D’Alema fa D'Alema, e Liberi e Eguali è già in ebollizione
"Dopo il 4 marzo c'è il 5 marzo", dice D'Alema nella sua intervista al Corriere della sera che sta scompigliando le fila dei nemici, ma soprattutto degli amici dell'ex segretario della Fgci.
Infatti
nella sua proiezione politica D'Alema si è spinto molto oltre, arrivando
anche al 5 aprile, al 5 maggio, e oltre addirittura l'estate.
Un vero monumento di una politica politiciennes,
dove il leader manovra senza curarsi della sua base sociale. E qui i
sopracciglia si sono alzati numerosi proprio nella formazione "Liberi e
Eguali".
Non
tanto per i singoli temi e contenuti toccati nella conversazione con
Cazzullo, quanto proprio per il tipo di ragionamento, per il metodo, che
il successore di Prodi a Palazzo Chigi ha coriacemente esibito, senza
curarsi nemmeno di mitigare o diluire l'impatto con i suoi compagni di
cordata.
In
sostanza D'Alema, dopo essersi ulteriormente accanito sull'ombra ormai
di Renzi, di cui già pregusta la rimozione, traccia le linee a maglie
strettissime su cui dovranno attestarsi i nuovi parlamentari eletti
della lista a sinistra del Pd.
Trascorsa
la sua quaresima, in queste settimane in cui si è dovuto mimetizzare
nelle seconde linee del nuovo partito per non indispettire i nuovi
arrivati, è tornato sulla scena con la sua inossidabile convinzione: la
politica la fanno i professionisti. E io lo sono, fa intendere senza alcuna falsa modestia.
E
la sua è una politica da professionisti, tutta scenari e messaggi,
manovre e contropiedi. Una politica tutta politicante, senza
rappresentanza.
L'intendenza
seguirà, sembra dire il dirigente delle mille esperienze maturate nel
Pci, che ha attraversato da protagonista tutte le fasi del post
comunismo.
Sollecitato
dal suo accorto intervistatore, non ha avuto alcuna remora a spingere
in avanti la sua bussola, prefigurando tutte le successive fasi al voto
del 4 marzo:
Sconfitta
rovinosa del Pd, affermazione - ma non trionfo - della destra,
incompatibilità nel campo berlusconiano con la Lega, e operazione tipo
quella del '95, quando Berlusconi venne sfrattato da Palazzo Chigi dal
lavorio proprio di D'Alema ai fianchi di Bossi, a ruoli invertiti. Ora
sarà Berlusconi a piantare in asso la Lega e diventare il perno di un
governo di grande coalizione del Quirinale. Un copione che lascia poco
spazio agli altri promotori di Liberi e Eguali: Grasso viene
esplicitamente derubricato, gli altri compagni di avventura, come
Fratoianni o Civati o lo stesso Speranza, sullo sfondo a fare da
contorno al grande manovratore. È questa la vera visione che divide
irreversibilmente la sinistra, in una coazione a ripetere. D'Alema
infatti rimane il figlio di quel partito, dove ha imparato che la
rappresentanza è una scelta di campo epocale, dove la base sociale
sceglie, per la sua stessa identità e collocazione nella società, il suo
riferimento, il suo mediatore politico, che poi utilizza questo mandato
al meglio, facendolo fruttare politicamente con la propria
professionalità.
Togliatti,
con l'intesa con la Dc sull'articolo 7 della costituzione e
successivamente l'amnistia ai fascisti; Berlinguer con il compromesso
storico, Occhetto con il cambio del nome del Pci, e infine lo stesso
D'Alema con le capriole con Prodi e poi contro Prodi, non sono mai stati
frenati da problemi di sintonia e di raccordo con i propri elettori. La
politica, appunto, è roba da professionisti. Al tempo delle grandi
narrazioni, nel secolo delle classi sociali separate, dei partiti di
massa ideologici, era una tecnica sostenibile, e forse anche
inevitabile. Ma quello che D'Alema ha sempre rifiutato, ignorando
assolutamente di misurarsi con l'idea stessa che la sociologia sia una
branchia della politica, è che oggi questo metodo è assolutamente
ingestibile. Nei partiti leggeri e fragili, dove il consenso vive di
momentanei stati d'animo, e dove le ragioni di una rappresentanza sono
strettamente connesse a sintonie emotive più che ideologiche, esibire la
propria spregiudicatezza nella mossa a sorpresa non paga, soprattutto a
sinistra.
La
rete non è la caricatura dei 5s, non è quel giocattolo privato di
Rousseau, la piattaforma che gestisce le relazioni con la base dei
grillini. È un vero paradigma sociale, figlio di un'esplicita domanda di
partecipazione e negoziazione politica di una moltitudine d'individui,
emancipati e attrezzati, che non pensano minimamente di delegare a pochi
"migliori" il proprio destino. Lo stesso Renzi, appena si è discostato
dall'onda delle primarie, e ha cercato di riconvertire il proprio
carisma in potere politico è andato a sbattere.
La sensazione è che D'Alema lo stia seguendo,
per un altro percorso: dopo aver accompagnato la rivolta della sinistra
del Pd, l'incontro con anime e culture che non a caso erano fuori da
quel perimetro non si può realizzare al grido di "lasciami lavorare
ragazzo". Fino al 4 marzo la convenienza reciproca, con non pochi
tormenti costringerà tutti a stare in riga. Poi, come spiega appunto
D'Alema, dopo il 4 marzo ci sarà il 5 marzo, e allora si ricomincia da
capo: ognuno per sé e Dio per tutti.
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