giovedì 4 giugno 2020











The Sound of Silence: il significato del capolavoro di Simon e Garfunkel

Posted by Edoardo Crasta

1964. Luci spente. Una confessione all’oscurità, amica fedele di lunga data. Intanto, un getto d’acqua scorre da un rubinetto lasciato volutamente aperto. Uno spreco che perdoniamo, perché a partire da questi ingredienti il giovane Paul Simon scrive The Sound of Silence, una canzone che più di mezzo secolo dopo sarà ancora tristemente attuale. Lui, chiuso in bagno con carta e penna, non può immaginare che nel 2020 si parlerà ancora del suo dialogo con la parte più intima di sé, aperto da uno degli incipit più belli mai scritti.

Il brano, nato come The Sounds of Silence, viene inizialmente registrato come un pezzo acustico e incluso in Wednesday Morning, 3 A.M., il primo album che Simon incide con Art Garfunkel per la Columbia Records. Potrebbe essere anche l’ultimo, perché si rivela un flop scoraggiante. Il duo si scioglie: Simon parte per Londra per cercare fortuna come solista, mentre Garfunkel riprende gli studi universitari. Poi accade l’insospettabile: Tom Wilson, il produttore della casa discografica, viene a conoscenza del fatto che la canzone sta passando alla radio con una certa insistenza in alcune zone degli Stati Uniti. All’insaputa dell’ormai ex duo, Wilson la reinventa con l’aggiunta di batteria e chitarra elettrica, trasformandola in un pezzo folk rock che di lì a poco scalerà le classifiche. Simon e Garfunkel si riuniscono e il resto è storia.

È curioso, comunque, come nel tempo la versione acustica sia rimasta la più conosciuta e toccante, raggiungendo il punto più alto nel concerto gratuito del 1981 a Central Park, quando i due musicisti, divisi da anni, tornarono insieme per estasiare una folla di 500.000 persone.

Simon è appassionato di ossimori; a dircelo è lo stesso Garfunkel, uno che lo conosce bene. Questa figura retorica, da sempre amata dai poeti, consiste nell’affiancamento di due o più parole che normalmente si negano l’un l’altra. Ma può succedere, a volte, che questo contrasto dia vita a un’espressione perfettamente sensata, un’immagine difficile da evocare altrimenti. “Il suono del silenzio” è una di queste, e c’è da scommettere che qualcuno che soffre di acufeni sarebbe pronto a darcene conferma. Battute a parte, comunque lo si intenda il silenzio ha una voce: può essere un dolce sussurro, come quando si abbraccia una solitudine cercata a lungo; oppure può gridare, se essere soli è una maledizione da cui non ci si riesce a liberare. Invece, il silenzio a cui pensava Paul Simon quel giorno di febbraio di 56 anni fa è ben più terribile e disumano. E parla così.

Hello darkness, my old friend
I’ve come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence

Ciao oscurità, mia vecchia amica
Sono tornato a parlare con te
Perché una visione dolcemente strisciante
Ha depositato i suoi semi mentre stavo dormendo
E la visione che è stata piantata nel mio cervello
Resta ancora
Dentro il suono del silenzio

Sin dai primi versi viene affrontato quello che è il tema portante della traccia: l’incomunicabilità. Simon non si confida con un amico, ma con il buio della stanza in cui sta scrivendo. Infatti, la visione a cui fa riferimento sembra uno di quei sogni che non puoi raccontare a nessuno se non a te stesso. Un sogno che si fissa nella mente e che il risveglio non fa dimenticare. Poi la strofa continua:

In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
‘Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence

In sogni inquieti camminavo solo
Per strade strette e ciottolose
Sotto l’alone di un lampione
Stavo alzando il mio colletto per il freddo e l’umidità
Quando i miei occhi sono stati colpiti dal flash di una luce al neon
Che ha squarciato la notte
E toccato il suono del silenzio

Il paesaggio che Simon comincia a descrivere ricorda i romanzi di Dickens. Non ci sono alberi, prati o fiumi. È un mondo angusto, claustrofobico, fatto di cemento e luci artificiali. A un certo punto, la calma della notte viene aggredita da un bagliore accecante, che rivela la presenza di una fiumana di persone:

And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared
Disturb the sound of silence

E nella luce vivida ho visto
Diecimila persone, forse più
Persone che parlavano senza dire niente
Persone che sentivano senza ascoltare
Persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai condiviso
E nessuno osava
Disturbare il suono del silenzio

Il silenzio piacevole che accompagnava la passeggiata di quella figura solitaria cambia forma, mutando in qualcosa di angosciante. Gli individui, fisicamente vicini tra loro, sono separati dall’incapacità di comunicare. Parlano senza esprimere concetti né emozioni, ascoltano distrattamente. Il dominio del silenzio, in cui si infiltrano solo rumori indistinti, è assoluto. Di fronte a questo spettacolo raccapricciante, l’uomo perde le staffe:

“Fools” said I, “You do not know
Silence like a cancer grows
Hear my words that I might teach you
Take my arms that I might reach you”
But my words like silent raindrops fell
And echoed
In the wells of silence

“Sciocchi” ho detto, “non sapete
Che il silenzio cresce come un cancro
Ascoltate le parole che potrei insegnarvi
Afferrate le mie braccia così che possa raggiungervi”
Ma le mie parole sono cadute come gocce di pioggia silenziose
E sono riecheggiate
Nei pozzi del silenzio

Il tentativo di instaurare un dialogo fallisce. Non c’è più la speranza di creare legami autentici. Il vuoto del silenzio risucchia le parole, lasciando il posto a un mutismo generale.

And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said: “The words of the prophets
Are written on the subway walls
And tenement halls”
And whisper’d in the sounds of silence

E le persone si sono inchinate a pregare
Il dio neon che avevano creato
E la scritta ha mostrato il suo avvertimento
Nelle parole che si stavano formando
E la scritta diceva: “Le parole dei profeti
Sono scritte sui muri della metropolitana
E negli atri dei palazzi”
E sussurrava nei suoni del silenzio

La massa ha fatto la sua scelta, che si realizza nella cieca obbedienza…a che cosa? Ai dogmi? Al capitalismo? A tutte le sciocchezze con cui la propaganda ci riempie la testa? Simon aveva senza dubbio in mente il potere della televisione e degli schermi in generale, in grado di plasmare nuovi pensieri nelle persone. Qualunque aspetto si voglia dare a questa divinità luminosa, la sorte sembra segnata: non ci sarà salvezza per gli uomini finché non si uniranno spiritualmente in una catena di solidarietà e pietà, come ci insegna il drammatico periodo storico che stiamo vivendo.

Ascoltare questa canzone è un’esperienza strana, soprattutto se la inseriamo nel contesto dei giorni nostri. Da un lato ci si sente cullati dall’arpeggio e dal lieve canto, dall’altro si ha come la sensazione di essere rimproverati, accusati di non aver ascoltato l’avvertimento e provato a cambiare le cose. Anzi, l’abisso della non-comunicazione è oggi più profondo che mai. Chi più chi meno, ci siamo dentro tutti.


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