mercoledì 8 febbraio 2017

 

Michele ha scelto la morte, voi decidete di vivere


Il peggior regalo che potete fare alla memoria di Michele, il ragazzo friulano di 30 anni morto suicida la cui ultima lettera sta rimbalzando in queste ore sul web, è avallare quanto afferma.
Nelle righe che ha scritto, immagino poco prima di salutare questo mondo e mettersi alla ricerca di un altro che mi auguro per lui, non solo esista, ma sia migliore, c'è tutta l'inane frustrazione di quei trentenni illusi dall'ambiente in cui sono cresciuti che la vita fosse una roba facile, fosse una strada bianca punteggiata di sì e non un'arrampicata selvaggia attraverso i no.
C'è tutta la rabbia di chi si sente defraudato di quei diritti che ci hanno insegnato essere acquisiti e che in un mondo migliore sicuramente lo sarebbero, ma in questo no, non lo sono e non credo nemmeno che lo siano mai stati. Ci hanno insegnato che il lavoro è un diritto e per convincerci lo hanno pure appuntato sulla Costituzione, ma basta vivere un poco per comprendere che non è così.
Il lavoro è una fatica immonda di no sbattuti sul muso, di sportellate sui denti, di sorpassi da destra senza freccia, di assenza di regole e scarsissima giustizia. Fa schifo, ma è così e prima lo si capisce e prima ci si arma dell'indispensabile tenacia che mette tra le mani l'infinità di chiavi necessarie ad aprire la porta della vita. Non riconoscerlo, continuare a sostenere che questo mondo è orribile e noi ne siamo le vittime predispone a mille altri Michele che a 30 anni se ne vanno.
Io non voglio che ce ne siano altri, non lo voglio davvero. E non voglio che il messaggio disperato di questo ragazzo assurga a manifesto generazionale. Non può esserlo.
Non può essere che una lettera da cui trapela la sconfitta di un essere umano diventi la bibbia su cui decodificare la sua generazione. Che è vero: è una generazione che si fonda sulla precarietà. Niente posto fisso, malattia e ferie pagate. Si va a lavorare anche con 39 di febbre e, magari, non basta e quel lavoro lo perdi. Ma è una sola delle infinite possibilità che sono destinate a ogni vita. Una, non l'unica, la sola. Per ogni porta piantata in faccia ne esiste un'infinità che si può tentare di aprire. Tentare.
Perché vivere, è vero, non è un dovere. È un tentativo costante di far fronte a tutto nel migliore dei modi possibili. È una scelta: vado avanti o mi fermo? Michele si è fermato ha scelto di fermarsi. Ma la colpa non è del ministro Poletti, non è del lavoro che manca o dell'amore che latita. Non si tratta di distribuire colpe, ma di assumersi responsabilità. Michele è il solo responsabile della sua morte: avrebbe potuto vivere, ha scelto di non farlo. Quanto la sua sofferenza psichica, la rabbia furiosa che trasuda da ogni parola di quella lettera, siano state corresponsabili della sua scellerata decisione non posso saperlo.
So però che oggi, in Italia, nel mondo, ci sono migliaia di potenziali Michele indecisi se darsi un'altra possibilità o se chiudere tutto e andarsene via. Ed è a loro che mi rivolgo: restate qui. Perché esiste sempre un giorno migliore se gli date l'occasione di manifestarsi, se continuate a cercarlo.
Nessuna situazione, nemmeno la più terribile dura all'infinito. Soprattutto nessuna situazione è davvero fuori dal vostro controllo. Raddrizzate la schiena (non importa se è ricoperta dei lividi delle bastonate che avete preso, col tempo si riassorbiranno) e aprite gli occhi.
Teneteli aperti per osservare la strada che volete intraprendere e non credete che nessuna di quelle che vi si aprono davanti sia facile. Osservate la realtà per quella che è, a credere alle favole, si finisce per restare vittime. E voi, voi che state lottando e pensate di non avere più forze per vincere la vostra battaglia, non dovete essere vittime.
Michele ha scelto, fatelo anche voi, ma in direzione opposta. Scegliete di credere nella vostra vita, smettetela di distribuire colpe e assumetevi la responsabilità di ognuna delle cose che vi accadono, anche di quelle più spiacevoli. Cambiate la prospettiva della vostra esistenza, trasformatela da passiva in attiva.
Decidete di continuare a provare fino a quando non avrete raggiunto il risultato che vi siete prefissati e imparate a ringraziare per ogni singolo no, per ogni porta sbattuta, per ogni dente rotto. Perché finché potete farlo vuol dire che siete vivi e vivere è farsi male e andare avanti comunque con la fiducia nel bene.
Fate che Michele non sia morto per niente: che sia il monito di quello che non volete diventare. Perdere tutto vuol non vuol dire che tutto è finito, vuol dire che c'è un nuovo tutto da conquistare.

Nessun commento:

Posta un commento