sabato 20 gennaio 2018

D’Alema fa D'Alema,



D’Alema fa D'Alema, e Liberi e Eguali è già in ebollizione

19/01/2018 


"Dopo il 4 marzo c'è il 5 marzo", dice D'Alema nella sua intervista al Corriere della sera che sta scompigliando le fila dei nemici, ma soprattutto degli amici dell'ex segretario della Fgci.
Infatti nella sua proiezione politica D'Alema si è spinto molto oltre, arrivando anche al 5 aprile, al 5 maggio, e oltre addirittura l'estate.
Un vero monumento di una politica politiciennes, dove il leader manovra senza curarsi della sua base sociale. E qui i sopracciglia si sono alzati numerosi proprio nella formazione "Liberi e Eguali".
Non tanto per i singoli temi e contenuti toccati nella conversazione con Cazzullo, quanto proprio per il tipo di ragionamento, per il metodo, che il successore di Prodi a Palazzo Chigi ha coriacemente esibito, senza curarsi nemmeno di mitigare o diluire l'impatto con i suoi compagni di cordata.
In sostanza D'Alema, dopo essersi ulteriormente accanito sull'ombra ormai di Renzi, di cui già pregusta la rimozione, traccia le linee a maglie strettissime su cui dovranno attestarsi i nuovi parlamentari eletti della lista a sinistra del Pd.
Trascorsa la sua quaresima, in queste settimane in cui si è dovuto mimetizzare nelle seconde linee del nuovo partito per non indispettire i nuovi arrivati, è tornato sulla scena con la sua inossidabile convinzione: la politica la fanno i professionisti. E io lo sono, fa intendere senza alcuna falsa modestia.
E la sua è una politica da professionisti, tutta scenari e messaggi, manovre e contropiedi. Una politica tutta politicante, senza rappresentanza.
L'intendenza seguirà, sembra dire il dirigente delle mille esperienze maturate nel Pci, che ha attraversato da protagonista tutte le fasi del post comunismo.
Sollecitato dal suo accorto intervistatore, non ha avuto alcuna remora a spingere in avanti la sua bussola, prefigurando tutte le successive fasi al voto del 4 marzo:
Sconfitta rovinosa del Pd, affermazione - ma non trionfo - della destra, incompatibilità nel campo berlusconiano con la Lega, e operazione tipo quella del '95, quando Berlusconi venne sfrattato da Palazzo Chigi dal lavorio proprio di D'Alema ai fianchi di Bossi, a ruoli invertiti. Ora sarà Berlusconi a piantare in asso la Lega e diventare il perno di un governo di grande coalizione del Quirinale. Un copione che lascia poco spazio agli altri promotori di Liberi e Eguali: Grasso viene esplicitamente derubricato, gli altri compagni di avventura, come Fratoianni o Civati o lo stesso Speranza, sullo sfondo a fare da contorno al grande manovratore. È questa la vera visione che divide irreversibilmente la sinistra, in una coazione a ripetere. D'Alema infatti rimane il figlio di quel partito, dove ha imparato che la rappresentanza è una scelta di campo epocale, dove la base sociale sceglie, per la sua stessa identità e collocazione nella società, il suo riferimento, il suo mediatore politico, che poi utilizza questo mandato al meglio, facendolo fruttare politicamente con la propria professionalità.
Togliatti, con l'intesa con la Dc sull'articolo 7 della costituzione e successivamente l'amnistia ai fascisti; Berlinguer con il compromesso storico, Occhetto con il cambio del nome del Pci, e infine lo stesso D'Alema con le capriole con Prodi e poi contro Prodi, non sono mai stati frenati da problemi di sintonia e di raccordo con i propri elettori. La politica, appunto, è roba da professionisti. Al tempo delle grandi narrazioni, nel secolo delle classi sociali separate, dei partiti di massa ideologici, era una tecnica sostenibile, e forse anche inevitabile. Ma quello che D'Alema ha sempre rifiutato, ignorando assolutamente di misurarsi con l'idea stessa che la sociologia sia una branchia della politica, è che oggi questo metodo è assolutamente ingestibile. Nei partiti leggeri e fragili, dove il consenso vive di momentanei stati d'animo, e dove le ragioni di una rappresentanza sono strettamente connesse a sintonie emotive più che ideologiche, esibire la propria spregiudicatezza nella mossa a sorpresa non paga, soprattutto a sinistra.
La rete non è la caricatura dei 5s, non è quel giocattolo privato di Rousseau, la piattaforma che gestisce le relazioni con la base dei grillini. È un vero paradigma sociale, figlio di un'esplicita domanda di partecipazione e negoziazione politica di una moltitudine d'individui, emancipati e attrezzati, che non pensano minimamente di delegare a pochi "migliori" il proprio destino. Lo stesso Renzi, appena si è discostato dall'onda delle primarie, e ha cercato di riconvertire il proprio carisma in potere politico è andato a sbattere.
La sensazione è che D'Alema lo stia seguendo, per un altro percorso: dopo aver accompagnato la rivolta della sinistra del Pd, l'incontro con anime e culture che non a caso erano fuori da quel perimetro non si può realizzare al grido di "lasciami lavorare ragazzo". Fino al 4 marzo la convenienza reciproca, con non pochi tormenti costringerà tutti a stare in riga. Poi, come spiega appunto D'Alema, dopo il 4 marzo ci sarà il 5 marzo, e allora si ricomincia da capo: ognuno per sé e Dio per tutti.

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