03 dicembre 2016
Rolling Stones, uno strepitoso nuovo album che tramortisce
Blue And Lonesome è un testamento,
disco da ascoltare e paraculo: 12 tracce che sono le prove in studio
della band. Magia oscura di un blues lontano come il futuro. In attesa
degli inediti previsti per il 2017.
Ti tuffi nel fiume del blues, arrivi al delta stravolto, e hai 50
anni di meno, e hai 50 anni di più. Quante lune sono spuntate, quasi
soli tramontati? Quanti concerti, arresti, overdose, lutti, scandali,
amanti, avventure, dischi andati, insomma vita prima di giungere a
questo ritorno al futuro? Blue And Lonesome, che esce il 2
dicembre 2016, venticinquesimo capitolo dei Rolling Stones in studio, è
un disco da ascoltare: altrimenti non ci si capisce niente.
FIUME RIBOLLENTE DI EVOCAZIONI. Da ascoltare e basta, senza fare altro, senza aspettarsi altro. Allora si coglie la reimmersione degli Stones, pietre rotolanti in un fiume ribollente evocazioni. A questo punto della loro carriera e della loro vita, i Rolling Stones sono troppo in là - con l'età, col successo, con l'esperienza, con tutto di tutto - per costringersi a una lettura più o meno calligrafica; non lo facevano da ventenni, quando trasformavano la consapevolezza nera dei bluesmen di mezza età in scintillanti, strane, minacciose perle nere di pop-rock-blues per ragazzini urlanti; non possono farlo adesso, totemici come sono, feticci di loro stessi come sono. Possono solo fare quelli che sono, i Rolling Stones, la rock band per antonomasia, il non plus ultra che suona il blues.
FIUME RIBOLLENTE DI EVOCAZIONI. Da ascoltare e basta, senza fare altro, senza aspettarsi altro. Allora si coglie la reimmersione degli Stones, pietre rotolanti in un fiume ribollente evocazioni. A questo punto della loro carriera e della loro vita, i Rolling Stones sono troppo in là - con l'età, col successo, con l'esperienza, con tutto di tutto - per costringersi a una lettura più o meno calligrafica; non lo facevano da ventenni, quando trasformavano la consapevolezza nera dei bluesmen di mezza età in scintillanti, strane, minacciose perle nere di pop-rock-blues per ragazzini urlanti; non possono farlo adesso, totemici come sono, feticci di loro stessi come sono. Possono solo fare quelli che sono, i Rolling Stones, la rock band per antonomasia, il non plus ultra che suona il blues.
Gli diamo questi, si saranno detti. E così l'atteso nuovo album alla rincorsa delle origini altro non è che un espediente
Un disco inaspettato da cinque decenni, da quando si allontanarono
dalle sponde del blues radicale per intraprendere la loro navigazione: è
da Between The Buttons, più o meno, che vengono accusati di
aver tradito la causa, di essersi votati al rock and roll e al mercato
sacrificando la purezza. Discorsi a pera; in ogni modo ci siamo: Blue And Lonesome
è una paraculata di gran lusso, che all'inizio aveva fatto preoccupare
la platea planetaria dei Rolling Stones per l'esatto motivo per il quale
era stato tanto rimpianto: e chi li regge tre quarti d'ora di blues
tradizionale?
DISPERAZIONE E LAMPO DI GENIO. Disco paraculo perché uscito dal lampo di genio della disperazione: in studio per cercare qualcosa di nuovo, dopo 11 anni di latitanza, non hanno trovato niente di apprezzabile e si sono risolti a pubblicare le prove, quegli scioglidita che da sempre sbozzano quando si ritrovano, tanto per sgranchirsi, scuotersi la ruggine di dosso e ritrovare intesa. «Gli diamo questi», si saranno detti. E così l'atteso nuovo album alla rincorsa delle origini altro non è che un espediente, registrato in tre giorni al British Grove Studios di Mark Knopfler, dopo una partenza stentata, «perché lo studio», dice Keith Richards, «ci era nemico». Con la scintilla di suono che infine scocca quasi per dispetto, con Jagger che, finito un brano, sbraita «un altro, un altro, un altro» e Ron Wood che a furia di darci dentro si vedeva sanguinare le dita.
DISPERAZIONE E LAMPO DI GENIO. Disco paraculo perché uscito dal lampo di genio della disperazione: in studio per cercare qualcosa di nuovo, dopo 11 anni di latitanza, non hanno trovato niente di apprezzabile e si sono risolti a pubblicare le prove, quegli scioglidita che da sempre sbozzano quando si ritrovano, tanto per sgranchirsi, scuotersi la ruggine di dosso e ritrovare intesa. «Gli diamo questi», si saranno detti. E così l'atteso nuovo album alla rincorsa delle origini altro non è che un espediente, registrato in tre giorni al British Grove Studios di Mark Knopfler, dopo una partenza stentata, «perché lo studio», dice Keith Richards, «ci era nemico». Con la scintilla di suono che infine scocca quasi per dispetto, con Jagger che, finito un brano, sbraita «un altro, un altro, un altro» e Ron Wood che a furia di darci dentro si vedeva sanguinare le dita.
I 12 episodi sono proprio come loro: eleganti e straccioni, precari e precisi, rozzi e raffinati
Debbono averci preso gusto, debbono essersi sentiti quelli degli
inizi o di sempre, chissà, sta di fatto che i 12 episodi sono riusciti a
immagine e somiglianza di chi li esegue: eleganti e straccioni, precari
e precisi, rozzi e raffinati. L'ideale per prendere fiato prima del
disco di inediti, che per forza o per amore (per contratto) dovrà
arrivare nel 2017. Volevano buttarli fuori insieme: i discografici hanno
storto il naso, e Jagger ha capito. È partita una colossale campagna
volta a incensare questa raccolta che poteva addormentare e invece
tramortisce: una volta tanto pubblicità fa rima con verità.
DISCO DA ASCOLTARE IN CUFFIA. Ma cosa è successo? Senti Keith, le sue dita sembrano essergli guarite di colpo dall'artrtite. Senti l'intreccio delle chitarre, e la voce di Mick che non ha perso un'oncia di potenza, come se tutto quello che c'è stato fra il primo blues e l'ultimo fosse solo una immane parentesi. Un disco da ascoltare in cuffia per non perdere niente della magia oscura di questi quattro vecchi che si ritrovano a sciogliere la loro eterna devozione; un lavoro che la critica intesta a Mick, alla sua ugola e alla sua armonica, quasi a volerlo risarcire dopo averlo definito a oltranza ondivago, cascherino, troppo sensibile alle sirene della modernità, troppo poco devoto alla causa. In realtà questo è un disco dei Rolling Stones, punto. Jagger è veramente bravo, convinto e dedito come non mai, ma è l'inconfondibile impasto che sta sotto a consacrare l'intera faccenda.
DISCO DA ASCOLTARE IN CUFFIA. Ma cosa è successo? Senti Keith, le sue dita sembrano essergli guarite di colpo dall'artrtite. Senti l'intreccio delle chitarre, e la voce di Mick che non ha perso un'oncia di potenza, come se tutto quello che c'è stato fra il primo blues e l'ultimo fosse solo una immane parentesi. Un disco da ascoltare in cuffia per non perdere niente della magia oscura di questi quattro vecchi che si ritrovano a sciogliere la loro eterna devozione; un lavoro che la critica intesta a Mick, alla sua ugola e alla sua armonica, quasi a volerlo risarcire dopo averlo definito a oltranza ondivago, cascherino, troppo sensibile alle sirene della modernità, troppo poco devoto alla causa. In realtà questo è un disco dei Rolling Stones, punto. Jagger è veramente bravo, convinto e dedito come non mai, ma è l'inconfondibile impasto che sta sotto a consacrare l'intera faccenda.
Non sono propriamente standard e non c'è la rigorosa, rigida riscoperta delle origini. Niente Leadbelly o Confessin' the Blues
qui. Le tracce sono relativamente recenti e il filo conduttore è
rappresentato da Little Walter, al secolo Marion Walter Jacobs, figura
avventurosa e tragica, morto consumato dall'alcool a 37 anni dopo una
zuffa di strada. Da sempre amato dai ragazzi, che nel '64 rifacevano la
sua Off the Wall chiamandola Off the Hook, fu
interprete sensibilissimo dell'armonica, il che consente a Jagger, che
la riceve come un testimone, di sublimarsi nello strumento di cui è
virtuoso.
L'ARMONICA PIANGE, LA PELLE SI ALZA. Just your fool (1960), secca, dura come un diamante, apre il disco, che continua con una tesa, minacciosa Commit a Crime (1966), da Howlin' Wolf e Chester Burnett; poi si torna a Litte Walter. con l'eponima Blue And Lonesome (1959), sofferta, le chitarre lancinanti e l'armonica che piange (e la pelle si alza); All of Your Love (scritta nel 1967 da Magic Sam e Samuel Maghett) ha inserti di piano a lambire il jazz e rallenta le pulsazioni per un gioco di rimandi implacabile ed elegante tra Wood e Richards, che piazza un assolo, anch'esso jazzato, un po' sul genere di quello per Oh Lord, Drop That Atomic Bomb On Me, suonato nel 1990 nell'album-tributo a Charlie Mingus, a cura di Charlie Watts.
L'ARMONICA PIANGE, LA PELLE SI ALZA. Just your fool (1960), secca, dura come un diamante, apre il disco, che continua con una tesa, minacciosa Commit a Crime (1966), da Howlin' Wolf e Chester Burnett; poi si torna a Litte Walter. con l'eponima Blue And Lonesome (1959), sofferta, le chitarre lancinanti e l'armonica che piange (e la pelle si alza); All of Your Love (scritta nel 1967 da Magic Sam e Samuel Maghett) ha inserti di piano a lambire il jazz e rallenta le pulsazioni per un gioco di rimandi implacabile ed elegante tra Wood e Richards, che piazza un assolo, anch'esso jazzato, un po' sul genere di quello per Oh Lord, Drop That Atomic Bomb On Me, suonato nel 1990 nell'album-tributo a Charlie Mingus, a cura di Charlie Watts.
Mick accentua la foga, Eric Clapton (che passava di lì) si produce in un assolo di sontuosa ortodossia
Sempre di Little Walter, I Gotta Go (1955) vede Charlie
swingare, con Richards nel canale destro a stabilire il tempo sugli
accordi e Wood nel sinistro a tessere il riff mentre Jagger sfoggia la
sua armonica più scintillante; Everybody Knows About My Good Thing, incisa
nel 1971 - con il gruppo al suo apice - da Little Johnny Taylor per la
composizione di Miles Grayson e Lemont Horton, testimonia della
enciclopedica conoscenza dei Rolling Stones, che in studio, per
riscaldarsi, vanno a pescare roba pazzesca; Mick accentua la foga, Eric
Clapton (che passava di lì) si produce in un assolo di sontuosa
ortodossia, Richards e Wood lo supportano.
LA CONSAPEVOLEZZA DEI 70 ANNI. Ride 'Em Down viene da Eddie Taylor, che la scrisse 61 anni fa, ma potrebbe benissimo essere scambiata per uno dei tanti blues originali prodotti dalla band nella loro carriera; qui è Wood a prodursi in un dinamico solo sulle corde alte, contrappuntato da Keith, il tutto nella consapevolezza dei 70 anni, quando si sa cosa togliere, cosa asciugare. Hate To See You Go, altra stilla firmata Litte Walter (1955), è stata scelta come singolo, se così si può dire, con tanto di video che alterna immagini di musicisti in studio con altre prese dalla strada; ed è, infatti, un blues stradaiolo, che acquista una cifra minimale e minacciosa prima di chiudersi nella scia dell'armonica di Jagger.
LA CONSAPEVOLEZZA DEI 70 ANNI. Ride 'Em Down viene da Eddie Taylor, che la scrisse 61 anni fa, ma potrebbe benissimo essere scambiata per uno dei tanti blues originali prodotti dalla band nella loro carriera; qui è Wood a prodursi in un dinamico solo sulle corde alte, contrappuntato da Keith, il tutto nella consapevolezza dei 70 anni, quando si sa cosa togliere, cosa asciugare. Hate To See You Go, altra stilla firmata Litte Walter (1955), è stata scelta come singolo, se così si può dire, con tanto di video che alterna immagini di musicisti in studio con altre prese dalla strada; ed è, infatti, un blues stradaiolo, che acquista una cifra minimale e minacciosa prima di chiudersi nella scia dell'armonica di Jagger.
Hoodoo Blues, scritta da Jerry West e Otis Hicks, alias da
Ligthin' Slim, il quale la incise nel 1958, vive sulle cadenze pesanti -
quasi da stomp - di Charlie Watts, con la voce di Jagger che sembra
perdersi nella tessitura delle chitarre, martellanti e cattive; Little Rain,
eseguita nel 1957 da Jimmy Reed, che anche la firmava con Ewart G.
Abner, è forse il momento più autentico e felice di un disco
destabilizzante: chitarre come campane a morto, l'armonica come una
sirena in una notte scarnificata, che pare non passare mai, dove la luce
gialla di un lampione si perde nel canto perduto di una voce sconfitta.
È strepitosa perché qui c'è la vera lezione del blues: dire tutto nella
più tragica essenzialità.
UN CLAPTON CAPITATO PER CASO. Just Like I Treat You (scritta da Willie Dixon e interpretata da Howlin' Wolf nel 1961) è sbarazzina, sembra riportare dritta alle prime sessioni di quei ragazzini acerbi ma già decisi, tra il 1964 e il 1965, al Regent di Londra oppure ai Chess Studios di Chicago. Si chiude con I Can't Quit You, ancora Willie Dixon, stavolta per Otis Rush nel 1956, e ancora mastro Clapton la cui sinuosa chitarra sembra sfidare la voce di Jagger che si imbizzarrisce e si sbizzarrisce senza limiti (a 73 anni!), in un dialogo imperdibile. Clapton, che si era affacciato sorpreso, alle prese con sue proprie registrazioni nella sala accanto, e istintivamente aveva preso su una chitarra, Clapton che 40 anni fa doveva entrare nei Rolling Stones ma non poteva «perché, amore, tu ci devi vivere con questi qua, e, anche se sei un chitarrista migliore di me, non ce l'avresti mai fatta», gli spiegò un giorno Ronnie Wood. Però non era solo questo. Era che Ron era l'uomo giusto per sostituire Brian Jones nell'antica trama di chitarre, che loro chiamano "waving" e che Keith vede come «un uomo con quattro braccia». E così Eric può suonare negli Stones solo non facendone parte, un po' come il tenero, sensibile, fragile Mick Taylor «che era sempre così pacato che mi faceva venire voglia di mettergli un petardo sotto al culo». Poteva durare, con Keith che voleva dargli fuoco?
UN CLAPTON CAPITATO PER CASO. Just Like I Treat You (scritta da Willie Dixon e interpretata da Howlin' Wolf nel 1961) è sbarazzina, sembra riportare dritta alle prime sessioni di quei ragazzini acerbi ma già decisi, tra il 1964 e il 1965, al Regent di Londra oppure ai Chess Studios di Chicago. Si chiude con I Can't Quit You, ancora Willie Dixon, stavolta per Otis Rush nel 1956, e ancora mastro Clapton la cui sinuosa chitarra sembra sfidare la voce di Jagger che si imbizzarrisce e si sbizzarrisce senza limiti (a 73 anni!), in un dialogo imperdibile. Clapton, che si era affacciato sorpreso, alle prese con sue proprie registrazioni nella sala accanto, e istintivamente aveva preso su una chitarra, Clapton che 40 anni fa doveva entrare nei Rolling Stones ma non poteva «perché, amore, tu ci devi vivere con questi qua, e, anche se sei un chitarrista migliore di me, non ce l'avresti mai fatta», gli spiegò un giorno Ronnie Wood. Però non era solo questo. Era che Ron era l'uomo giusto per sostituire Brian Jones nell'antica trama di chitarre, che loro chiamano "waving" e che Keith vede come «un uomo con quattro braccia». E così Eric può suonare negli Stones solo non facendone parte, un po' come il tenero, sensibile, fragile Mick Taylor «che era sempre così pacato che mi faceva venire voglia di mettergli un petardo sotto al culo». Poteva durare, con Keith che voleva dargli fuoco?
Questo disco è come un testamento, ed è arrivato con gli Stones più vivi che mai
Ma questo era ieri. Tanti ieri fa. Oggi c'è un passato al quale è
stato tolto il tempo, 12 blues lontani come il futuro, perché tutto
rifluisce nelle cascate blu dei Rolling Stones. È come un testamento, ed
è arrivato con gli Stones più vivi che mai. In questo definitivo
ritrovarsi manca Ian Stewart, la ferita che sanguina di più, manca, ed è
una ingiustizia, Bill Wyman che con Charlie creò una sezione ritmica
unica e spettacolare, e il fantasma inquieto di Brian Jones è lì che
aleggia, scuote il caschetto di capelli biondi, imbraccia la slide come
quando si faceva chiamare Elmo Lewis.
CHE SENSAZIONE LANCINANTE. Chissà se ormai li ha perdonati, se sorride nel vapore della stanza, mentre batte come un cuore il tamburo di Charlie e le chitarre scavano, una stilettata per ogni ruga, una morte per una vita. Mick canta come se fosse la sua ultima volta. Questi vecchi cani vagabondi debbono seguire l'arcano richiamo, tornare alla cuccia dove tutto cominciò. Che sensazione lancinante, sentirli "confessare il blues" ancora dopo mezzo secolo. Ma cosa è il blues, se non l'ultima volta di ogni cosa?
CHE SENSAZIONE LANCINANTE. Chissà se ormai li ha perdonati, se sorride nel vapore della stanza, mentre batte come un cuore il tamburo di Charlie e le chitarre scavano, una stilettata per ogni ruga, una morte per una vita. Mick canta come se fosse la sua ultima volta. Questi vecchi cani vagabondi debbono seguire l'arcano richiamo, tornare alla cuccia dove tutto cominciò. Che sensazione lancinante, sentirli "confessare il blues" ancora dopo mezzo secolo. Ma cosa è il blues, se non l'ultima volta di ogni cosa?
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