martedì 1 gennaio 2019

Sette anni di clausole di salvaguardia


Sette anni di clausole di salvaguardia: breve storia del salasso che pende sulle tasche degli italiani

Dal governo Berlusconi al governo Conte: parte delle spese in manovra hanno coperture incerte, che rendono necessaria la previsione alternativa di un aumento delle imposte indirette, cioè l'Iva e le accise sui carburanti. Attualmente superano i 23 miliardi. La denuncia di Boccia (Pd): "Sono illegittime, le norme sullegge di Bilancio le vietano espressamente"

di ROSARIA AMATO






ROMA - Una minaccia che incombe sui conti degli italiani da sette anni. E' con la manovra 2011 infatti che per la prima volta sono state introdotte le clausole di salvaguardia, che prevedono aumenti automatici di aliquote Iva e delle accise nel caso in cui non si raggiungano una serie di obiettivi del bilancio dello Stato. L'attuale legge di Bilancio ha però il "merito" di aver spinto la posta decisamente verso l'alto (siamo arrivati a 23,1 miliardi di aumenti Iva) e di averla proiettata fino al 2020, perché spostarla al 2019 non sarebbe stato sufficiente a convincere la Ue a lasciar perdere la procedura d'infrazione a carico dell'Italia.


Cosa sono. Le clausole di salvaguardia prevedono l'aumento dell'Iva (l'imposta sul valore aggiunto, incorporata nel prezzo di vendita di beni e servizi, che va dal 10% per la tariffa ridotta al 22% per l'aliquota ordinaria) e delle accise (anche in questo caso si tratta di imposte indirette, che cioè si pagano al momento dell'acquisto di un bene, e fanno pertanto parte del prezzo di vendita, e riguardano i carburanti e l'energia) nel caso in cui non si raggiungano determinati obiettivi di bilancio. Per evitare che quindi manchino le coperture a una serie di spese già effettuate o comunque previste, si stabilisce che "scattino" in automatico gli aumenti.

Quando sono nate. Anche il debutto delle clausole di salvaguardia, con il governo Berlusconi, nel 2011, è collegato alla necessità di ottenere il via libera di Bruxelles (in fondo la storia si ripete). Il governo di allora si impegnò, con la legge Finanziaria, a coprire 20 miliardi di spese già in bilancio entro il 30 settembre 2012 con un taglio lineare a tutte le agevolazioni fiscali, o in alternativa con un aumento delle aliquote indirette (in primo luogo l'Iva sui beni e servizi, ma anche le accise sui carburanti).

Un tentativo di contenimento. La tempestosa estate del 2011 (la corsa dello spread, arrivato quasi a 400 punti) si chiude con un avvicendamento: il governo Monti, subentrato a metà novembre 2011, riesce a disinnescare (cioè a trovare coperture alternative) buona parte di queste clausole, fino a 13,4 miliardi. Rimane però la previsione di un aumento dell'Iva a partire dal primo luglio 2013, come salvaguardia nel caso in cui non si fosse proceduto a tagli delle agevolazioni fiscali o di prestazioni assistenziali per 6,6 miliardi di euro annui.

Un aumento. Con il governo Letta scatta una delle clausole di salvaguardia: nell'ottobre del 2013 arriva l'aumento dell'Iva ordinaria, che passa dal 21 al 22%. Con la legge di Stabilità 2014 si stabilisce una ulteriore clausola di salvaguardia con la quale si dispone che, qualora la spending review (il contenimento delle spese dello Stato) non raggiunta gli obiettivi previsti (3 miliardi di euro per il 2015, 7 miliardi per il 2016 e 10 dal 2017) scatti una diminuzione delle detrazioni e delle agevolazioni.

Sterilizzazione e rilancio. Nel 2015 il governo Renzi sterilizza la clausola di salvaguardia per l'anno in corso (trova cioè coperture alternative) e la riduce di 3 miliardi per gli anni successivi, ma introduce a copertura delle misure della manovra un incremento automatico delle aliquote Iva e delle accise (alternativo alla riduzione della spesa pubblica) di 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e 22 miliardi nel 2018. La posta poi si riduce, e il carico sul 2018 si limita a 19,6 miliardi.

Un tentativo di abrogazione. La riforma della legge di Bilancio vieta le clausole di salvaguardia, ma a disattendere la norma per primo è proprio il governo che vara la legge, il governo Renzi. E con la legge di Bilancio 2019 le clausole di salvaguardia tornano in campo con un consistente rilancio. Nonostante nella nota di aggiornamento al Def si fosse assicurato che il governo Conte riteneva "opportuno intervenire sulle clausole di salvaguardia contenute nella legge di Bilancio 2018, neutralizzando completamente quelle relative al 2019 e parzialmente quelle riguardanti il 2020 e 2021", si prevedono al contrario 9,4 miliardi di salvaguardie sull'Iva per il prossimo anno, cui si aggiungono 13,1 miliardi per la prossima legge di Bilancio (e che quindi scatteranno eventualmente nel 2021).

Clausole illegittime. Francesco Boccia, il deputato Pd "padre" dell'attuale normativa sulla legge di Bilancio, le ha contestate: “La legge di Bilancio vieta espressamente le clausole di salvaguardia. - ricorda - Se scrivono che l’Iva aumenta significa che questa è una scelta politica del governo. Se annunciano che aumentano di oltre 20 miliardi l’IVA a partire dal 2020 e 2021 e poi tornano indietro significa che stanno raggirando gli italiani e si stanno ammanettando a Bruxelles, violando anche le regole che ci siamo dati nella legge di bilancio che salvaguardavano gli interessi italiani. Non accadeva dal 2011 e dalle ultime clausole di salvaguardia imposte a Bruxelles dal Governo Berlusconi durante la grave crisi finanziaria causata dallo spread fuori controllo".

Cosa può accadere. Il governo ha assicurato che si tratta di un "escamotage contabile". Ma in mancanza di coperture alternative, le clausole scatteranno, e si tradurranno in un aumento generalizzato dei prezzi visto che l'Iva si paga su tutti i beni e servizi acquistati, ed è improbabili che le aziende si sobbarchino i costi: verranno invece scaricati sui prezzi di vendita.



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