sabato 18 aprile 2015

Parlando di emozioni e poesia tra le mura di un carcere.





Parlando di emozioni e poesia tra le mura di un carcere.

Diario di una mia personale e gratificante esperienza con alcuni detenuti del carcere di Treviso.

Quando ho accettato di spiegare cosa significano per me, poesia e emozioni, sapevo che sicuramente non sarebbe stato come le altre due volte che l’avevo fatto presso l’Università popolare di Camponogara, dove mi trovavo di fronte a persone che avevano fatto una loro precisa scelta di studio, seguendo i corsi di scrittura creativa dell’amica Sabrina Donò; non avevo praticamente nessun parametro di riferimento anzi ero un po’ emozionato e in ansia temendo di fare brutta figura o peggio, di affrontare persone ormai segnate e indifferenti a quello che volevo spiegare, felici solo di poter passare un’ora diversa, fuori dalla cella di ordinanza. Grande quindi è stata la mia sorpresa nel trovarmi di fronte a persone normali, fermo restante il motivo per cui si trovavano in quel posto e attente a ogni mia parola, pronte a confrontarsi con me sull’argomento con molta curiosità.
Ho parlato e mi sono relazionato, con due classi distinte che magari a un profano, come ero io all’inizio, sembravano fantascienza, ovvero i detenuti del “penale”, quelli cioè che scontano una condanna ormai definita e che aspettano solo il fine pena e quelli del “giudiziario” ovvero in attesa di processo di primo o altro grado. La lezione durava un’ora e un quarto circa, in due diverse sezioni del carcere con gli spostamenti allucinanti tra porte col catenaccio che si aprivano e chiudevano con rumore infernale e sguardi diffidenti da parte dei secondini. Il primo giovedì ho dovuto smussare la naturale diffidenza di questi scolari, visto che anche per loro, a parte l’insegnamento della prof. di letteratura che svolgeva il suo compito tutti i giorni all’interno del carcere, io ero solo una mosca bianca, chiaramente non inserita nel sistema. Dopo aver letto alcune mie poesie e aver distribuito alcuni libri che avrebbero potuto leggere con calma in seguito, qualcuno ha iniziato a sciogliere la lingua, chiedendomi le cose più umanamente naturali e che con la poesia poco avevano a che fare: ma lei perché scrive? E come fa a trovare le parole per farlo? E quanto costa stampare un libro? Insomma c’era molta curiosità e, pur non essendo entrati pienamente nel merito del mio essere tra di loro, mi rendevo conto che stavo guadagnandomi la loro fiducia, forse perché di natura sono molto aperto o forse perché non sono salito in cattedra per fare lezione considerandoli gente inferiore. Ci sono state delle differenze sostanziali tra le due classi, ovvero tra il penale, dove le persone ormai dentro da anni, si sono create una filosofia di vita tutta personale, quindi con maggiore disponibilità al dialogo con un estraneo e il giudiziario dove per la maggior parte sono extra-comunitari che approfittano dell’incombenza carceraria per studiare e, di sicuro molto più “effervescenti” dei primi; magari con un po’ di più fatica ma sono arrivati anche loro a sviluppare una certa forma di interesse; parlo del primo giovedì 9 Aprile. La settimana successiva le cose sono cambiate profondamente, nel penale, mancavano solo un paio di persone, bisogna anche tenere conto che ci sono i colloqui e che è sempre più piacevole vedere una persona cara che uno sconosciuto, nel giudiziario le iniziali 16 persone si erano ridotte a una decina ma molto agguerrite. Nella prima classe, c’è stato un fiume di domande su parecchie poesie del mio libro, chiedendomi spiegazioni su quello che volevo dire, spiegandomi qual’era stata l’interpretazione che loro ne avevano dato e qual’era il senso della poesia stessa. Eccezionale, niente da dire il tempo è volato via e alla fine c’è stato molto rammarico che sia finito tutto così in fretta. Stessa cosa nell’altra sezione, dove sono arrivati anche poeti in erba che mi hanno fatto leggere quello che avevano scritto chiedendomi un parere e che hanno decifrato le mie poesie, dandomi la soddisfazione di avere capito il senso della mia realtà spesso cruda e mai tenera. Che dire l’avere concluso il tutto in due lezioni è dispiaciuto anche a me, mai avrei pensato di trovare un auditorium così attento e desideroso di capire; sono riusciti a strapparmi una promessa, vale a dire che, se non ci sono intoppi burocratici, a fine maggio faccio un’altra lezione e che tassativamente devo essere presente per la festa di fine anno scolastico a giugno.
Mio malgrado ho dovuto ricredermi, l’essere privi di libertà sotto ogni punto di vista, mi aveva fatto pensare  a un mondo surreale e impossibile, invece, al contrario il surreale era/è fuori. Nell’ultima giornata mi sono permesso di “regalare loro” un piccolo scritto, magari, se lo conservano, può essere un buon ricordo di quanto fatto in quei due giorni e nei prossimi che spero vivamente ci possano essere ancora.  






Ai miei nuovi amici



Quando l’amica Sabrina, vostra insegnante, mi ha proposto di
affiancarla nell’esplorazione del mondo della poesia e delle sue emozioni, ho accettato con entusiasmo, senza pormi particolari problemi sul dove e con chi avrei dovuto parlare.
Confesso che all’inizio c’era un po’ di apprensione, essendo alla mia prima esperienza in merito ma la mia innata fiducia nel genere umano ha fugato i miei dubbi, confermandomi che  siete delle persone normali ed estremamente sensibili.
L’essere chiusi a chiave senza possibilità di esprimere la propria libertà è senza dubbio una cosa atroce; avere la voglia di dare un significato culturale anche se transitorio alle lunghe ore che scandiscono le vostre giornate, vi riscatta dagli errori commessi nel passato.
Questi due incontri che ho avuto con voi, sono stati per me molto importanti; come avrete capito, non sono un professore che è salito in cattedra per darvi una lezione, al contrario, la lezione l’ho imparata io. Nei vostri occhi non ho letto la rassegnazione di chi accetta tutto pur di passare un’ora insolita, tanto per ingannare il tempo ma la curiosità e la voglia di capire e scoprire qualcosa di nuovo e di diverso.
Se penso alle tante volte che ho parlato di fronte a una platea di gente disattenta, maleducata che faceva capire di essere seduta davanti a me solo per circostanza, noia o perché fuori faceva brutto tempo, battendo le mani a comando anche quando non serviva…
Mi permetto di trascrivere la nota introduttiva che ho scritto nelle prime pagine del mio secondo libro: “Luigia e altre storie”;  è stato un libro molto sofferto, con il quale ho cercato di dare un senso alle tante difficoltà e miserie che avevano attraversato la mia vita, negli anni passati.
Spero che queste poche parole possano servire anche a voi con l’augurio che quanto vi è successo, sia stato solo un lampo incontrollato, destinato a scomparire nel tempo, una malattia passeggera, una breve influenza dalla quale siete guariti per sempre.

“Nella vita ognuno è responsabile delle proprie scelte, siano esse fatte in buona o cattiva fede.
A volte i nostri errori sono ostinati, colmi di cieca sicurezza ma per quanto possa essere cambiata nel tempo la nostra condizione, anch’essa è stata voluta.
Non c’è arroganza in chi ha scelto di non lavare le sue colpe con lacrime ipocrite, trovandosi, per contro, di fronte chi nel peccatore e nel diverso ha trovato attrazione e soddisfazione, pensando di cancellare le orme di fango lasciate alle sue spalle.
Per quanto paradossale possa essere, l’espiazione, se voluta, nobilita chi il male ha commesso, condannando all’ipocrisia i mediocri, quelli che battono le mani per ultimi e si gratificano umiliando chi è già stato umiliato.
Scriveva un poeta a me particolarmente caro:

“…ogni giorno, senza orrore, scendiamo di un passo verso l’inferno attraverso fetide tenebre. Simili a un dissoluto povero che bacia e morde il seno martirizzato di una vecchia meretrice, noi rubiamo – passando – un furtivo piacere che spremiamo con forza come una vecchia arancia…”

Charles Baudelaire



Con stima e amicizia
Francesco Danieletto

         Treviso 16 Aprile 2015

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