mercoledì 30 gennaio 2019
l'ultimo-concerto-dei-Beatles-sul-tetto-della-Apple-records-
Accadde oggi, 50 anni fa l'ultimo concerto dei Beatles sul tetto della Apple
Il tetto come un palco, la pelliccia di Yoko Ono indossata da Lennon, l'impermeabile rosso di Ringo, i microfoni avvolti con calze da donna contro il vento
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30 gennaio 2019Il 30 gennaio 1969 John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr, con il tastierista aggiunto Billy Preston, salgono sul tetto della Apple Records. Non cantano insieme da 3 anni da quando cioè avevano deciso di non suonare più dal vivo. I Fab Four iniziano a suonare all'aria aperta, John Lennon indossa la pelliccia di Yoko Ono, Ringo ha un impermeabile rosso. Una piccola folla di curiosi staziona sotto l'edificio. Rapidamente, la voce della loro presenza corre veloce tra le strade di Londra e le persone aumentano, in pochi minuti, in modo considerevole. "Get Back", "Don't Let Me Down", "Dig a Pony", "I've Got a Feeling" e "One After 909", cinque canzoni ripetute in diverse versioni per 42 minuti fino a quando la polizia londinese, intervenuta per il forte volume e per l'ingorgo che si era creato sotto al palazzo al numero 3 di Savile Row, spegne gli amplificatori. Storica l'ultima frase di Lennon: "Vorrei ringraziare tutti da parte nostra e del gruppo, spero che abbiamo passato l'audizione". Il regista Michael Lindsay-Hogg riprende tutto per il film documentario Let It Be - Un giorno con i Beatles del 1970. Nessuno dei presenti ancora lo sa, ma quella sarà l'ultima esibizione della band in pubblico. L'ultimo concerto dei Beatles.
La rottura sarebbe arrivata il 10 aprile 1970. Alla redazione del Daily Mirror arrivò un dattiloscritto firmato da Paul McCartney in cui il bassista dichiarava di non voler più far parte del gruppo: "Paul is quitting The Beatles". L'addio ufficiale dell'artista fu annunciato un mese prima dell'uscita dell'ultimo album dei quattro, 'Let It Be'.
Già da tempo dello spirito che aveva reso i 4 di Liverpool la band "più famosa di Gesù Cristo" (come dichiarò John Lennon nel 1966 in un'intervista scandalo), non rimaneva ormai molto. Le tensioni all'interno del gruppo erano diventate insostenibili e la coppia d'oro McCartney - Lennon stava scoppiando.
Il quartetto, nato ufficialmente nel 1960 a Liverpool, esordisce in realtà col nome 'Beatles' ad Amburgo. Nel marzo 1963 pubblica il primo album "Please Please Me", seguito poi da altri 12, tutti successi planetari. Il doppio lp meglio conosciuto come 'White Album' (1968), a tre giorni di distanza dalla pubblicazione in Gran Bretagna, sbarcava negli Stati Uniti, per diventare di lì a poco l'album più venduto dei Beatles oltreoceano. Ritenuti un fenomeno di comunicazione di massa di proporzioni mondiali, i Fab Four hanno segnato un'epoca nella musica, nel costume, nella moda e nella pop art. Stando alle stime dichiarate hanno venduto a livello mondiale un totale di circa 600 milioni di copie fra album, singoli e musicassette, di cui 178 milioni nei soli Stati Uniti d'America.
Da YouTube, THE BEATLES AT THE ROOFTOP : GET BACK - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Accadde-oggi-50-anni-fa-l-ultimo-concerto-dei-Beatles-sul-tetto-della-Apple-records-7aec44a7-ba4c-4265-afa2-b415941261cb.html
lunedì 28 gennaio 2019
sabato 26 gennaio 2019
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945.
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Somogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo lo sguardo legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo. Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altri, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso del pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che dilaga come un contagio. E’ stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia. Queste cose, allora mal distinte, e avvertite dai più solo come una improvvisa ondata di fatica mortale, accompagnarono per noi la gioia della liberazione.
Tratto da:
“La tregua” di Primo Levi
Edizioni Einaudi
Che cosa sono i Protocolli dei Savi di Sion
Che cosa sono i Protocolli
dei Savi di Sion
Un falso storico smascherato
già nel 1920. Eppure l'opera venne utilizzata da Hitler per
il Mein Kampf. Storia dell'opera rilanciata dal senatore M5s
Lannutti.
Un falso storico, un documento creato ad hoc dalla Ochrana, la polizia segreta zarista per diffondere l'odio verso la popolazione ebraica nell'impero di Russia. Nel Protocollo dei savi di Sion, noto anche come Anziani di Sion - rilanciati in un post poi cancellato dal senatore pentastellato Elio Lannutti - un testo con le sembianze di documento segreto, gli ebrei venivano accusati di organizzare una cospirazione per impadronirsi e controllare l'intera comunità internazionale. In una parola di impadronirsi del mondo. Il libro si articola in 24 protocolli in cui gli Anziani spiegano come intendono portare a compimento il loro piano. Per convincere i non israeliti - i goyim - diffondono idee liberali, promuovono la libertà di stampa, contestano la morale e i valori cristiani e patriottici. Le masse sono quindi controllabili tramite la finanza e i media. Un po' le accuse che sovranisti e ultranazionalisti rivolgono al nemico pubblico numero uno George Soros. Nei Protocolli, massoneria, capitalismo e finanza, ideologi liberali sarebbero manovrati dagli anziani per instaurare una teocrazia ebraica.
LEGGI ANCHE: Chi è Elio Lannutti, il senatore M5s del post sui Savi di Sion
UN FALSO STORICO MIX DI OPERE DI SATIRA E ROMANZI
Il falso è stato redatto a partire dal plagio di un libello di Maurice Joly scritto nel 1864 dal titolo Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu (Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu). L'autore satirico francese criticava la politica dell'imperatore Napoleone III. A sua volta Joly si era ispirato a un romanzo di di Eugène Sue, I misteri del popolo, in cui si raccontava di un complotto, ma i cospiratori in quel caso erano i gesuiti. Joly stampò il libro in Belgio introducendolo clandestinamente in Francia, ma fu arrestato dalla polizia segreta e condannato a 15 mesi di carcere. Alcuni dialoghi di Joly vennero ripresi nel 1868 dall'antisemita tedesco Hermann Goedsche in un'opera intitolata Biarritz. In un capitolo racconta di una riunione segreta di rabbini. Il mito della cospirazione ebraica contro l'Occidente cristiano viene poi ripreso in altre opere russe.
LA PRIMA STESURA DEI PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION
La prima stesura degli Anziani di Sion fu a opera di Sergej Aleksandrovič Nilus, scrittore russo esperto di religione al punto da definirsi un mistico, tra il 1901 e il 1903. In un primo momento l'opera ebbe una diffusione limitata alla Russia, poi con un nuovo editore arrivò nel resto d'Europa. Vent'anni dopo, il falso venne smascherato da una serie di articoli pubblicati dal Times. Venne dimostrato come l'intero contenuto fosse il risultato di plagio di diverse opere sia di satira - il caso di Joly, sia di romanzi, da Sue al Giuseppe Balsamo di Dumas padre.
LA CITAZIONE DELL'OPERA NEL MEIN KAMPF DI HITLER
Il "debunking" non impedì però all'opera di essere utilizzata da Adolf Hitler nel Mein Kampf per giustificare lo sterminio degli ebrei. «Fino a che punto l'intera esistenza di questo popolo sia fondata sulla menzogna continua è incomparabilmente mostrato dai Protocolli dei Savi di Sion così infinitamente odiati dagli ebrei», scriveva Hitler nel suo folle manifesto. «Sono basati su un falso, come grida e lamenta il Frankfurter Zeitung ogni settimana: la miglior prova che essi siano autentici».
JULIUS EVOLA E LA VERSIONE ITALIANA
In Italia i Protocolli vennero pubblicati già nel 1921. Ripresi nella rivista La difesa della Razza, la loro "fortuna" toccò l'apice con una edizione nel 1937 con un saggio introduttivo di Julius Evola. Evola, pur sostenendo che si trattava di un falso storico, ribadiva come le teorie presentate si stessero realizzando. I Protocolli sono regolarmente utilizzati per corroborare le teorie anti-semite in ogni parte del mondo, un po' come il Piano Kalergi riguardante la presunta sostituzione etnica e cavalcato recentemente da Diego Fusaro. E l'ultimo a rispolverarli sui social è stato il pentastellato Lannutti.
venerdì 11 gennaio 2019
Led Zeppelin, il dirigibile che cinquant'anni fa ha rivoluzionato il rock
Led Zeppelin, il dirigibile che cinquant'anni fa ha rivoluzionato il rock
Il 12 gennaio del 1969 usciva negli Stati Uniti il primo album della band di Robert Plant e Jimmy Page che segnò il definitivo tramonto dell'utopia hippie degli anni Sessanta
di ANDREA SILENZI
Il festival di Woodstock sarebbe arrivato solo in estate, ma già il 12 gennaio del 1969 le fondamenta dell'utopia hippie erano già entrate seriamente in crisi. Colpa, per così dire, del primo album dei Led Zeppelin, che portava semplicemente il nome della band, nati dalle ceneri degli Yardbirds. Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham avevano suonato per la prima volta insieme il 12 agosto 1968 in una sala prove di Gerrard Street, a Londra. Partirono con Train kept - a - rollin e, come racconta Jimmy Page, "fu subito un lampo".
Prima di entrare in sala di incisione, i Led Zeppelin si fecero conoscere negli Stati Uniti con una serie di show memorabili. Senza dischi alle spalle, con un repertorio fatto di classici blues e di brani eseguiti già ai tempi dei New Yardbirds. Gli americani apprezzarono: le prenotazioni dell'album ancora in preparazione arrivarono a 50.000. Anche il disco fu registrato in un lampo nell'ottobre successivo: tre giorni di lavori forzati negli Olympic Studios di Barnes, a Londra, con 1750 sterline di budget, copertina compresa.
E quella copertina fece discutere, così come il nome della band, che Page aveva scelto quando si era ricordato di una battuta fatta da Keith Moon e John Entwistle degli Who, che stanchi della loro band sognavano un nuovo progetto che avrebbe potuto chiamarsi "Lead Zeppelin", ovvero Zeppelin di piombo "perché tanto non avrà nessun successo". Così la band scelse l'immagine del dirigibile in fiamme mentre tenta di attraccare al pilone di ormeggio della stazione aeronavale di Lakehurst, nel New Jersey. La combinazione nome-foto fece infuriare Eva von Zeppelin, nipote del conte von Zeppelin, che minacciò di querelare la band per uso illegale del nome di famiglia. Ma si era già nel 1970, e la band era già nella leggenda.
I nove brani di Led Zeppelin scavano un fossato profondo con il passato, relegando sullo sfondo l'estetica degli anni 60. Gli Zep suonavano sporco. Il sound era pesante, il blues (ci sono almeno un paio di brani presi dal repertorio di Willie Dixon) veniva strapazzato e rimesso in circolo dopo un trattamento a base di folk e R&B. L'atmosfera è dionisiaca, febbrile, per niente conciliante. Come scrive Stephen Davies nella celebre biografia Il martello degli dei, "Jimmy Page fu capace di catturare l'ambiguo e semplice eccitamento di un gruppo in calore". Page era convinto che per ritrovare il suono dei primi dischi di rock'n'roll, che sembravano registrati durante una festa, fosse fondamentale studiare a fondo la disposizione dei microfoni in studio. "La distanza è profondità", rivelò spiegando che il suo obiettivo era catturare l'emozione e il suono dell'ambiente quanto più possibile.
Nei solchi di quel primo disco ci sono le tracce di uno stile che ha definito un intero genere: Good times, bad times, Babe I'm gonna leave you, Communication breakdown e soprattutto Dazed and confused, "il" brano che racconta tutta la filosofia dei Led Zeppelin con quell'assolo di chitarra suonata con l'archetto che dal vivo poteva durare anche mezzora. In America il successo di pubblico fu immediato, sebbene la critica non si mostrò particolarmente entusiasta. Rolling Stone scrisse che il disco degli Zep era solo una brutta copia dell'ultimo album di Jeff Beck (anche lui ex Yardbirds, come Eric Clapton) e che difficilmente la band avrebbe potuto raggiungere i livelli dei Cream, la band rock-blues più amata degli anni 60.
In Inghilterra, dove il disco uscì a fine marzo, non andò meglio: Led Zeppelin fu ignorato da Radio One della Bbc, e ci vollero mesi prima di vederlo in classifica. Ma tutti coloro che avevano snobbato la band fecero ampiamente in tempo a modificare il loro punto di vista. E quanto alle accuse di plagio e di non riconoscimento dei crediti di cui furono oggetto quasi tutti i brani dell'album, Page spiegò alla rivista Guitar player che gli Zep "suonano liberamente, quando riusciamo ad avere un pezzo fatto e finito ne siamo tutti molto felici, ma arrivarci è tutta un'altra faccenda. Proprio per questo, riesce tutto più facile partendo da un vecchio brano blues. Quanto all'originalità del nostro lavoro, dipende tutto da come lo si valuta. Si potrebbe dire che è originale all'80%, se si escludono le parole. Anche se, in realtà, dovrebbe esserlo al 90%, perché i nostri brani durano sempre dieci-quindici minuti, mentre l'originale ne dura solo 3. Quindi, la sostanza è che facciamo qualcosa di nuovo ogni volta". Diabolico. Ma questa è un'altra storia.
Prima di entrare in sala di incisione, i Led Zeppelin si fecero conoscere negli Stati Uniti con una serie di show memorabili. Senza dischi alle spalle, con un repertorio fatto di classici blues e di brani eseguiti già ai tempi dei New Yardbirds. Gli americani apprezzarono: le prenotazioni dell'album ancora in preparazione arrivarono a 50.000. Anche il disco fu registrato in un lampo nell'ottobre successivo: tre giorni di lavori forzati negli Olympic Studios di Barnes, a Londra, con 1750 sterline di budget, copertina compresa.
E quella copertina fece discutere, così come il nome della band, che Page aveva scelto quando si era ricordato di una battuta fatta da Keith Moon e John Entwistle degli Who, che stanchi della loro band sognavano un nuovo progetto che avrebbe potuto chiamarsi "Lead Zeppelin", ovvero Zeppelin di piombo "perché tanto non avrà nessun successo". Così la band scelse l'immagine del dirigibile in fiamme mentre tenta di attraccare al pilone di ormeggio della stazione aeronavale di Lakehurst, nel New Jersey. La combinazione nome-foto fece infuriare Eva von Zeppelin, nipote del conte von Zeppelin, che minacciò di querelare la band per uso illegale del nome di famiglia. Ma si era già nel 1970, e la band era già nella leggenda.
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I nove brani di Led Zeppelin scavano un fossato profondo con il passato, relegando sullo sfondo l'estetica degli anni 60. Gli Zep suonavano sporco. Il sound era pesante, il blues (ci sono almeno un paio di brani presi dal repertorio di Willie Dixon) veniva strapazzato e rimesso in circolo dopo un trattamento a base di folk e R&B. L'atmosfera è dionisiaca, febbrile, per niente conciliante. Come scrive Stephen Davies nella celebre biografia Il martello degli dei, "Jimmy Page fu capace di catturare l'ambiguo e semplice eccitamento di un gruppo in calore". Page era convinto che per ritrovare il suono dei primi dischi di rock'n'roll, che sembravano registrati durante una festa, fosse fondamentale studiare a fondo la disposizione dei microfoni in studio. "La distanza è profondità", rivelò spiegando che il suo obiettivo era catturare l'emozione e il suono dell'ambiente quanto più possibile.
Nei solchi di quel primo disco ci sono le tracce di uno stile che ha definito un intero genere: Good times, bad times, Babe I'm gonna leave you, Communication breakdown e soprattutto Dazed and confused, "il" brano che racconta tutta la filosofia dei Led Zeppelin con quell'assolo di chitarra suonata con l'archetto che dal vivo poteva durare anche mezzora. In America il successo di pubblico fu immediato, sebbene la critica non si mostrò particolarmente entusiasta. Rolling Stone scrisse che il disco degli Zep era solo una brutta copia dell'ultimo album di Jeff Beck (anche lui ex Yardbirds, come Eric Clapton) e che difficilmente la band avrebbe potuto raggiungere i livelli dei Cream, la band rock-blues più amata degli anni 60.
50 anni di rock, 1971: la scalata al cielo dei Led Zeppelin
in riproduzione....
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In Inghilterra, dove il disco uscì a fine marzo, non andò meglio: Led Zeppelin fu ignorato da Radio One della Bbc, e ci vollero mesi prima di vederlo in classifica. Ma tutti coloro che avevano snobbato la band fecero ampiamente in tempo a modificare il loro punto di vista. E quanto alle accuse di plagio e di non riconoscimento dei crediti di cui furono oggetto quasi tutti i brani dell'album, Page spiegò alla rivista Guitar player che gli Zep "suonano liberamente, quando riusciamo ad avere un pezzo fatto e finito ne siamo tutti molto felici, ma arrivarci è tutta un'altra faccenda. Proprio per questo, riesce tutto più facile partendo da un vecchio brano blues. Quanto all'originalità del nostro lavoro, dipende tutto da come lo si valuta. Si potrebbe dire che è originale all'80%, se si escludono le parole. Anche se, in realtà, dovrebbe esserlo al 90%, perché i nostri brani durano sempre dieci-quindici minuti, mentre l'originale ne dura solo 3. Quindi, la sostanza è che facciamo qualcosa di nuovo ogni volta". Diabolico. Ma questa è un'altra storia.
domenica 6 gennaio 2019
Decreto sicurezza, Salvini tace sulla lettera del Quirinale a Conte
Decreto sicurezza, Salvini tace sulla lettera del Quirinale a Conte
di Lina Palmerini
Dopo la firma di Mattarella, Salvini festeggiò con un «ciapa lì e porta a cà» e ieri l’ha tirato in ballo un’altra volta come se avesse bisogno di uno scudo più efficace per contrastare la sollevazione di alcuni sindaci sul decreto sicurezza. «Se c’è una legge approvata dal Parlamento, dal Governo e firmata dal Presidente della Repubblica, si rispetta. È troppo facile applaudire Mattarella quando fa il discorso in televisione a fine anno e due giorni dopo sbattersene». Certo, fa uno strano effetto sentire il capo leghista correre dietro agli atti e alle parole del capo dello Stato e quindi la prima domanda è se, per caso, si senta in difficoltà davanti alle argomentazioni di alcuni sindaci, e di alcuni esperti di immigrazione, che fanno notare come quelle norme più stringenti - in realtà - creino più clandestini. Un effetto boomerang dovuto soprattutto al fatto che quella promessa elettorale sui 100 rimpatri al giorno è ancora lontanissima dall’essere realizzata.
Forse, quindi, era necessaria la tirata sui “timbri” del Governo, Parlamento e pure del Quirinale per nascondere le difficoltà del Viminale a portare numeri credibili sul controllo e argine al fenomeno della clandestinità. Ma la chiamata in causa di tutti sulla legge, forza il racconto su quello che fu il suo iter. Che, si ricorda, è stato piuttosto faticoso. Un vero e proprio andirivieni di bozze tra Viminale e Colle che ha portato a stralciare alcune parti palesemente incostituzionali, limarne altre lasciando però spazi a un’area grigia in fase applicativa di cui Mattarella era consapevole. Tant’è che con un gesto poco usuale per lui, contestualmente al via libera, scrisse una lettera a Conte in cui metteva in guardia dai rischi di violazione della Costituzione. «Avverto l’obbligo di sottolineare – scriveva il 4 ottobre scorso al premier - che in materia restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato». Come dire che la legge apriva varchi, in fase attuativa, a possibili violazioni. Quali? Innanzitutto l’art.2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e poi l’art. 10 che prevede come la condizione giuridica dello straniero sia regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Insomma, la chiamata in solido del ministro dell’Interno al Colle non ha molto senso se non, appunto, in un’ottica più politica che giuridica. Salvini ricorda la firma presidenziale che però è un atto dovuto se non ci sono manifeste incostituzionalità – spetterà poi alla Consulta un vaglio approfondito sulle norme – e tra l’altro non è un’adesione ai contenuti della legge. Anzi, si direbbe il contrario. Proprio il messaggio di fine anno di Mattarella - citato da Salvini - è stato un controcanto alla sua impostazione sulla sicurezza con quell’insistenza su una convivenza civile, sui buoni sentimenti e il saluto ai 5 milioni di immigrati. Evidentemente il capo della Lega ieri ha preso solo quello che gli serviva: una “copertura” istituzionale alla sua legge consapevole, pure lui, dei difetti tra il rischio di creare più clandestini e le difficoltà a mantenere la promessa sui rimpatri.
di Lina Palmerini
Dopo la firma di Mattarella, Salvini festeggiò con un «ciapa lì e porta a cà» e ieri l’ha tirato in ballo un’altra volta come se avesse bisogno di uno scudo più efficace per contrastare la sollevazione di alcuni sindaci sul decreto sicurezza. «Se c’è una legge approvata dal Parlamento, dal Governo e firmata dal Presidente della Repubblica, si rispetta. È troppo facile applaudire Mattarella quando fa il discorso in televisione a fine anno e due giorni dopo sbattersene». Certo, fa uno strano effetto sentire il capo leghista correre dietro agli atti e alle parole del capo dello Stato e quindi la prima domanda è se, per caso, si senta in difficoltà davanti alle argomentazioni di alcuni sindaci, e di alcuni esperti di immigrazione, che fanno notare come quelle norme più stringenti - in realtà - creino più clandestini. Un effetto boomerang dovuto soprattutto al fatto che quella promessa elettorale sui 100 rimpatri al giorno è ancora lontanissima dall’essere realizzata.
Forse, quindi, era necessaria la tirata sui “timbri” del Governo, Parlamento e pure del Quirinale per nascondere le difficoltà del Viminale a portare numeri credibili sul controllo e argine al fenomeno della clandestinità. Ma la chiamata in causa di tutti sulla legge, forza il racconto su quello che fu il suo iter. Che, si ricorda, è stato piuttosto faticoso. Un vero e proprio andirivieni di bozze tra Viminale e Colle che ha portato a stralciare alcune parti palesemente incostituzionali, limarne altre lasciando però spazi a un’area grigia in fase applicativa di cui Mattarella era consapevole. Tant’è che con un gesto poco usuale per lui, contestualmente al via libera, scrisse una lettera a Conte in cui metteva in guardia dai rischi di violazione della Costituzione. «Avverto l’obbligo di sottolineare – scriveva il 4 ottobre scorso al premier - che in materia restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato». Come dire che la legge apriva varchi, in fase attuativa, a possibili violazioni. Quali? Innanzitutto l’art.2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e poi l’art. 10 che prevede come la condizione giuridica dello straniero sia regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
martedì 1 gennaio 2019
Salinger e 'Il giovane Holden'
Salinger e 'Il giovane Holden': le ansie assolute della giovinezza nel romanzo icona del Novecento
Cent'anni fa nasceva uno degli scrittori più celebri del Novecento. Repubblica gli dedica un'iniziativa editoriale. Per ricordare l'importanza delle sue opere nel panorama letterario del Dopoguerra
di FRANCESCO PACIFICO
Cent’anni fa, il primo gennaio 1919, nasceva a New York lo scrittore J.D. (iniziali di Jerome David) Salinger, uno degli scrittori più celebri del Novecento, non solo per la sua produzione letteraria ma anche per l’aura di mistero che ha sempre circondato la sua vita fino alla morte, avvenuta il 27 gennaio 2010 a Cornish, paesino del New Hampshire nel quale visse ritirato e in solitudine fin dagli anni Cinquanta, senza mai rilasciare interviste, con un paio di eccezioni: la rivista scolastica The Daily Eagle di Cornish nel 1953 e il New York Times nel 1974.
La fama arrivò con la pubblicazione, nel 1951, del suo capolavoro più conosciuto, Il giovane Holden (titolo originale The catcher in rye), romanzo di formazione che ruota intorno alla figura di un adolescente newyorkese. Tutta la sua opera è concentrata nell’arco di pochi anni, fino al 1965, quando pubblicò il suo ultimo racconto sulla rivista New Yorker.
In occasione del centenario della nascita di J.D. Salinger, prenderà il via con Repubblica un’iniziativa per celebrarlo: insieme al quotidiano saranno disponibili in edicola quattro suoi titoli. Si comincia il 3 gennaio proprio con Il giovane Holden (euro 9,90 oltre al prezzo del giornale). Seguiranno Franny e Zooey (10 gennaio), Nove racconti (17 gennaio) e Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour (24 gennaio).
Nell’articolo che segue Francesco Pacifico, scrittore ed esperto di letteratura americana, spiega il significato e l’importanza di un’opera come Il giovane Holden nel panorama letterario del Dopoguerra.
Approfondimento
i 100 anni di Salinger: Holden era giovane per la nostra rabbia giovane
di ENRICO BRIZZI
Holden Caulfield è un’anima in pena di sedici anni che dopo l’espulsione dal collegio vaga per New York perché è rientrato in città troppo in anticipo sulle vacanze di Natale e non può farsi scoprire dai genitori. Vede gente, la giudica, s’angoscia, s’infuria. Da quasi settant’anni, Holden è per l’America il prototipo del giovane che avrebbe tutto per essere normale ma non lo è: gli stanno antipatici gli abitanti del suo mondo, dai liceali filistei ai professori che li servono come maggiordomi e ne consolidano la morale. Come mai questo giovane è angosciato e non si dà pace pur vivendo in anni di impareggiabile prosperità? Questa domanda la porrà sbigottita il sistema ai suoi figli irrequieti molto prima del Sessantotto.
Il romanzo di J.D. Salinger esce in sordina dopo la fine della seconda guerra mondiale: nella cultura americana non esistono ancora le opere che permetteranno di assorbirlo e continuare a farlo per decenni. Nel 1951 mancano quattro anni a Gioventù bruciata, tre all’Urlo di Allen Ginsberg e sei a Sulla strada di Jack Kerouac. Mancano cinque anni al primo singolo di successo di Elvis, Heartbreak Hotel, figuriamoci all’invasione britannica di Beatles e Rolling Stones; infine, ben sedici all’estate dell’amore che proporrà per la prima volta alla gioventù del ceto medio una via concreta e coerente - sesso droga e rock and roll - per uscire dall’angoscia.
Insomma, a partire dal Giovane Holden, nel mondo che ha sconfitto i regimi totalitari comincia a formarsi l’idea di giovinezza su cui ci basiamo ancora, quella per cui le ansie fisiologiche dell’adolescenza possono avere un valore esistenziale e politico permanente. Ovviamente il sistema imparerà in fretta come incorporare e rendere monetizzabili le ansie, ma che il mondo si possa giudicare con la lente della giovinezza è un fatto acquisito. Ed è come se Salinger ci fosse arrivato prima di tutti.
Pur derivando molte idee dal modernismo letterario americano di Hemingway e Fitzgerald, le porta dove i due maestri non erano stati: il primo aveva cercato nella guerra e nell’esotismo una vita più viva di quella urbana, mentre i personaggi di Fitzgerald erano vecchi ubriaconi in corpi giovani in attesa di ereditare. Le ansie di Salinger diventano assolute e risiedono nella giovinezza, in particolare nella tendenza a disprezzare il mondo degli adulti e dei conformisti: “Uno dei principali motivi per cui avevo lasciato Elkton Hills è che era pieno così di palloni gonfiati. Ecco tutto. Arrivavano a frotte da ogni parte”. Da dove nasce questa inadeguatezza al mondo in fin dei conti felice della trionfante America che ha appena salvato il mondo e sta per conquistarlo col soft power dello stile di vita consumistico?
Salinger in una delle rarissime foto che lo ritraggono
La risposta non viene rivelata nel libro e non è lineare o sociologica. Salinger fu coscritto dall’esercito nel 1942 e partecipò al D-Day in Normandia, lavorò con il controspionaggio e si trattenne in Germania anche dopo la fine della guerra. Soffrì di stress, ne scrisse: uno dei suoi più grandi personaggi, Seymour Glass, muore suicida, ex militare, nel racconto Un giorno perfetto per i pescibanana, uscito nel ’48 sul New Yorker. Tra l’altro quella pubblicazione valeva da virtuale risarcimento per il fatto che un racconto con Holden protagonista era stato accettato dalla rivista ma poi bloccato dopo l’entrata degli Stati Uniti in guerra.
Holden ritornò in un intero libro dopo la guerra, quando ormai Salinger era un veterano e aveva provato lo choc del ritrovare la vita spensierata americana dopo l’orrore. Ma davanti allo choc pensò che scrivere di minuscoli problemi di adattamento sociale potesse incanalare ciò di cui non avrebbe voluto scrivere direttamente. È evidente che il disprezzo di certi giudizi sulla gioventù dabbene venga da molto lontano: “A Pencey c'erano un sacco di farabutti. (…) Una scuola, più costa e più farabutti ci sono - senza scherzi”. Ed è perciò che Holden si fa espellere, per non partecipare: e dagli anni Sessanta lo stesso Salinger smetterà di partecipare alla scena letteraria, scomparendo a casa sua nel New Hampshire.
L’importanza del Giovane Holden oggi è tutta qui. Nel rendere mistico e universale lo sputare nel piatto in cui si mangia. Il futuro buddista Salinger trova un modo comicamente sapienziale di esprimere questi paradossi attribuendo a Stradlater, amico di Holden, una sudiceria nascosta: “Il rasoio con cui si faceva la barba (…) aveva sempre tanto così di ruggine, ed era pieno di sapone, di capelli e di lerciume”; se all’apparenza era in ordine, “in segreto era un sudicione lo stesso, a conoscerlo come lo conoscevo io”. Come i buddisti vedono la morte nella vita, Holden, un puro, vede la sporcizia nella pulizia morale degli americani, e si rifiuta di partecipare.
Sette anni di clausole di salvaguardia
Sette anni di clausole di salvaguardia: breve storia del salasso che pende sulle tasche degli italiani
Dal governo Berlusconi al governo Conte: parte delle spese in manovra hanno coperture incerte, che rendono necessaria la previsione alternativa di un aumento delle imposte indirette, cioè l'Iva e le accise sui carburanti. Attualmente superano i 23 miliardi. La denuncia di Boccia (Pd): "Sono illegittime, le norme sullegge di Bilancio le vietano espressamente"
di ROSARIA AMATO
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ROMA - Una minaccia che incombe sui conti degli italiani da sette anni. E' con la manovra 2011 infatti che per la prima volta sono state introdotte le clausole di salvaguardia, che prevedono aumenti automatici di aliquote Iva e delle accise nel caso in cui non si raggiungano una serie di obiettivi del bilancio dello Stato. L'attuale legge di Bilancio ha però il "merito" di aver spinto la posta decisamente verso l'alto (siamo arrivati a 23,1 miliardi di aumenti Iva) e di averla proiettata fino al 2020, perché spostarla al 2019 non sarebbe stato sufficiente a convincere la Ue a lasciar perdere la procedura d'infrazione a carico dell'Italia.
Cosa sono. Le clausole di salvaguardia prevedono l'aumento dell'Iva (l'imposta sul valore aggiunto, incorporata nel prezzo di vendita di beni e servizi, che va dal 10% per la tariffa ridotta al 22% per l'aliquota ordinaria) e delle accise (anche in questo caso si tratta di imposte indirette, che cioè si pagano al momento dell'acquisto di un bene, e fanno pertanto parte del prezzo di vendita, e riguardano i carburanti e l'energia) nel caso in cui non si raggiungano determinati obiettivi di bilancio. Per evitare che quindi manchino le coperture a una serie di spese già effettuate o comunque previste, si stabilisce che "scattino" in automatico gli aumenti.
Quando sono nate. Anche il debutto delle clausole di salvaguardia, con il governo Berlusconi, nel 2011, è collegato alla necessità di ottenere il via libera di Bruxelles (in fondo la storia si ripete). Il governo di allora si impegnò, con la legge Finanziaria, a coprire 20 miliardi di spese già in bilancio entro il 30 settembre 2012 con un taglio lineare a tutte le agevolazioni fiscali, o in alternativa con un aumento delle aliquote indirette (in primo luogo l'Iva sui beni e servizi, ma anche le accise sui carburanti).
Un tentativo di contenimento. La tempestosa estate del 2011 (la corsa dello spread, arrivato quasi a 400 punti) si chiude con un avvicendamento: il governo Monti, subentrato a metà novembre 2011, riesce a disinnescare (cioè a trovare coperture alternative) buona parte di queste clausole, fino a 13,4 miliardi. Rimane però la previsione di un aumento dell'Iva a partire dal primo luglio 2013, come salvaguardia nel caso in cui non si fosse proceduto a tagli delle agevolazioni fiscali o di prestazioni assistenziali per 6,6 miliardi di euro annui.
Un aumento. Con il governo Letta scatta una delle clausole di salvaguardia: nell'ottobre del 2013 arriva l'aumento dell'Iva ordinaria, che passa dal 21 al 22%. Con la legge di Stabilità 2014 si stabilisce una ulteriore clausola di salvaguardia con la quale si dispone che, qualora la spending review (il contenimento delle spese dello Stato) non raggiunta gli obiettivi previsti (3 miliardi di euro per il 2015, 7 miliardi per il 2016 e 10 dal 2017) scatti una diminuzione delle detrazioni e delle agevolazioni.
Sterilizzazione e rilancio. Nel 2015 il governo Renzi sterilizza la clausola di salvaguardia per l'anno in corso (trova cioè coperture alternative) e la riduce di 3 miliardi per gli anni successivi, ma introduce a copertura delle misure della manovra un incremento automatico delle aliquote Iva e delle accise (alternativo alla riduzione della spesa pubblica) di 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e 22 miliardi nel 2018. La posta poi si riduce, e il carico sul 2018 si limita a 19,6 miliardi.
Un tentativo di abrogazione. La riforma della legge di Bilancio vieta le clausole di salvaguardia, ma a disattendere la norma per primo è proprio il governo che vara la legge, il governo Renzi. E con la legge di Bilancio 2019 le clausole di salvaguardia tornano in campo con un consistente rilancio. Nonostante nella nota di aggiornamento al Def si fosse assicurato che il governo Conte riteneva "opportuno intervenire sulle clausole di salvaguardia contenute nella legge di Bilancio 2018, neutralizzando completamente quelle relative al 2019 e parzialmente quelle riguardanti il 2020 e 2021", si prevedono al contrario 9,4 miliardi di salvaguardie sull'Iva per il prossimo anno, cui si aggiungono 13,1 miliardi per la prossima legge di Bilancio (e che quindi scatteranno eventualmente nel 2021).
Clausole illegittime. Francesco Boccia, il deputato Pd "padre" dell'attuale normativa sulla legge di Bilancio, le ha contestate: “La legge di Bilancio vieta espressamente le clausole di salvaguardia. - ricorda - Se scrivono che l’Iva aumenta significa che questa è una scelta politica del governo. Se annunciano che aumentano di oltre 20 miliardi l’IVA a partire dal 2020 e 2021 e poi tornano indietro significa che stanno raggirando gli italiani e si stanno ammanettando a Bruxelles, violando anche le regole che ci siamo dati nella legge di bilancio che salvaguardavano gli interessi italiani. Non accadeva dal 2011 e dalle ultime clausole di salvaguardia imposte a Bruxelles dal Governo Berlusconi durante la grave crisi finanziaria causata dallo spread fuori controllo".
Cosa può accadere. Il governo ha assicurato che si tratta di un "escamotage contabile". Ma in mancanza di coperture alternative, le clausole scatteranno, e si tradurranno in un aumento generalizzato dei prezzi visto che l'Iva si paga su tutti i beni e servizi acquistati, ed è improbabili che le aziende si sobbarchino i costi: verranno invece scaricati sui prezzi di vendita.
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