sabato 4 febbraio 2017

IL MINESTRONE ROMANO di GIUSEPPE TURANI

Primo Piano
IL MINESTRONE ROMANO
Polizze da quattro soldi, veleni da comari nella città imperiale.
di GIUSEPPE TURANI | 04/02/2017
Va be’, abbiamo capito. Tutta la storia delle polizze, dell’abuso d’ufficio e del falso ideologico sono bufale. Romeo è un inguaribile sentimentale un po’ scemo, la Raggi una santa perseguitata dalla stampa cattiva e dai rettiliani (con l’aiuto delle sirene). La giunta di Roma continua a essere fatta da meravigliosi ragazzi, anche di oltre 70 anni, importati da Veneto e Liguria perché quelli locali erano troppo scemi per fare gli assessori. Ma sono cose che capitano, pagliuzze.
Rimane il fatto, però, che l’intera faccenda (non si arrabbi Grillo) sa di minestrone di fagioli. Il Romeo, capo della segreteria del sindaco, è in realtà un signore che andrebbe curato dalla più vicina Asl. Non è ricco, ma riempie il mondo grillino di polizze vita. E deve essere anche leggermente mitomane, visto che per parlare trascina la povera Raggi fin sui tetti del Campidoglio, salvo poi partecipare a una chat dove si dicono qualunque sciocchezza. Roba da tesi di laurea per un giovane psichiatra. Difficile, comunque, capire se il matto è lui, che fa tutte queste cretinate, o lei che lo sta a sentire e che lo promuove capo della segreteria del comune invece di chiamare il 118 e affidarlo a un paio di robusti infermieri.
Di illegale, dice la magistratura e ribadisce Travaglio, non c’è niente. Rimane però altro sul tappeto.
Rimane che a non funzionare qui è proprio il Movimento e i suoi criteri di selezione e di funzionamento. Intorno alla giunta, dentro i 5 stelle, si muove un verminaio di dame isteriche (tutte star della rete), che metà basterebbe. Fanno che circolano dossier contro i colleghi (forse ne hanno anche scritti), vanno in procura a deporre contro il sindaco e i suoi amici. Hanno sorelle che pubblicamente affermano di voler appendere Virginia per le orecchie.
Ci sono assessori che se ne vanno appena nominati, altri che resistono, ma allora è la magistratura che li porta via. Quelli scomparsi non vengono nemmeno più cercati. E’ come una compagnia di giro, dove mancano sempre gli attori, un po’ se li portano via i carabinieri della locale stazione, altri sono a donne invece che sul palcoscenico.
Su tutto questo, sempre più incazzato, il povero comico che deve lasciare i suoi lussi genovesi per precipitarsi a Roma a impartire un po’ di disciplina. Come un capocomico d’altri tempi, convoca tutti in albergo e dà ordini. Tutti, vergognosi, scappano dalla porta di servizio. I ragazzi dorati, Di Maio e Dibba, sembrano addirittura espatriati, nessuno li ha più visti. Di Maio forse è tornato a scuola, deciso a studiare i congiuntivi. Dibba, più avventuroso, potrebbe essersi rifugiato nel Paranà insieme alle scimmie urlatrici, che lo amano alla follia.
Lei, Virginia, la prima attrice, sgrana continuamente i suoi occhioni e sorride, qualunque cosa debba dire (forse ha capito male le istruzioni di Casalino) e comunque non dice niente: sono serena, andiamo avanti, abbiamo un grande progetto, faremo cose meravigliose, bello bello bellisssimoooo.
Intanto, frigoriferi e scaldabagni si accumulano per le strade, i topi ballano e i gabbiani volano felici su tutto quel ben di dio lasciato lungo le arterie della città una volta imperiale.
Il disegno della Roma grillina, se esiste, chissà dov’è. Forse l’aveva Grillo, ma nella sua furia l’ha perso alla stazione di Pisa.
Su tutto, quest’aria di miseria, da mensa dei poveri: 30 mila euro (mica un diamante) per la Raggi, ma solo in caso di morte: è il primo caso di corteggiatore d’oltretomba.
E poi dieci, cinque, due mila euro a tutti gli altri, roba da comprarci le scarpe per i più piccini a una rivendita di abiti usati.
Questa è Roma grillina, anno di grazia 2017.

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