Due carriere da distruggere in nome dell’antirenzismo, la Boschi e Palazzi, il sindaco di Mantova
AGF
l'accusa al Sindaco di Mantova
spiaccicata in prima pagina. Online e nei tg. Oggi il pubblico
ministero ha chiesto l'archiviazione per il primo cittadino Palazzi
perché non c'è concussione:
contributi a un'associazione in cambio di favori sessuali. Si è
scoperto che la vice presidente dell'associazione con la quale il
Sindaco intratteneva uno scambio di sms ha alterato la chat.
Fin qui la cronaca. Nel frattempo il Sindaco di Mantova è stato
linciato sui giornali e si sono chieste le dimissioni. E se Palazzi si
fosse dimesso? Colpisce in questa vicenda l'approssimazione quando era
evidente fin dall'inizio che c'era molto che non quadrava. Ma è prevalso
il silenzio.
Sesso in cambio di favori. È
Silenzio
anche da parte di Matteo Renzi che di Palazzi è amico stretto,
soprattutto da Mantova capitale della cultura in giù, quando l'ex
premier approvò milioni di euro di opere pubbliche che hanno portato la
città a un rinnovamento estetico senza precedenti, stringendo con il
sindaco un patto generazionale e politico. Silenzio anche da parte del
Pd. Certo tutti i santi in questi casi si affidano alla magistratura. Ma
anche no, e sollevare qualche dubbio non vuol dire andare contro
all'ordine costituito.
Mi ha
stupito l'isolamento in cui è stato lasciato il sindaco Palazzi. Quando è
chiaro, limpido come il sole che si è acceso (da parte dell'opposizione
in consiglio comunale) il motore di un macchina senza guidatore
lanciata contro il primo cittadino. Amato e odiato, di certo uno che è
arrivato a ricoprire quella carica solo di suo. Con la sua volontà, come
Renzi scalò il Pd. Senza guardare in faccia nessuno. Tanto meno i
poteri forti tradizionali della città. Tutti.
Basta
parlare con i mantovani, di qualsiasi orientamento politico, e ti
diranno che hanno voluto incastrare Palazzi. Partendo proprio dal
versante più pruriginoso, quello sessuale.
È un
caso quello di Mantova, dove riecheggiano i tuoni del rapporto
magistratura e informazione. Fake news e politica. Il polverone,
l'assenza di verità e il rutto libero dei social. E delle briglie
sciolte che stanno intorno. La superficialità con la quale si mette in
rete, o si pubblica sui giornali, una notizia denigrando Tizio o Caio
perché sta sulle scatole. Perché si nutre odio personale, avversità che
sorpassa ogni codice etico di rispetto della dignità e del privato. Un
offuscamento visivo e intellettuale che impedisce di valutare con
obiettività quello che sta accadendo. S'insinua, si sospetta, si
presume. Si scava tra le lenzuola. Abbiamo odorato prediche del giorno
dopo a Palazzi, incitandolo a dire la verità perché le prove contro sono
tante: ma come facevano avere così tante informazioni questi soloni?
E
paradossalmente il caso Palazzi è affine a quello della sottosegretaria
Boschi alla quale si chiede impetuosamente di dimettersi e non
candidarsi alle prossime politiche.
Maledetto
il giorno che... dalle parti del Pd, lo stratega in capo, ha avuto
l'idea malsana di fare la commissione banche. Anche il più sprovveduto
avrebbe previsto che si sarebbe parlato solo di Etruria. E diciamolo
senza peli sulla lingua: Renzi e la Boschi hanno sbagliato strategia fin
dall'inizio. Avrebbero dovuto ammettere che si sono adoperati a salvare
banca Etruria come si sono adoperati a salvare le altre banche, con
l'unico obiettivo di salvare i correntisti, certo, ma anche gli
obbligazionisti e gli azionisti. Paradossale vero? La soluzione era
semplicissima. Cosa c'è di male in quello che avrebbero fatto. E che
nega con acrobazie lessicali? Ne sarebbero usciti anche alla grande. Col
plauso di quegli aretini, e zone limitrofe, risparmiatori incavolati,
che girovagano di piazza in piazza appena si presenta qualcuno del Pd.
Invece oggi sono sul banco degli imputati, Renzi e la Boschi per aver
fatto chissà quale maneggio. Nulla. Zero. Tentativi andati a vuoto.
Peccato. Sì, proprio peccato. Ci stava bene il carico da novanta,
l'ammissione di aver smosso chissà chi per evitare sfracelli di quella
banca. È insopportabile il gioco sulla difensiva. Iniettato di quel
politically correct che sta impastando ogni spicchio di vita quotidiana.
Alcuni giornali, vedi il Fatto Quotidiano, hanno titolato "Abbiamo un banda", parafrasando quel "abbiamo una banca" di Fassino,
nell'affaire Bnl e Unipol. Altri ancora ci sono andati giù pesante
definendo questo caso la pietra tombale della carriera di Renzi. Gli
stessi toni usati nel caso Palazzi a Mantova.
Trasportiamo
questo scenario durante gli anni del pentapartito, con una Dc obesa di
consensi e il Psi golden share di ogni coalizione. Se dovessimo
enumerare tutti i dialoghi, gli scambi, l'occupazione militare della
banche nazionali e locali, da parte di quei partiti, ci vorrebbe la
Treccani. Che deve fare un politico che occupa posizioni apicali?
Starsene negli uffici e vedere che un istituto di credito fallisce? Lo
diciamo alle anime belle di coloro che comunque hanno vissuto diverse
stagioni politiche e sanno che grazie alla politica il sistema bancario
italiano non ha subito le crisi di altri paesi. Solo quando l'attenzione
della politica è venuta meno, o si è voltata da un'altra parte, si sono
acuiti i disastri e le disavventure finanziarie.
Lo
dico a coloro che da mattina a sera ci fanno la lezione sui clienti
delle banche, cioè anche noi, buggerati dagli sportelli manigoldi: non è
una distinzione di lana caprina quella tra azionisti- obbligazionisti e
i correntisti. È chiarezza. Se si sa naturalmente cos'è e come funziona
una banca in un sistema di mercato. Se tu risparmiatore punti i
risparmi su azioni e obbligazioni lo fai a tuo rischio e pericolo. E non
puoi prendertela e chiedere soccorso allo Stato se cadi in malasorte.
Soprattutto nella vicenda dell'Etruria si è messo in piedi lo
spettacolino degli agnelli sacrificali per salvare papà Boschi. La
figlia, stando ai racconti di questi giorni non è stata un influencer di
prima classe. Anzi. Se ne stava quasi in disparte, per rispettare quel
protocollo che passa sotto la siglatura del conflitto di interessi.
Aveva certo il padre che ci lavorava all'Etruria, ma come deputato della
Repubblica e una dei politici più importanti, sarebbe stato peggio se
fosse stata a laccarsi le unghie disinteressandosene.
Ha fatto bene Renzi a ribadire che la Boschi va candidata.
Coraggiosa malgrado abbia un macigno sulle spalle e soprattutto non
abbia alcuna colpa se non quella di essere stata fin troppo prudente,
per le ragioni che abbiamo spiegato sopra. La Boschi va candidata perché
siamo dentro una grande fake news. Quel dare intendere fischi per
fiaschi. Confondere l'elettorato che ormai è intriso, da un lato di
fanfaluche raccontate ovunque, dai social ai giornali, e dall'altro di
perbenismo qualunquista che li condanna a essere, per forza maggiore, il
calimero nero della situazione. Maledetta sfortuna, allora?
Sarà
difficile far passare il messaggio sul perché la Boschi vada candidata,
ma ha su di sé il passo del riscatto, di quel paese che condanna senza
motivi, quello che è successo a Mantova insegna. Un paese che prende
volutamente fischi per fiaschi, giusto per avallare tesi e teorie che
non hanno né capo né coda. Come una fiction. O una telenovela.
Stupisce
che gli indignati abbiano messo fuori dall'uscio il cartello "chiuso
per ferie". Manca la solidarietà attorno alla Boschi, in primis del suo
partito dove ormai ha preso il sopravvento il sospetto. L'attesa di
liberarsi al più presto di Maria Elena e di Matteo. Diciamolo con
franchezza, andare in campagna elettorale con questo spirito non è il
massimo. Renzi candiderà la Boschi, entrambi non abbiano paura di dire
che hanno incontrato anche l'Altissimo per Etruria, come per le altre
banche o per le imprese in difficoltà: non c'è nulla di male. Chi vede
il danno non ha a cuore le sorti dei risparmiatori.
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