Salvini scopre l'antimafia il 25 aprile
Stefano Montesi -
Corbis via Getty Images
Una normale dialettica fra alleati, pur con orizzonti politico-culturali
diversi, sembra per il nostro Paese un lusso. Dai sotterfugi - come le kafkiane
"approvazioni salvo intese" o le magiche "clausole di
dissolvenza" - si è passati alla rissa furiosa, come dimostrano le cronache sul "Salva
Roma" e sul "caso Siri/Arata".
Senza pretesa di
affrontare il merito specifico di quest'ultimo caso (se non altro perché
l'inchiesta è appena iniziata), è evidente che esso ripropone - sul piano
generale e astratto - l'eterno problema dei rapporti fra mafia, politica,
economia. Eterno perché esiste da sempre, da quando la mafia ci appesta. Nel
senso che la mafia non è solo attività gangsteristico-predatoria. Non è solo
droga, rifiuti tossici, gioco d'azzardo, contraffazioni, appalti truccati e
quant'altro concorre a un vero e proprio saccheggio globale. Strutturalmente è
anche "relazioni esterne" con pezzi - appunto - della politica e
dell'economia. La "zona grigia" che garantisce alla mafia complicità
e coperture, mediante favori scambiati e reciproco sostegno. La spina dorsale
del potere mafioso. Perciò una realtà oscena, anche nel senso che va tenuta
"fuori scena", rigorosamente nascosta, ma innegabile.
Il "fuori
scena" è favorito dalla scaltrezza (viltà?) di quanti si riempiono la
bocca con la pericolosità delle relazioni esterne finché si rimane sul piano
teorico. Per poi trincerarsi dietro timidezze d'ogni tipo quando si passa al
piano concreto dell'effettiva individuazione di tali rapporti. Le scaltrezze
dei casi singoli sfociano poi nel tentativo di negare in generale l'esistenza
stessa di rapporti mafia-politica-economia. Una rilettura surreale il cui
leit-motiv è una sorta di "riduzionismo/negazionismo" di tali
rapporti, che sarebbero in pratica inventati da indagini "creative",
quindi inquinate e inattendibili. In ogni caso si tratterebbe di isolate
vicende locali, prive di respiro idoneo a farne una componente della storia
nazionale. Per contro, la tesi riduzionista/negazionista è totalmente smentita
dall'imponente materiale probatorio emerso dai processi (Andreotti e Dell'Utri
per tutti) e dalle indagini storico-fattuali dei ricercatori più qualificati.
Dunque, la mafia è
questione nazionale: avvelena il sistema e corrode la democrazia. Ciò significa
che per contrastarla efficacemente occorrono unità d'intenti e concordia
d'azione. L'esatto contrario di quel che succede se, di fatto, si
strumentalizza l'antimafia in funzione divisiva, organizzando a Corleone una
iniziativa per disertare le manifestazioni del 25 aprile.
Dimenticando che fare
memoria della Liberazione significa ricordare che essa ci ha
"regalato" la Costituzione: un progetto di Stato da vivere non come
espressione degli interessi di qualcuno ma come garante dei diritti di tutti.
Un patrimonio comune minacciato dalla tentazione di tornare a un vecchio
modello, in base al quale lo status e le libertà dei cittadini (compresi gli
immigrati onesti) dipendono non dalle regole, ma dai rapporti di forza.
Infine, una riflessione sulla scelta del
ministro Salvini di manifestare a Corleone. In quanto storico simbolo di Cosa
Nostra va ancora bene. Ma viste le radicali trasformazioni della nuova mafia,
ormai 3.0, viene da chiedersi (paradossalmente, ma neanche troppo) se non
sarebbe meglio una qualche "piazza" dedicata a operazioni finanziarie
internazionali...
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