mercoledì 10 agosto 2011

La grande arte del Te


Questa volta, vorrei lasciare in disparte il cibo, per parlare di una bevanda popolare anche se in misura minore rispetto alle genti asiatiche: Il Tè, con tutte le sue sfumature e, perché no, la sua filosofia, ritmata sapientemente da quella fantastica civiltà che comprende la Cina, il Giappone e L’india. 

 La leggenda racconta che Bodhidharma, monaco buddista indiano, fondatore e primo predicatore della dottrina c’han, meglio conosciuta con il termine giapponese Zen, dopo anni passati, senza sosta, nella meditazione e stremato, sia stato vinto dal sonno. Al suo risveglio, per punire la sua debolezza, si tagliò le palpebre per impedire che gli occhi si richiudessero nuovamente, impedendogli la preghiera.
Le palpebre gettate a terra diedero vita alla pianta del tè, il cui uso tiene viva la facoltà intellettuale, e le cui foglie a mandorla ne trasmettono l’origine. Da questa premessa si capisce l’importanza tributata dagli asiatici, al rito del tè e al culto della bevanda stessa: mantenere sempre uno stato vigile per non cedere alla ripetizione meccanica delle attività  manuali, presenti nella vita quotidiana. Quando troppi avvenimenti si susseguono e stiamo per dimenticarci chi siamo, il tè ci solleva dallo stress e ci riporta alla quiete interiore, ci fa ritrovare noi stessi. Il tè, nato come medicina, divenne bevanda  nella Cina dell’VIII secolo, per incontri raffinati ed eleganti; fu elevato dai Giapponesi nel XV secolo, a religione armoniosa e all’arte: “il teismo”, culto che pone le sue radici sull’adorazione della bellezza, non solo estetica ma intesa come purezza ed equilibrio dell’anima. Nato imperfetto da una leggenda, vuole realizzare il possibile in quel percorso impossibile che è la vita.
Si può dividere l’evoluzione del tè, in tre metodi e tre diverse epoche: Il tè bollito, il tè sbattuto e il tè infuso, che appartiene all’era moderna. Il tè bollito era un impasto di foglie cotte a vapore e successivamente fatte bollire in acqua purissima, con l’aggiunta di sale. Quello battuto, le cui foglie si pestavano in un mortaio, riducendole in polvere e quello in foglie che si utilizzavano per l’infusione. I primi due metodi sono scomparsi dalla memoria della Cina a seguito delle invasioni subite nei secoli, rimane il terzo, l’infuso di foglie, che si diffuse in Europa alla fine della dinastia Ming. Non esiste una tecnica assoluta nella preparazione del tè, anche perché il teismo non obbliga a compiere gesti meccanici, libera la mente lasciando il corpo altrettanto libero di fare come meglio crede. Scartando l’uso del tè in bustina, molto industriale e fatto con tè nero, vi consiglio di usare solo tè in foglia e soprattutto tè verde. Il mio metodo di preparazione è molto semplice, prendo due bricchi, uno lo riempio d’acqua, circa mezzo litro e lo metto sul fuoco, nell’altro metto un cucchiaio da tavola di tè verde cinese in foglia (circa 5/6 gr). Quando l’acqua giunge ad ebollizione, spengo, ne levo un quarto e ne aggiungo altrettanta di fredda; in tal modo porto la temperatura a 60/70 gradi, non deve essere più calda altrimenti si rovina tutto. Lascio in infusione per 4/5 mn., poi filtro con un colino sull’altro bricco ancora caldo e mi siedo a tavola con qualche fetta biscottata (è la colazione del mattino), bevendone lentamente un paio di tazze, riordinando le idee e osservando la gatta che, nel frattempo, ha partecipato al rito, mangiando la sua razione di crocchette, felice e contenta, mentre in giardino i passeri mangiano le briciole di pane avanzate la sera prima. Come potete constatare, questi piccoli gesti, creano una filosofia personale e un armonia che danno lo spunto per iniziare una nuova giornata in tutta tranquillità.
N.B. Il Tè verde, va bevuto senza zucchero (un paio di volte e ci si abitua e lo si gusta meglio) e non va usato limone o altro per non alterarne il sapore.   


Il poco spazio a disposizione ha un po’ sacrificato questa mia dissertazione sulle proprietà di questa bevanda, non ridete sulla sua filosofia, chi è stato in Cina, India o Giappone, capisce benissimo cosa intendo dire e, forse, anche a noi occidentali non farebbe male rallentare un po’ il ritmo, qualche volta. Si vivrebbe meglio  e con più tranquillità d’animo.


Questo scritto è stato pubblicato nella mia rubrica: "Angolo cucina", nel quindicinale Dolo Sport.

Checcuswriter  

Nessun commento:

Posta un commento