lunedì 30 maggio 2011

Basta un giorno per cambiare, poche ore per non riconoscersi più nemmeno allo specchio, l'orgoglio sotto i piedi,camminare assieme a chi hai sempre umiliato.



Quel mattino la nebbia fitta avvolgeva ogni cosa, rendeva invisibili le case; la strada, trafficata di macchine, sembrava un fiume in piena, sporco di fango. Incrociai uno sbandato, vagabondo, barba lunga, giallastra, pochi denti, la mano aperta in cerca di qualche soldo o sigaretta. Gli occhi erano vivi, lo sguardo acuto, irriverente, il gelo sembrava avere incurvato la sua figura, anche se, lui, non se ne curava; camminava lentamente, l’incedere distaccato di chi si sente superiore, suscitando in me sentimenti di ridicola curiosità. Ma, ecco, che, fatti pochi passi, un altro lo seguiva, e poi un altro e un altro ancora, il sorriso  sempre più beffardo, la schiena sempre più china, come fossero partoriti tutti dalla stessa madre: mostri inafferrabili, liberi di circolare. Mi fermai a guardare una vetrina, non avrei sopportato di vederne ancora; osservai compiaciuto il mio aspetto elegante e curato  e mi chiesi cosa potevo temere. Camminando in mezzo a loro mi sentivo umiliato, confuso, quasi ubriaco; cercavo invano di chiedere spiegazioni a me stesso, ero svuotato, la mia anima ballava sopra le onde di un mare in tempesta.
Ridevano tutti: barboni, vecchiette con i vestiti laceri; mi trascinarono in mezzo a loro camminando per le strade come in una processione satanica.
Svanirono nella nebbia, a sera inoltrata, lasciandomi con i vestiti laceri, la barba
lunga, la mano tesa a chiedere l’elemosina.


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