La leggenda di Amedeo Guillet, il “comandante diavolo”
La sua straordinaria storia comincia in Africa orientale prima della seconda guerra mondiale quando, giovane tenente, cattura una pericolosissima banda di guerriglieri fedeli al Negus. Da Roma riceve l’ordine di giustiziarli, ma quando vede i volti fieri di quei nemici non solo decide di non ucciderli ma propone loro di arruolarsi nei suoi reparti. Il duca d’Aosta copre questa sua decisione e propone inoltre di creare un’intera cavalleria indigena, agile e di impatto, al seguito di Amedeo Guillet.
Questi nel giro di due mesi organizza e costituisce la nuova formazione, il “Gruppo Bande Amhara a cavallo” formata da combattenti diversissimi per etnia e religione e che soltanto un grande conoscitore di uomini come lui può tenere uniti. Ma mentre sta completando l’addestramento il 10 giugno del ’40 l’Italia entra in guerra e in Africa la situazione si fa subito difficile: gli Inglesi penetrano velocemente in Libia.
All’inizio del ’41 l’avanzata dell’esercito inglese sta ormai travolgendo le truppe italiane. Guillet per difendere il fronte italiano è pronto a tutto: gli viene chiesto di usare i suoi reparti per rallentare l’avanzata britannica e dare tempo agli Italiani di organizzarsi. E lui compie un’azione inaspettata, geniale ma spericolata: decide di attaccare il nemico a cavallo nel bel mezzo dello schieramento, contando sul fatto che mitragliatrici e artiglieria nemica non avrebbero potuto sparare per non colpire la loro stessa fanteria.
Dopo ore di confusione 10mila soldati italiani si erano ormai salvati sulle montagne grazie ad un’azione ricordata ancora oggi come una delle pagine più valorose della storia militare italiana. Guillet viene ricordato come il comandante che ha guidato una cavalleria contro i carri armati, e ha vinto. Coraggioso, sprezzante del pericolo, fedele agli alleati e rispettoso del nemico. Nell’immaginario collettivo diventa il “Comandante Diavolo” ( Cummundar as-Sheitan) e dal quel momento inizia la sua leggenda.
Dopo la firma della resa, secondo il diritto internazionale, non si può continuare a combattere ma Guillet ha in mente una strategia precisa: sfiancare il nemico e fargli credere che gli Italiani sono ancora vivi ed in grado di impegnarli. Entra in clandestinità, è’ costretto a nascondersi, a camuffare la sua identità. Smessa l’uniforme indossa il turbante e il tipico abbigliamento indigeno, diventa Ahmed Abdallah al Redai ( foto a sinistra) aiutato in questa trasformazione anche dai suoi tratti mediterranei e dalla conoscenza perfetta della lingua araba.
Il suo cambiamento non è solo esteriore: inizia a pregare 5 volte al giorno, a vivere nella comunità musulmana in modo completamente mimetico. Non è più un Italiano, non è più un ufficiale, non è più un cattolico. È un indigeno tra gli indigeni: la sua figura ricorda per certi versi quella di Lawrence d’Arabia. Con la differenza che questi aveva dietro di sé un impero che lo sosteneva. Nascosto dietro la nuova identità inizia, con i suoi indigeni, una guerriglia senza quartiere contro gli Inglesi, sabotando ferrovie, tagliando linee telegrafiche, facendo saltare ponti e saccheggiando depositi militari. Le azioni della banda inizialmente vengono considerate opera di fuorilegge locali, di banditi del deserto.
Nella primavera del ’41, dopo la disfatta italiana il Negus Haile Selassie torna in Etiopia e con l’aiuto degli Inglesi cerca di annettere anche l’Eritrea. Dall’altra parte però Guillet riesce ad attrarre alla sua causa proprio gli Eritrei facendo leva sui loro sentimenti anti-etiopici e mettendoli in guardia sul pericolo che gli inglesi possono rappresentare per loro.
Alla fine del ’41 arriva nel porto di Hodeida nello Yemen ma per i suoi modi raffinati e la lingua gli Yemeniti lo scambiano per una spia britannica e lo incarcerano. Appena a conoscenza del fatto gli Inglesi chiedono la sua estradizione cosa che però insospettisce molto gli Yemeniti. Il sovrano quindi gli concede udienza e ascolta tutta la sua storia. Ne rimane talmente affascinato che gli propone di rimanere, prendendolo sotto la sua protezione.
Lo fa curare, gli dà una casa e uno stipendio da colonnello. Quando nel ’42 gli Inglesi mettono a disposizione una nave della Croce Rossa per tutti quegli Italiani desiderosi di tornare in patria, Guillet, aiutato dai suoi vecchi amici del porto, riesce a imbarcarsi furtivamente rimanendo quasi nascosto per tutto il viaggio fingendosi pazzo.
Promosso Maggiore per meriti di guerra le sue conoscenze linguistiche lo rendono perfetto per il lavoro di intelligence.
Nel Dopoguerra, Guillet inizia a la carriera diplomatica, che prosegue per quasi trent’anni e che lo vede diventare ambasciatore d’Italia in vari Paesi. A seguirli sono sua moglie e la sua fortuna: sopravvive a due incidenti aerei nello stesso giorno e a due colpi di Stato di cui è testimone in Yemen e in Marocco. In quest’ultimo paese, durante un ricevimento ufficiale, ci fu un tentativo di colpo di Stato e Guillet riuscì a salvare la vita all’ambasciatore tedesco. Questo gli valse la più alta onorificenza della Repubblica Federale Tedesca: la Gran Croce con stella e striscia dell’Ordine al Merito della Repubblica. Nel 1971 fu inviato come Ambasciatore d’Italia in India, entrando ben presto nel ristrettissimo entourage dei confidenti del Primo Ministro Indira Gandhi.
Nel 1975 è in pensione per raggiunti limiti di età e va a vivere in Irlanda. Se in Italia in pochi conoscono la sua storia, in Irlanda viene accolto con grande entusiasmo e ritrova anche i suoi vecchi nemici anglosassoni che non avevano mai nascosto la propria ammirazione per lui, Max Harari, maggiore dell’VIII Ussari che riuscì a rapirgli il cavallo bianco Sandor, e Vittorio Dan Segre. Quest’ultimo diventa il suo biografo.
Alle già innumerevoli medaglie ed onorificenze ricevute, nel novembre del 2000 il Capo dello Stato italiano Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito la massima onorificenza di ‘Cavaliere di Gran Croce’. Amedeo Guillet muore a Roma il 16 giugno 2010, all’età di 101 anni. Le sue ceneri riposano a Capua.
Grazie a “Amanti della storia”
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