrianfreepress.wordpress.com/2013/01/27/14157/
*
E QUI
http://www.terrasantalibera.org/fotGaza6-12-2009.htm
*
*** CI SI CHIEDE DI RICORDARCI DI "IERI"
*** MA DI CHIUDERE GLI OCCHI SUL PRESENTE
*** SULLA MATTANZA DI ARABI DI SIRIA E PALESTINA
#
Si chiede "memoria" per alcuni, negandola ad altri.
Qualcosa non quadra, non tornano i conti. Noi gli occhi non li chiudiamo, noi non dimenticheremo: ABBIAMO BUONA MEMORIA.
TG24Siria e tutto il Network di SyrianFreePress.net non partecipano alle commemorazioni su questa "memoria" a senso unico. È nel nostro diritto farlo.
A meno che il rabbinato internazionale che sostiene l'Entità Sionista non riconosca l'olocausto compiuto da oltre 60 anni a questa parte ai danni della popolazione araba di Palestina, cristiana e musulmana, che ha avuto come culmine diversi massacri di Gaza e che continua, quotidianamente, in tutta la Palestina occupata, in un lento, inarrestabile stillicidio.
Non si puo celebrare solo e sempre "una" memoria.
O si è sensibili a tutte le disgrazie umane, o ci si considera l'unica rappresentanza umana per cui doversi dispiacere, mentre tutti gli altri sono solo "animali parlanti", poco più che bestie, come celebra il Talmud, e quindi indegni.
Senza voler ferire la suscettibilità altrui per le sofferenze patite, ma o si celebrano le memorie delle sofferenze di tutti gli esseri umani, a partire da quelle più recenti e fresche di Gaza, oppure non intendiamo renderci complici di quella che è solo una campagna di propaganda, per ingrassare quella che anche l'ebreo Norman Finkelstein definisce "la fabbrica dell'olocausto".
Non si può avere la memoria così corta da non vedere quel che succede sotto i nostri occhi adesso, pretendendo di imporci il monopolio di un'unica memoria.
Memoria sulla quale oltretutto non è concesso investigare sulle dinamiche, nè è permessa a storici di professione la ricerca.
Memoria che viene imposta a senso unico e incontestabile. Strana memoria.
La comunità israelita, che sostiene ed è complice, apertamente o con il suo silenzioso assenso, dello Stato ebraico-sionista e ne approva l'operato genocida nei confronti della popolazione araba di Terra Santa, non può chiederci di chiudere gli occhi sui crimini compiuti dai suoi leader e nello stesso tempo volerci solidali con le proprie passate traversie: traversie grazie alle quali l'entità coloniale insediatasi in Palestina si ingrassa sempre più, giustificando e coprendo così ogni suo crimine.
Questa ostinata insensibilità verso i fratelli arabi di Terra Santa, espropriati e massacrati da decenni nella propria terra, non gioca a favore dei così definiti impropriamente "fratelli maggiori", ma anzi accresce nel mondo l'ostilità nei loro confronti.
Il loro motto preferito è "occhio per occhio, dente per dente": non si aspettino comportamento diverso nei loro confronti da chi non ha ancora svenduto all'ammasso la propria lucidità.
Se il rabbianto internazionale non riconoscerà le sofferenze ed i crimini commessi oggi ai danni della Palestina e del suo popolo, noi e tutti gli uomini ancora intellettualmente liberi non potremo onestamente riconoscere la loro memoria.
POCHI SANNO CHE IL 14 MAGGIO, GIORNO IN CUI IN PALESTINA SI CELEBRA LA NAKBA, LA CATASTROFE (significato simile a quello della shoà), QUANDO LA POPOLAZIONE ARABA FU CACCIATA DAI SUOI VILLAGGI, MASSACRATA, DEPORTATA, È UNA GIORNATA DI COMMEMORAZIONE VIETATA PER LEGGE NELLA PALESTINA OCCUPATA DALL'ENTITÀ COLONIALE SIONISTA.
In quel giorno le frontiere ed i check-point vengono chiusi (è capitato anche a noi di ritrovarci blindati a Jenin pochi anni fa in quell'occasione, con le milizie sioniste che ci impedivano ogni movimento verso l'esterno) e sono vietate tutte le commemorazioni. E' vietato alla popolazione autoctona di Terra Santa, in quel giorno di maggio, ricordare i propri cari e le proprie sofferenze, fare visita a parenti, cimiteri, memoriali. Una giornata di lutto e di memoria vietata.
E si ha la faccia tosta di voler imporre una "giornata della memoria", mentre la si nega agli altri...
In quanto gli arabi sono sicuramente di ceppo semita, questa negazione della loro memoria, oltre al furto della loro terra, al loro lento genocidio, da oltre 60 anni a questa parte, è da ritenersi quale vero ed inconfutabile atto di ANTISEMITISMO.
"Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume...Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?" (Mt. 23, 13-36)
*
La redazione di TG24Siria
e tutto il Network di SyrianFreePress.net
*
ALTRE FOTO AI LINKS:
http://syrianfreepress.wordpress.com/2013/01/27/14157/
*
E QUI
http://www.terrasantalibera.org/fotGaza6-12-2009.htm
*
Liberazione
Il generale Dwight D. Eisenhower quando arrivò con i propri uomini presso i campi di concentramento non ebbe il minimo dubbio.
Ordinò che fosse scattato il maggior numero di fotografie alle fosse comuni dove giacevano ossa, abiti, corpi scomposti scheletrici ammassati come piramidi casuali.
Fotografie per ogni gelida baracca che fungeva da dormitorio, fotografie al filo spinato, ai forni crematori, alle divise, ai cappellini, alle torri di controllo, alle armi, agli strumenti di tortura.
Fotografie ai sopravvissuti così vicini alla morte da poterci interloquire e restituirla a chiunque li fissasse senza dover nemmeno aprire bocca. Senza parlare, senza parole.
Eisenhower pretese che fossero condotti presso i campi di concentramento tutti gli abitanti tedeschi delle vicine città per vedere la realtà dei fatti e che, suddetti civili, fossero costretti a sotterrare i corpi dei morti.
E poi spiegò: “Che si abbia il massimo della documentazione possibile – che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze – perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo”
Perché un giorno arriverà qualche idiota che si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo: da ripetere, incorniciare e santificare questa frase. Racchiude il senso della storia.
Ordinò che fosse scattato il maggior numero di fotografie alle fosse comuni dove giacevano ossa, abiti, corpi scomposti scheletrici ammassati come piramidi casuali.
Fotografie per ogni gelida baracca che fungeva da dormitorio, fotografie al filo spinato, ai forni crematori, alle divise, ai cappellini, alle torri di controllo, alle armi, agli strumenti di tortura.
Fotografie ai sopravvissuti così vicini alla morte da poterci interloquire e restituirla a chiunque li fissasse senza dover nemmeno aprire bocca. Senza parlare, senza parole.
Eisenhower pretese che fossero condotti presso i campi di concentramento tutti gli abitanti tedeschi delle vicine città per vedere la realtà dei fatti e che, suddetti civili, fossero costretti a sotterrare i corpi dei morti.
E poi spiegò: “Che si abbia il massimo della documentazione possibile – che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze – perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo”
Perché un giorno arriverà qualche idiota che si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo: da ripetere, incorniciare e santificare questa frase. Racchiude il senso della storia.
Auschwitz
Ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest'offesa, la
demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è
rivelata: siamo arrivati in fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci
hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci
ascoltassero, non ci capirebbero.
Primo Levi
demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è
rivelata: siamo arrivati in fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci
hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci
ascoltassero, non ci capirebbero.
Primo Levi
venerdì 25 gennaio 2013
NEL GIORNO DELLA MEMORIA PER RICORDARE CIO' CHE E' STATO E MAI SARA' CANCELLATO.
Nel vento
Voli nel vento,
piccolo fiocco di neve,
ti appoggi a una
nube di cenere,
folle epilogo di chi
subisce l’altrui pazzia.
Vorresti coprire
quel filo spinato,
cadere sull’erba,
dare il tuo piccolo
contributo alla vita.
Ma il freddo che
ti nutre, è generato
da un mostro, invisibile
all’animo umano.
Ti mescoli a quella
nube grigia,
l’accompagni in silenzio,
ti disperdi con essa
In un tragico mattino
di follia.
Osservi uomini stanchi,
privati del loro essere,
camminare in silenzio
incontro al loro destino.
La loro morte,
soddisfa l’odio,
padrone assoluto
di menti malate.
checcuswriter
mercoledì 23 gennaio 2013
martedì 22 gennaio 2013
Piccola storia dal Tribunale del malato
Come al solito, dò il cambio in anticipo per la guardia di notte in Chirurgia, la quarta in otto giorni. Se non che sono uscito dalla Sala Operatoria tre ore fa: giusto il tempo di andare a casa per un panino, controllare la mail, starsene un po’a guardare le foglie secche che cadono dall’imponente albero di noci vicino casa, e tornare in Ospedale.
Negli ultimi tre anni abbiamo avuto tre pensionamenti e un trasferimento e ormai siamo rimasti in sei: nonostante tutto reggiamo il peso di tre sedute operatorie settimanali e guardia H24 più la reperibilità per le urgenze. In Regione Campania, ai tagli della spending review si sommano il piano di rientro e la cronica disorganizzazione.
Il collega smontante, nel passarmi le consegne, mi dice: “Sai chi abbiamo in appoggio in Ortopedia con una subocclusione intestinale? Amalia S., te la ricordi?”. Il nome mi suona familiare, ma non riesco inizialmente a focalizzarla. Poi mi ricordo la storia.
Trent’anni fa, da poco entrato in Ospedale, una delle ospiti ricorrenti era lei, Amalia, con una patologia stranissima che non ho mai visto descritta nei testi di Chirurgia: i due glutei erano piatti e solcati da profondi incisioni cerebriformi; periodicamente, dal fondo di una di esse, si sviluppava una fistola con secrezione purulenta. Oggi sarebbe stata trattata a domicilio e ambulatorialmente, ma all’epoca, con sessanta posti letto a disposizione e senza l’incubo dei DRG e dell’appropriatezza del ricovero, non avevamo problemi a tenerla periodicamente con noi. Anche perché Amalia era una paziente “speciale”.
Epilettica fin dall’infanzia, con crisi non sempre controllate dalla terapia, veniva da una famiglia estremamente povera; il padre la costrinse, all’età di ventun anni, a sottoporsi ad isterectomia “profilattica”, perché “se rimaneva incinta e faceva un figlio, con le crisi che aveva il bambino le sarebbe caduto dalle braccia”.
Si era sposata con tale Francesco (“Ciccillo” per tutti), invalido e disoccupato, e vivevano in un casa di proprietà del Comune, che eravamo riusciti a far loro avere grazie a continue segnalazioni. Periodicamente, quando Amalia si ricoverava, riuscivamo anche, a nostre spese, a mandare qualcuno che si occupasse di una pulizia straordinaria dell’abitazione, e che rifiutava di tornarci successivamente. Ciccillo, nei periodi di degenza di Amalia, si stabiliva praticamente in Ospedale, un po’ per l’affetto verso la moglie un po’ perché il vitto dell’Ospedale che gli passavamo era sicuramente una prelibatezza rispetto al solito menù casalingo.
Non ho più visto Amalia per decenni. Per questo, quando il collega me ne segnala la presenza, vado subito da lei. Non è cambiata molto: un volto forse un po’ amimico e sicuramente triste. Non mi riconosce subito: quando le dico il mio nome mi stringe le mani e quasi piange. Poi mi racconta che Ciccillo è morto da quattro anni; il giorno dopo il funerale, un fratello è andata a prenderla a casa e le ha detto di preparare i miseri bagagli perché sarebbe andata a vivere con la sua famiglia. Una volta in macchina, l’ha portata in un ospizio (abbastanza conosciuto per non essere esattamente un Albergo a cinque stelle), dove tuttora vive. Il cambio della biancheria ha cadenza bimestrale e il trattamento non è propriamente “amichevole”.
Poi la figura del medico rispunta e vado avanti con la storia clinica recente e con la visita. Amalia ha il sondino naso-gastrico, ma si sente “graffiare in gola”. Le cerco un po’ d’acqua e la imbocco con un cucchiaio; la convinco a tenersi quel tubicino nel naso. Devo andare a vedere gli altri pazienti ricoverati in Chirurgia, la devo lasciare…ma Amalia non mi lascia le mani, se non dopo ripetute promesse di tornare subito.
Cosa che faccio appena mi sono liberato. Non dorme ancora, mi aspetta, mi prende le mani e così dopo un po’, si assopisce.
Rimango a guardarla: mi sono sempre chiesto se è solo compassione quello che ci muove verso Amalia e le tante altre persone con storie simili in cui ci imbattiamo nella nostra vita professionale. No, c’è anche affetto, che nessuna delle riforme cui periodicamente la Sanità viene sottoposta ha mai citato, e che assieme a senso del dovere, di responsabilità, a coscienza fa sì che ogni giorno tutte le Amalia d’Italia possano avere una mano da stringere.
Before.C.
nottidiguardia
domenica 20 gennaio 2013
CHECCUSWRITER: LE RAGIONI DELLA FOLLIA
CHECCUSWRITER: LE RAGIONI DELLA FOLLIA: Nota dell’autore Le poche persone che hanno ...
giovedì 17 gennaio 2013
mercoledì 16 gennaio 2013
martedì 15 gennaio 2013
domenica 13 gennaio 2013
SE...
Se…..
Sei arrivata in silenzio
che era già notte,
la luna si riflette
nei tuoi occhi,
strani disegni,
geometrie perfette;
evocano ricordi passati,
suoni immaginari
nascosti nel tempo.
Osservo le stelle
diventare collane di perle,
brillare di luce propria;
il tuo corpo vola nell’aria
tra ali di rondini.
Le mie dita ti accarezzano,
vogliono assaporare
quello che abbiamo cercato
nelle notti di nebbia,
immersi nella nostra follia;
i nostri baci, la felicità,
l’illusione di aver fermato
il tempo.
Se… tutto questo sogno
è amore,
allora ti amo:
come
amo
il profumo della tua pelle,
il colore dei tuoi occhi,
il rosso delle tue labbra,
un fiore al mattino,
bagnato di rugiada.
checcuswriter gennaio 2013
sabato 12 gennaio 2013
Mariangela Melato
http://www.ilmessaggero.it/spettacoli/cinema/melato_arbore_amore_litigio_foto_video/notizie/243617.shtml
Addio alla Melato, il ricordo di Arbore: l’irresistibile ascesa della figlia del ghisa
ROMA - Il dolore è una brutta bestia. Può spegnere il sorriso, e
per uno come Renzo Arbore è come smettere di respirare, ti può far macerare in silenzio, ti può far venire voglia, all’improvviso, di parlare proprio di quello che ti fa più male. «Voglio far sapere alla gente chi era Mariangela, non solo l'attrice e il personaggio pubblico, ma la donna, perché è stata la persona più fantastica che abbia mai incontrato. E la più nobile, una nobiltà d'animo che era una fortissima risposta alla cialtroneria che ci circonda». La voce è rotta, il pianto spezza le parole ma Renzo va avanti: «In quarantuno anni di sentimenti che ci hanno unito non l’ho mai sentita alzare la voce. Non abbiamo mai litigato. L’ottanta per cento del nostro rapporto è stato fatto di sorrisi. Perfino nel periodo più brutto della malattia. Io avevo il compito di farla sorridere e lei rispondeva sempre a tono, pronta a replicare alla battuta».
Ci racconta la sua storia?
«Non è raccontabile la storia di questa ragazza del bar Giamaica, il bar di Brera dove fece i suoi primi incontri artistici. Era figlia di un ghisa, un vigile urbano milanese, ma si è sempre coltivata fino a diventare una grande intellettuale. Ha studiato e lavorato con determinazione e passione. Ha frequentato veri maestri, passando da film spiritosi e leggeri a titoli impegnati, facendo sempre scelte dettate da un solo codice: fare cose belle capaci di arricchire il pubblico. Nessun ossequio alle esigenze del mercato. Non l'ho mai sentita parlare di soldi, ma solo di lavoro fatto bene. Il successo non l'ha mai condizionata, neppure quanto è stato fortissimo come quando andavamo in America e, appena arrivava lei, si aprivano le porte dei teatri per l’attrice di Film d'amore d'anarchia e di Travolti da un insolito destino».
L'ultima sua prova di teatro è stata Il dolore di Margherite Duras, due anni fa.
«Lei aveva già questa orribile malattia, eppure stava da sola in scena per un'ora e mezza e poi per un'altra ora e mezza riceveva il pubblico che voleva salutarla in camerino. Ricordo che la sera andavo a prenderla e mi presentavo sempre molto dopo la fine del monologo».
Non ha voluto mollare fino a che ha potuto.
«Ha avuto bravissimi medici come il dottor Astori e il dottor Pedersoli di Verona, ma non ho mai visto un coraggio come il suo, anche nell’ultimo periodo. Ha continuato a pensare al lavoro. Aveva preso l'impegno di fare Il giardino dei ciliegi con Gabriele Lavia e studiava il testo a memoria. Ha sperato a lungo di poterlo fare, finché non me ne ha più parlato. E non ci siamo più detti nulla».
Siete stati uniti tanto, eppure sembravate così lontani: da una parte lo showman, dall’altra l’attrice impegnata.
«Era una donna semplice, ridanciana, spiritosa, ricca di musicalità e piena di swing. La sua grazia da fuoriclasse era speciale e si manifestava a teatro, al cinema, in televisione. Quando recitava e quando ballava, ed era una ballerina straordinaria. La ricordo a Canzonissima quando entrò in scena chiusa dentro una valigia portata da Pippo Baudo, poi ne uscì e si mise a ballare uno scatenato rhythm'n'blues. Era deliziosa anche quando cantava come fece nel mio programma Meno siamo meglio stiamo o nel film di Pupi Avati Aiutami a sognare, dove cantava delle canzoni di Fats Waller».
Dei suoi show televisivi che diceva?
«Mi ha sempre aiutato moltissimo. Ho assorbito molto da lei. Mi ha regalato la maturità. Io ero un ragazzo di provincia allegro e volenteroso. Mi ha fatto incontrare grandi personaggi del cinema e della cultura. Ai tempi dell’Altra domenica guardava sempre le registrazioni con me, segnalando quello che non dovevo dire. Senza di lei non avrei avuto i risultati che ho raggiunto».
Sabato 12 Gennaio 2013 - 09:41
Addio alla Melato, il ricordo di Arbore: l’irresistibile ascesa della figlia del ghisa
ROMA - Il dolore è una brutta bestia. Può spegnere il sorriso, e
per uno come Renzo Arbore è come smettere di respirare, ti può far macerare in silenzio, ti può far venire voglia, all’improvviso, di parlare proprio di quello che ti fa più male. «Voglio far sapere alla gente chi era Mariangela, non solo l'attrice e il personaggio pubblico, ma la donna, perché è stata la persona più fantastica che abbia mai incontrato. E la più nobile, una nobiltà d'animo che era una fortissima risposta alla cialtroneria che ci circonda». La voce è rotta, il pianto spezza le parole ma Renzo va avanti: «In quarantuno anni di sentimenti che ci hanno unito non l’ho mai sentita alzare la voce. Non abbiamo mai litigato. L’ottanta per cento del nostro rapporto è stato fatto di sorrisi. Perfino nel periodo più brutto della malattia. Io avevo il compito di farla sorridere e lei rispondeva sempre a tono, pronta a replicare alla battuta».
Ci racconta la sua storia?
«Non è raccontabile la storia di questa ragazza del bar Giamaica, il bar di Brera dove fece i suoi primi incontri artistici. Era figlia di un ghisa, un vigile urbano milanese, ma si è sempre coltivata fino a diventare una grande intellettuale. Ha studiato e lavorato con determinazione e passione. Ha frequentato veri maestri, passando da film spiritosi e leggeri a titoli impegnati, facendo sempre scelte dettate da un solo codice: fare cose belle capaci di arricchire il pubblico. Nessun ossequio alle esigenze del mercato. Non l'ho mai sentita parlare di soldi, ma solo di lavoro fatto bene. Il successo non l'ha mai condizionata, neppure quanto è stato fortissimo come quando andavamo in America e, appena arrivava lei, si aprivano le porte dei teatri per l’attrice di Film d'amore d'anarchia e di Travolti da un insolito destino».
L'ultima sua prova di teatro è stata Il dolore di Margherite Duras, due anni fa.
«Lei aveva già questa orribile malattia, eppure stava da sola in scena per un'ora e mezza e poi per un'altra ora e mezza riceveva il pubblico che voleva salutarla in camerino. Ricordo che la sera andavo a prenderla e mi presentavo sempre molto dopo la fine del monologo».
Non ha voluto mollare fino a che ha potuto.
«Ha avuto bravissimi medici come il dottor Astori e il dottor Pedersoli di Verona, ma non ho mai visto un coraggio come il suo, anche nell’ultimo periodo. Ha continuato a pensare al lavoro. Aveva preso l'impegno di fare Il giardino dei ciliegi con Gabriele Lavia e studiava il testo a memoria. Ha sperato a lungo di poterlo fare, finché non me ne ha più parlato. E non ci siamo più detti nulla».
Siete stati uniti tanto, eppure sembravate così lontani: da una parte lo showman, dall’altra l’attrice impegnata.
«Era una donna semplice, ridanciana, spiritosa, ricca di musicalità e piena di swing. La sua grazia da fuoriclasse era speciale e si manifestava a teatro, al cinema, in televisione. Quando recitava e quando ballava, ed era una ballerina straordinaria. La ricordo a Canzonissima quando entrò in scena chiusa dentro una valigia portata da Pippo Baudo, poi ne uscì e si mise a ballare uno scatenato rhythm'n'blues. Era deliziosa anche quando cantava come fece nel mio programma Meno siamo meglio stiamo o nel film di Pupi Avati Aiutami a sognare, dove cantava delle canzoni di Fats Waller».
Dei suoi show televisivi che diceva?
«Mi ha sempre aiutato moltissimo. Ho assorbito molto da lei. Mi ha regalato la maturità. Io ero un ragazzo di provincia allegro e volenteroso. Mi ha fatto incontrare grandi personaggi del cinema e della cultura. Ai tempi dell’Altra domenica guardava sempre le registrazioni con me, segnalando quello che non dovevo dire. Senza di lei non avrei avuto i risultati che ho raggiunto».
Sabato 12 Gennaio 2013 - 09:41
venerdì 11 gennaio 2013
giovedì 10 gennaio 2013
Una recensione del racconto: "le ragioni della follia" fatto da una mia carissima amica
RECENSIONEHo letto il racconto che mi hai inviato.Ha due caratteristiche che mi colpiscono:1) Una critica ben fatta della cosidetta normalità, che porta alla necessità di discostarsene con la follia.2) L'intreccio degli avvenimenti ben costruito come in una sceneggiatura, perchè quello che succede dalla panchina alla "stanza bianca" è scritto in modo visibile (e rappresentabile) come si trattasse di un film.Gli eventi sono incalzanti, quindi veloci e non c'è il minimo spazio per lungaggini noiose. Quel moncone di braccio, particolare al quale, nella scena finale, il protagonista si aggrappa come alla follia frutto di una voglia di libertà interiore e simbolo di accusa per la tristezza di un mondo normale, è un particolare che ci sta benissimo.Non so come sia irrorato un pezzo di cadavere e come possa stare dopo tanto tempo sotto un cuscino, senza che nessuno se ne accorga, ma è una superba chiusura della storia.Il lessico mi sembra buono e non complicato, la confusione dei giorni è una soluzione letteraria che sembra voler sconfiggere l'ossessione verso il tempo.Il particolare amore verso la prostituta è un po' didascalico ma non dispiace, così come i discorsi delle mamme al parco su articoli di lusso, ma anche in questo caso si può insistere sul concetto, quello del punto 1).Sei molto bravo, Francesco. Il racconto è validissimo e celebra il bisogno di chiudere la nostra vita all'ovvio e al "sistema", come dicevamo da ragazzi.La reiterata scelta di dichiararsi colpevoli nonostante la possibilità di comportarsi in modo furbo, è un gioiello intellettuale.Mi piace l'assetto americano del linguaggio e la bravura di non cadere nelle ripetizioni verbali, che, per chi scrive, sono una cosa che scombina tutta la frase.E' un racconto "maschile", se si può dire, asciutto nello stile, cosa che personalmente mi piace molto.Sei una penna felice, Francesco. COMPLIMENTIDanila
Iscriviti a:
Post (Atom)