Il silenzio colpevole della borghesia italiana
La nostra classe dirigente da decenni è senza
spina dorsale. Invece di schierarsi e difendere i valori irrinunciabili
della democrazia, blandisce il vincitore di turno. E gli intellettuali
l'hanno seguita. Rispecchiando la parte peggiore del Paese.
Ha ragione Claudio Cerasa, direttore del Foglio, quando
critica severamente quella classe dirigente silenziosa di fronte al
probabile successo, del tutto inconcludente, del Movimento 5 stelle.
Sostiene Cerasa che la grande borghesia italiana, a differenza di quel
che accade negli altri Paesi europei, non si schiera anzi in molti casi
blandisce il futuro vincitore. Il direttore del Foglio non si
rivolge solo ai gran borghesi dell’impresa e della finanza ma anche a
intellettuali, soprattutto dei mezzi di comunicazione di massa, e
artisti. Lo stesso appello dovrebbe farsi contro Salvini che oggi sta
fornendo alla destra più estrema un campionario di argomenti per
accrescere la sua aggressività. Il Msi a confronto della Lega attuale
era un partito moderato.
VALORI DA DIFENDERE. Quando parliamo della necessità dell’unità nazionale ormai siamo abituati a parlarne come ”Inciucio”, termine orribile che indica l’accordo più o meno segreto e sottobanco fra partiti opposti. Ma l’unità nazionale è innanzitutto un fatto di popolo e di classe dirigente. È quella serie di valori che una democrazia repubblicana coltiva, che spinge le élite a schierarsi per difenderli e deve spingere i partiti della sinistra a lavorare nel profondo della società per non farsi scalzare, come è accaduto in questi anni, da forze antisistema di chiara marca fascista.
LE ÉLITE PRENDANO POSIZIONE. Cerasa dice una cosa importante alla classe dirigente: dichiarate quali sono i valori irrinunciabili e quali sono i partiti voto-repellenti. Nella storia d’Italia la classe dirigente è sempre stata segnata da un cieco opportunismo. Non c’è sistema politico con cui non si sia acconciata, non c’è passato che non abbia coltivato nel timore del ritorno o futuro che abbia cercato di addomesticare. La borghesia in Italia è più una denominazione sociologica che via via perde significato che una classe orgogliosa del proprio status sociale. L’intellettualità è andata al seguito. Tutti dc silenti, tutti craxiani, tutti berlingueriani, tutti grillini, tutti come quella orrenda tribù di Capalbio che gli immigrati li vuole a Bastogi ma non sul mare di casa.
VALORI DA DIFENDERE. Quando parliamo della necessità dell’unità nazionale ormai siamo abituati a parlarne come ”Inciucio”, termine orribile che indica l’accordo più o meno segreto e sottobanco fra partiti opposti. Ma l’unità nazionale è innanzitutto un fatto di popolo e di classe dirigente. È quella serie di valori che una democrazia repubblicana coltiva, che spinge le élite a schierarsi per difenderli e deve spingere i partiti della sinistra a lavorare nel profondo della società per non farsi scalzare, come è accaduto in questi anni, da forze antisistema di chiara marca fascista.
LE ÉLITE PRENDANO POSIZIONE. Cerasa dice una cosa importante alla classe dirigente: dichiarate quali sono i valori irrinunciabili e quali sono i partiti voto-repellenti. Nella storia d’Italia la classe dirigente è sempre stata segnata da un cieco opportunismo. Non c’è sistema politico con cui non si sia acconciata, non c’è passato che non abbia coltivato nel timore del ritorno o futuro che abbia cercato di addomesticare. La borghesia in Italia è più una denominazione sociologica che via via perde significato che una classe orgogliosa del proprio status sociale. L’intellettualità è andata al seguito. Tutti dc silenti, tutti craxiani, tutti berlingueriani, tutti grillini, tutti come quella orrenda tribù di Capalbio che gli immigrati li vuole a Bastogi ma non sul mare di casa.
Non c’è sistema politico con cui la classe dirigente non si sia acconciata, non c’è passato che non abbia coltivato nel timore del ritorno o futuro che abbia cercato di addomesticare
In quel “tutti” vi sono brillanti eccezioni ma poca roba. C’è sempre
stata una via breve che non ha mai fatto identificare le grandi
questioni del Paese. L’antiberlusconismo giudiziario, con il suo
specifico filmico, ha ottenebrato la critica a una leadership
opportunista che ha spalancato le porte a tutta la destra possibile. La
lotta anti-sistema (non sto qui a dire quanto queste élite
fossero e siano incastonate nel sistema) li ha portati verso un
movimento vandeano, eterodiretto e privo totalmente di cultura politica.
Tutti per i diritti civili individuali, nessuno per i diritti sociali.
UNA BORGHESIA SENZA SPINA DORSALE. La classe dirigente alimenta lo “sfascismo” salvo poi titolare nei momenti di crisi con un gigantesco «Fate Presto», (Il Sole 24 Ore di Napoletano!) lo sfascio diventato evidente. Queste élite non le ha create l’economia. Il capitalismo familiare arretra, i nuovi capitalisti investono sugli scambi di denaro piuttosto che sull’economia reale. È una borghesia delle professioni, ciarliera, mondana, priva di spina dorsale. Quando in Italia c’era lo Stato, e negli anni del Secondo Dopoguerra lo Stato c’è stato, questa borghesia ha dovuto confrontarsi con i problemi dello sviluppo del Paese, l’intellettualità era chiamata da Olivetti o da «Civiltà delle macchine» di Finmeccanica a misurarsi con i temi del progresso, i comunisti erano produttivisti, i socialisti immaginavano grandi riforme alcune realizzate con grande vantaggio per l’Italia.
LO SPECCHIO DELL'ITALIA PEGGIORE. Se non si ricrea in Italia una nuova idea di Stato che contrasti le culture neo-liberiste di questi anni e che, al contrario, affermi la necessità di uno Stato leggero ma potente, le élite italiane si affideranno alla navigazione a vista, prima democristiane, poi socialiste, poi un po’ comuniste, poi berlusconiane, poi grilline fino a diventare l’immagine dell’Italia peggiore, peggiore di quel popolo che abbandonato a se stesso dallo Stato, dalla politica e dalla sinistra parolaia, guarda a destra come in ogni stagione che ha preceduto la crisi strutturale della democrazia.
UNA BORGHESIA SENZA SPINA DORSALE. La classe dirigente alimenta lo “sfascismo” salvo poi titolare nei momenti di crisi con un gigantesco «Fate Presto», (Il Sole 24 Ore di Napoletano!) lo sfascio diventato evidente. Queste élite non le ha create l’economia. Il capitalismo familiare arretra, i nuovi capitalisti investono sugli scambi di denaro piuttosto che sull’economia reale. È una borghesia delle professioni, ciarliera, mondana, priva di spina dorsale. Quando in Italia c’era lo Stato, e negli anni del Secondo Dopoguerra lo Stato c’è stato, questa borghesia ha dovuto confrontarsi con i problemi dello sviluppo del Paese, l’intellettualità era chiamata da Olivetti o da «Civiltà delle macchine» di Finmeccanica a misurarsi con i temi del progresso, i comunisti erano produttivisti, i socialisti immaginavano grandi riforme alcune realizzate con grande vantaggio per l’Italia.
LO SPECCHIO DELL'ITALIA PEGGIORE. Se non si ricrea in Italia una nuova idea di Stato che contrasti le culture neo-liberiste di questi anni e che, al contrario, affermi la necessità di uno Stato leggero ma potente, le élite italiane si affideranno alla navigazione a vista, prima democristiane, poi socialiste, poi un po’ comuniste, poi berlusconiane, poi grilline fino a diventare l’immagine dell’Italia peggiore, peggiore di quel popolo che abbandonato a se stesso dallo Stato, dalla politica e dalla sinistra parolaia, guarda a destra come in ogni stagione che ha preceduto la crisi strutturale della democrazia.
Nessun commento:
Posta un commento