Parlando di emozioni e poesia tra le mura di un
carcere.
Diario di una mia personale e gratificante
esperienza con alcuni detenuti del carcere di Treviso.
Quando ho accettato di spiegare cosa significano
per me, poesia e emozioni, sapevo che sicuramente non sarebbe stato come le
altre due volte che l’avevo fatto presso l’Università popolare di Camponogara,
dove mi trovavo di fronte a persone che avevano fatto una loro precisa scelta
di studio, seguendo i corsi di scrittura creativa dell’amica Sabrina Donò; non
avevo praticamente nessun parametro di riferimento anzi ero un po’ emozionato e
in ansia temendo di fare brutta figura o peggio, di affrontare persone ormai
segnate e indifferenti a quello che volevo spiegare, felici solo di poter
passare un’ora diversa, fuori dalla cella di ordinanza. Grande quindi è stata
la mia sorpresa nel trovarmi di fronte a persone normali, fermo restante il
motivo per cui si trovavano in quel posto e attente a ogni mia parola, pronte a
confrontarsi con me sull’argomento con molta curiosità.
Ho parlato e mi sono relazionato, con due classi
distinte che magari a un profano, come ero io all’inizio, sembravano
fantascienza, ovvero i detenuti del “penale”, quelli cioè che scontano una
condanna ormai definita e che aspettano solo il fine pena e quelli del
“giudiziario” ovvero in attesa di processo di primo o altro grado. La lezione
durava un’ora e un quarto circa, in due diverse sezioni del carcere con gli
spostamenti allucinanti tra porte col catenaccio che si aprivano e chiudevano
con rumore infernale e sguardi diffidenti da parte dei secondini. Il primo
giovedì ho dovuto smussare la naturale diffidenza di questi scolari, visto che
anche per loro, a parte l’insegnamento della prof. di letteratura che svolgeva
il suo compito tutti i giorni all’interno del carcere, io ero solo una mosca
bianca, chiaramente non inserita nel sistema. Dopo aver letto alcune mie poesie
e aver distribuito alcuni libri che avrebbero potuto leggere con calma in
seguito, qualcuno ha iniziato a sciogliere la lingua, chiedendomi le cose più
umanamente naturali e che con la poesia poco avevano a che fare: ma lei perché
scrive? E come fa a trovare le parole per farlo? E quanto costa stampare un
libro? Insomma c’era molta curiosità e, pur non essendo entrati pienamente nel
merito del mio essere tra di loro, mi rendevo conto che stavo guadagnandomi la
loro fiducia, forse perché di natura sono molto aperto o forse perché non sono
salito in cattedra per fare lezione considerandoli gente inferiore. Ci sono
state delle differenze sostanziali tra le due classi, ovvero tra il penale,
dove le persone ormai dentro da anni, si sono create una filosofia di vita
tutta personale, quindi con maggiore disponibilità al dialogo con un estraneo e
il giudiziario dove per la maggior parte sono extra-comunitari che approfittano
dell’incombenza carceraria per studiare e, di sicuro molto più “effervescenti”
dei primi; magari con un po’ di più fatica ma sono arrivati anche loro a
sviluppare una certa forma di interesse; parlo del primo giovedì 9 Aprile. La
settimana successiva le cose sono cambiate profondamente, nel penale, mancavano
solo un paio di persone, bisogna anche tenere conto che ci sono i colloqui e
che è sempre più piacevole vedere una persona cara che uno sconosciuto, nel
giudiziario le iniziali 16 persone si erano ridotte a una decina ma molto
agguerrite. Nella prima classe, c’è stato un fiume di domande su parecchie
poesie del mio libro, chiedendomi spiegazioni su quello che volevo dire,
spiegandomi qual’era stata l’interpretazione che loro ne avevano dato e
qual’era il senso della poesia stessa. Eccezionale, niente da dire il tempo è
volato via e alla fine c’è stato molto rammarico che sia finito tutto così in
fretta. Stessa cosa nell’altra sezione, dove sono arrivati anche poeti in erba
che mi hanno fatto leggere quello che avevano scritto chiedendomi un parere e
che hanno decifrato le mie poesie, dandomi la soddisfazione di avere capito il
senso della mia realtà spesso cruda e mai tenera. Che dire l’avere concluso il
tutto in due lezioni è dispiaciuto anche a me, mai avrei pensato di trovare un
auditorium così attento e desideroso di capire; sono riusciti a strapparmi una
promessa, vale a dire che, se non ci sono intoppi burocratici, a fine maggio
faccio un’altra lezione e che tassativamente devo essere presente per la festa
di fine anno scolastico a giugno.
Mio malgrado ho dovuto ricredermi, l’essere privi
di libertà sotto ogni punto di vista, mi aveva fatto pensare a un mondo surreale e impossibile, invece, al
contrario il surreale era/è fuori. Nell’ultima giornata mi sono permesso di
“regalare loro” un piccolo scritto, magari, se lo conservano, può essere un
buon ricordo di quanto fatto in quei due giorni e nei prossimi che spero
vivamente ci possano essere ancora.
Ai miei nuovi amici
Quando l’amica Sabrina, vostra insegnante, mi ha
proposto di
affiancarla nell’esplorazione del mondo della
poesia e delle sue emozioni, ho accettato con entusiasmo, senza pormi
particolari problemi sul dove e con chi avrei dovuto parlare.
Confesso che all’inizio c’era un po’ di
apprensione, essendo alla mia prima esperienza in merito ma la mia innata
fiducia nel genere umano ha fugato i miei dubbi, confermandomi che siete delle persone normali ed estremamente
sensibili.
L’essere chiusi a chiave senza possibilità di
esprimere la propria libertà è senza dubbio una cosa atroce; avere la voglia di
dare un significato culturale anche se transitorio alle lunghe ore che
scandiscono le vostre giornate, vi riscatta dagli errori commessi nel passato.
Questi due incontri che ho avuto con voi, sono
stati per me molto importanti; come avrete capito, non sono un professore che è
salito in cattedra per darvi una lezione, al contrario, la lezione l’ho
imparata io. Nei vostri occhi non ho letto la rassegnazione di chi accetta
tutto pur di passare un’ora insolita, tanto per ingannare il tempo ma la
curiosità e la voglia di capire e scoprire qualcosa di nuovo e di diverso.
Se penso alle tante volte che ho parlato di fronte
a una platea di gente disattenta, maleducata che faceva capire di essere seduta
davanti a me solo per circostanza, noia o perché fuori faceva brutto tempo,
battendo le mani a comando anche quando non serviva…
Mi permetto di trascrivere la nota introduttiva
che ho scritto nelle prime pagine del mio secondo libro: “Luigia e altre storie”;
è stato un libro molto sofferto, con il
quale ho cercato di dare un senso alle tante difficoltà e miserie che avevano
attraversato la mia vita, negli anni passati.
Spero che queste poche parole possano servire
anche a voi con l’augurio che quanto vi è successo, sia stato solo un lampo
incontrollato, destinato a scomparire nel tempo, una malattia passeggera, una
breve influenza dalla quale siete guariti per sempre.
“Nella vita ognuno è responsabile delle proprie
scelte, siano esse fatte in buona o cattiva fede.
A volte i nostri errori sono ostinati, colmi di
cieca sicurezza ma per quanto possa essere cambiata nel tempo la nostra
condizione, anch’essa è stata voluta.
Non c’è arroganza in chi ha scelto di non lavare
le sue colpe con lacrime ipocrite, trovandosi, per contro, di fronte chi nel
peccatore e nel diverso ha trovato attrazione e soddisfazione, pensando di cancellare
le orme di fango lasciate alle sue spalle.
Per quanto paradossale possa essere, l’espiazione,
se voluta, nobilita chi il male ha commesso, condannando all’ipocrisia i
mediocri, quelli che battono le mani per ultimi e si gratificano umiliando chi
è già stato umiliato.
Scriveva un poeta a me particolarmente caro:
“…ogni giorno, senza orrore, scendiamo di un passo
verso l’inferno attraverso fetide tenebre. Simili a un dissoluto povero che
bacia e morde il seno martirizzato di una vecchia meretrice, noi rubiamo –
passando – un furtivo piacere che spremiamo con forza come una vecchia arancia…”
Charles Baudelaire
Con stima e amicizia
Francesco Danieletto
Treviso 16 Aprile 2015
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