lunedì 15 gennaio 2018

La storia del Dottor Živago,

La storia del Dottor Živago, così Pasternak e Feltrinelli sfidarono l'Urss

Sessant'anni fa veniva pubbliato il libro culto del celebre scrittore e poeta russo. Un caso editoriale nato dopo un lungo travaglio per la pubblicazione, che Pcus, Kgb e Pci cercarono di boicattore in ogni modo.



UN COLPO EDITORIALE DI FELTRINELLI. Per Giangiacomo Feltrinelli fu un colpo grosso, indispensabile e fondante per la sua giovanissima casa editrice, un’impresa più che onorevole di cui giustamente ancora oggi il figlio Carlo che guida l’azienda va fiero, e insieme anche un dramma personale. Il più che comunista Feltrinelli era a caccia di manoscritti in russo che esaltassero, anche criticamente, il sistema sovietico e non che lo demolissero impietosamente. Ma un sano senso degli affari, per Feltrinelli inevitabile, alla fine ebbe il sopravvento.
IL TENTATIVO DI PUBBLICARE IN OCCIDENTE DI PASTERNAK. Paolo Mancosu, professore di filosofia a Berkeley e appassionato “zivaghista”, ha smontato varie insistenti fantasie, dopo avere consultato tra l’altro anche tutti i documenti a disposizione della Fondazione Feltrinelli (Mancosu, Inside the Zhivago Storm, Fondazione Feltrinelli, Milano 2013). Giangiacomo non andò mai a Mosca nel 1956. La Cia ottenne il microfilm via Londra, sicuramente dai servizi dell’M16 britannici, e si trattava del manoscritto che Pasternak aveva affidato al noto storico, politologo e diplomatico inglese di origine russa Isaiah Berlin perché lo consegnasse alle sorelle, da molti anni residenti a Oxford. Conclusa agli inizi del 1956 la revisione del romanzo - la stesura , 800 pagine di dattiloscritto, era terminata due anni prima - Pasternak cercava di diffonderlo in Occidente, dove inviò tre o quattro copie, ben sapendo che in Russia non sarebbe mai uscito, nemmeno nel disgelo kruscioviano, e ben sapendo di violare così la legge sovietica..


Giangiacomo Feltrinelli.

La Cia riceveva la riproduzione fotografica il 2 gennaio del 1958 e Il Dottor Živago era uscito in prima mondiale a Milano a fine novembre. Il valore politico dirompente fu subito chiaro agli americani e ai loro colleghi britannici e ad altri. Il successo immediato in Italia lo confermava. Pasternak nell’unico romanzo della sua carriera di poeta e traduttore di poesia, che già lo aveva portato fra i papabili per il Nobel, raccontava la sua visione dell’inutilità, e dei danni, della rivoluzione Obiettivo della Cia era ottenere un’edizione in lingua originale da diffondere clandestinamente in Russia.
IL BOICOTTACCIO DEI PCUS, KGB E PCI. I sovietici fecero di tutto per impedire la pubblicazione e riuscirono a ritardarla di vari mesi. Si mossero il Pcus e il Kgb ai massimi livelli, si mosse e pesantemente il Pci sull’iscritto al partito Feltrinelli, con i suoi massimi dirigenti culturali, Emilio Sereni e Mario Alicata, e altri. Il giovane editore ritardò la pubblicazione di vari mesi, in inutile attesa di un’edizione russa con cui voleva uscire in contemporanea. Ma risultava impossibile una “revisione” ufficiale del testo che la censura sovietica diceva di voler fare e alla quale ufficialmente Pasternak acconsentì, avvertendo poi Feltrinelli per vie sicure che l’ipotetico consenso gli era stato estorto e che non andava considerato. Era impossibile tecnicamente mettere mano a un romanzo disseminato, soprattutto nella parte centrale e conclusiva, di note e dialoghi pesantemente critici.
IN RUSSIA PUBBLICATO NEL 1958. Un esempio: «Fanno le rivoluzioni uomini attivi, fanatici unilaterali, geni dell’autolimitazione. In poche ore o in pochi giorni abbattono il vecchio ordinamento. I rivolgimenti durano due settimane, tutt’al più qualche anno; poi per decenni, per secoli gli uomini venerano come qualcosa di sacro lo spirito di limitazione che ha portato al rivolgimento». Il Nobel del 1958 fu di Pasternak ma non poté riceverlo perché sarebbe stato il non ritorno a casa e l’esilio. Lo riceverà molti anni dopo suo figlio Evgenij. Il romanzo uscirà in Russia nel 1988.


Il merito di un’impresa editoriale certamente difficile va prima di tutto a Giangiacomo Feltrinelli, pur con le contraddizioni, e in parte notevole a Valerio Riva, fra i responsabili della allora piccola casa editrice e deciso sostenitore del progetto a differenza di vari colleghi troppo ortodossi che storcevano politicamente il naso. E in particolare a Pietro Zveteremich, grande slavista e il traduttore che, convocato da Riva e dal direttore editoriale Luigi Diemoz a manoscritto appena arrivato, dopo sette ore di lettura dichiarò : è un capolavoro e sarebbe un delitto non pubblicarlo.
IL VALORE DEL MESSAGGIO SUPERA QUELLO LETTERARIO. Sul valore strettamente letterario, notevole, dell’opera era tuttavia lo stesso Pasternak ad avere qualche dubbio. «Non ho scritto al mio meglio», ammise in una lettera suggerendo che l’urgenza del messaggio aveva il sopravvento a volte sull’eleganza e coerenza delle forma. Anche vari amici, tra cui la poetessa Anna Akhmatova, amica di Pasternak, lo trovarono non all’altezza delle capacità poetiche dell’autore. Il libro è bello, bellissimo, ma non quasi perfetto ad esempio come Il gattopardo (Feltrinelli 1958), che pure ha le sue sbavature (poche) e le sue pagine “ideologiche” fra italianità e sicilianità, ma più fuse con il tutto.
NABOKOV LO STRONCÒ. Dagli Stati Uniti Vladimir Nabokov lo stroncò dichiarandolo «una cosa modesta, pasticciato trito e melodrammatico», ma lo scrittore di Lolita come noto apprezzava essenzialmente la propria, di prosa, e Živago oltretutto scacciava per mesi la sua Lolita dalla prima posizione dei bestseller. Il grande critico Edmund Wilson, che su questo ruppe con l’amico Nabokov, capì meglio. «Živago rimarrà, credo, uno dei grandi eventi nella storia letteraria e morale dell’umanità». E aggiungeva: «Per scriverlo in uno Stato totalitario e offrirlo al mondo occorreva davvero la statura del genio». Il libro usciva nel momento giusto, il presunto disgelo kruscioviano, nonostante i fatti dell’Ungheria nel 1956, e anche questo spiega il vivo interesse di milioni di lettori.
La storia editoriale del romanzo è piena di episodi e personaggi che andrebbero ricordati, e risvolti vari, non ultimi i contrasti dopo la morte dell’autore nel 1960. Pasternak aveva due mogli, e sempre si occupò di loro, e dal 1946, pur senza abbandonare la seconda famiglia, aveva un’amante prediletta, Olga Ivinskaya, chiaramente la Lara idealizzata nel romanzo. Le royalties, cospicue, quanto mai utili a gente che viveva nelle ristrettezze sovietiche, e non trasferibili inizialmente in Urss («il denaro di Giuda», diceva il regime) furono uno dei motivi. Olga aveva già fatto quattro anni di Gulag usati per intimidire Pasternak, troppo noto già dopo il 1946 per essere facilmente toccato e che Stalin aveva sempre risparmiato (anche per traduzioni di poeti georgiani che il dittatore georgiano aveva apprezzato). Ne farà altri due anni dopo il 1960.
IL RUOLO DI SERGIO D'ANGELO. Un personaggio va tuttavia ricordato: è Sergio d’Angelo, viterbese, dal 1945 iscritto al Pci e poi manager dell’editoria del partito, a Mosca nel 1956 come redattore nei servizi italiani della radio sovietica. Feltrinelli gli aveva chiesto di scovare autori russi, pensando a libri alla fine leali al sistema. Letta una breve nota che parlava di un manoscritto ultimato da Pasternak, d’Angelo andò a trovarlo a Peredelkino, fuori Mosca. Pasternak gli disse che il libro non sarebbe mai uscito in Urss e gli consegnò il manoscritto. Poco dopo Feltrinelli in persona lo ebbe, a Berlino, dove d’Angelo doveva recarsi per questioni sue. «Siete fin d’ora invitati alla mia fucilazione», diceva Pasternak salutando d’Angelo e l’amico sovietico mentre lasciavano col manoscritto Peredelkino.
I DOCUMENTI DEL KGB SU FELTRINELLI NON CONSULTABILI. D’Angelo lavorò poi per la Feltrinelli a Roma, lasciò il Pci, venne strapazzato dall’editore per aver fatto arrivare a Olga soldi delle royalties che consentirono al regime un’accusa e l’arresto per traffico di valuta, e alla fine fece causa a Feltrinelli per un adeguato compenso come scout che aveva procurato l’opera, causa risolta con una transazione negli Anni 70. D’Angelo ha scritto nel 2006 Il caso Pasternak, 180 pagine di ricordi (Bietti editore). Dice tra l’altro di avere visitato parecchi archivi sovietici, ma di avere avuto forti limitazioni in quello dell’ex Kgb, teoricamente per il caso Pasternak e altro accessibile da diversi anni. La tesi di d’Angelo è semplice: in quei faldoni c’è anche la storia di Feltrinelli, e del ruolo avuto come collaboratore dei servizi dell’Est per favorire la causa del socialismo rivoluzionario sovietico, fino alla morte sul traliccio di Segrate, nel marzo 1972. A fare di dell'editore un rivoluzionario era stato, secondo d’Angelo, il complesso di colpa politico per avere pubblicato Il dottor Živago.

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