Def, tre furbate per far tornare i conti
Crescita gonfiata, il ritorno delle clausole e 10 miliardi di privatizzazioni: così Tria chiude una nota indigesta per l'Europa. Verso una manovra da 40 miliardi, per lo più in deficit. 10 miliardi vanno al reddito di cittadinanza, 7 a quota 100
Una crescita ipertrofica, il
ricorso monstre a quelle privatizzazioni che sono tradizionalmente
foriere di delusioni, le clausole di salvaguardia sull'Iva che restano
per il 2020 e il 2021. È un tridente ambizioso, ma fragile nella sua
struttura, quello che il governo gialloverde schiera nella Nota di
aggiornamento al Def, la cornice della manovra, trasmessa alle Camere
con una settimana di ritardo rispetto alla scadenza e dopo lunghissime
giornate di fibrillazioni sulla direttrice Roma-Bruxelles, ma anche e
soprattutto tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sulla spartizione della
torta, con il Tesoro preso d'assalto per trovare la quadra. È un
tridente spuntato perché poggia su tre elementi che per l'esecutivo sono
in grado di fare tornare i conti, ma per i principali osservatori e
decisori - cioè Bruxelles e i mercati - la prospettiva si delinea già
come ben diversa, cioè indigesta.
Un
tridente con tre "furbate" per provare a tenere in piedi la promessa di
abbattere il debito di ben quattro punti percentuali in tre anni e di
ridurre progressivamente il deficit. Scavando, però, dentro l'operazione
sui conti si scopre un vulnus profondo, quello relativo al cosiddetto
saldo strutturale, l'indicatore a cui guarderà Bruxelles per valutare la
solidità e la serietà degli impegni. In tutte le interlocuzioni che il
ministro dell'Economia, Giovanni Tria, ha avuto con la Commissione
europea da quando è nato il governo fino a un mese, l'impegno è sempre
stato quello di migliorare il deficit strutturale. Ora, nella Nota, è
previsto un peggioramento dello 0,8% per il 2019, 2020 e 2021. E così,
nero su bianco, il governo scrive che il processo di riduzione
dell'indebitamento strutturale partirà solo dal 2022. Altra regola che
il governo ammette già di non potere rispettare è quella del debito.
L'andamento è decrescente, ma il rapporto debito-Pil nel 2021 è previsto
eccedere il benchmark di 3,9 punti percentuali.
La
super crescita si diceva. Le stime del Pil (1,5% nel 2019, 1,6% nel
2020 e 1,4% nel 2021) sono portate a livelli molto distanti rispetto
alle previsioni dei principali organismi nazionali e internazionali, che
collocano in media l'asticella intorno all'1-1,1 per cento per il
prossimo anno. Come fa il governo a spingersi così in alto? La risposta
si trova tra i numeri della Nota di aggiornamento, accompagnati da un
ragionamento politico: l'impatto sul Pil delle misure previste, dal
reddito di cittadinanza al superamento della Fornero, è pari allo 0,6
per cento per quanto riguarda il 2019, allo 0,5% nel 2020 e allo 0,3%
l'anno successivo. Che sia un'operazione ambiziosa lo riconosce lo
stesso Tria nella prefazione che apre la Nota, rilanciando al rialzo:
"Questi obiettivi di crescita economica sono ambiziosi ma realistici, e
potrebbero essere oltrepassati, per almeno due motivi". Qui entrano in
gioco altri due frecce che il governo pensa siano in grado di centrare
il bersaglio della crescita, ma che rischiano alla fine di trasformarsi
in boomerang: un piano di rilancio degli investimenti pubblici, che
negli ultimi anni non sono mai decollati, e la convinzione - si legge
sempre nel testo - "che una volta che il programma di politica economica
del Governo sarà approvato dal Parlamento, si dissolva l'incertezza che
ha gravato sul mercato dei titoli di Stato negli ultimi mesi". In
pratica un'inversione dello spread, che però nelle ultime settimane ha
mostrato una dinamica totalmente opposta: è salito, anche oltre gli 300
punti, quando le discussioni sulla manovra si focalizzavano su
prospettive vicine allo schema finale tracciato per i conti pubblici.
Un'altra
bacchetta magica che il governo è pronto a imbracciare è quella delle
privatizzazioni. Nel biennio 2019-2020 - è la stima del governo - si
punta a incassare circa 10 miliardi in modo da riversarli
nell'operazione di abbattimento del rapporto debito/Pil. E' una ricetta
antica, che ora viene rispolverata, ma che negli ultimi anni ha avuto un
iter alquanto complesso, portando un magro bottino nelle casse dello
Stato. Era il 1992 quando si pensò alle privatizzazioni per abbattere il
debito. In mezzo ci sono più di 25 anni di operazioni travagliate e
insuccessi. Basta pensare al grande piano di dismissioni lanciato da
Berlusconi nel 2001: si volevano portare a casa 60 miliardi, ma alla
fine il risultato fu il trasferimento delle quote di Enel, Eni e altri
asset strategici dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti. C'è la
storia del tentativo non riuscito su Alitalia e molti altri esempi. La
ricetta, riproposta, ingloba molte incognite e poche certezze. Pacchetto
che contempla la vendita del patrimonio immobiliare e il proposito di
rivedere di rivedere i canoni di concessionari, riferimento quest'ultimo
alla vicenda Autostrade.
Capitolo
clausole di salvaguardia sull'Iva. Nel 2019 l'Iva non aumenterà e si
farà ricorso all'extra deficit, ma nel 2020 e nel 2021 le clausole ci
saranno ancora: saranno ridotte come portata, e questo porterà a un
beneficio sul deficit, ma l'altra faccia della medaglia contempla
l'aumento, anche se limitato, dell'imposta. Uno schema, quindi, che da
una parte punta a un beneficio, ma dall'altro ha un costo politico
altissimo. Ma appare una via obbligata perché le risorse per coprire le
misure, soprattutto nel 2020 e nel 2021, sono ridotte al lumicino.
Qui
si innesta la seconda partita dell'operazione conti pubblici, cioè le
misure da inserire nella manovra. Dopo l'ennesima giornata di tensioni
sulla spartizione delle risorse, alla fine si decide una composizione
che assegna 10 miliardi al reddito di cittadinanza (9 per le pensioni e
il reddito, 1 per la riforma dei centri per l'impiego), 7 miliardi alla
quota 100 per il superamento della legge Fornero sulle pensioni, 2 per
la flat tax al 15% destinata alle partite Iva, 1 miliardi per le
assunzioni nelle forze dell'ordine e 1,5 miliardi per i risparmiatori
che hanno avuto perdite per colpa dei fallimenti bancari. La spartizione
è definita, ma non è detto che accontenti Salvini e Di Maio. Fonti di
governo, infatti, riferiscono di malumori in capo al leader della Lega
che sarebbe stato costretto a ridurre la portata della quota 100 per
chiudere l'accordo con i 5 Stelle. L'importo di 7 miliardi, in effetti,
delinea il bacino più ristretto tra tutti quelli ipotizzati nelle scorse
settimane: 400mila uscite e quota 100 solo con la formula 62+38 (età
anagrafica+anni di contributi) a fronte di 495mila prepensionamenti che
sarebbero stati garantiti se si avessero avuti a disposizione 8,5
miliardi.
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