Tempo di battezzare una nuova categoria
della politica: il Salvinismo, cioè il metodo con cui Matteo S. sblocca
le situazioni a suo favore. Un misto di forzatura, calcolo,
imprevedibilità e azzardo – che ne ha fatto il protagonista di questo
primo round post elettorale, la elezione dei Presidenti di Senato e
Camera.
Il metodo, dunque.
Salvini si è trovato
spinto dai risultati delle urne elettorali nella posizione scomoda che
conosciamo: essere il primo partito, con il 18 per cento, in una
coalizione del 37 per cento, ancora dominata dal prestigio e dalla
macchina politico economica di Silvio Berlusconi, leader in calo di
consensi, di freschezza anagrafica, ma non di ambizioni. Posizione quasi
insostenibile - rimanere potrebbe significare essere messo a balia da
Silvio, uscire significherebbe diventare il leader di un partito del 18
per cento, con unica possibilità quella di diventare partner di un
Cinque Stelle con il 33.
Il
Cavaliere, e il suo apparato, in queste prime due settimane dopo il
voto, non hanno mancato di far sentire il proprio peso, ricordando la
forza di Silvio, i suoi poteri. Richiamandolo insomma alla realtà. E
proponendogli lo scambio fra il ruolo (al di là da venire) di
rappresentante del centrodestra alle consultazioni (con un occhio
all'incarico per formare il governo) e la Presidenza del Senato a un
uomo di strettissima fiducia di Silvio, Paolo Romani, molto sgradito ai
cinque stelle. Insomma lo scambio fra una leadership futura e l'oggi di
una nomina, quella di Romani, sgradita ai Cinque Stelle, potenziali
alleati di Salvini.
Un incrocio che solo 48 ore sembrava aver reso ancora più scomoda la posizione del leader leghista.
E qui rientriamo sul metodo Salvini.
Nelle categorie
tradizionale della politica esiste la regola per cui la leadership di
un'area politica, dopo un voto, la si consolida, stabilisci contatti,
apri discussioni, proponi alleanze e piani. Entri insomma dentro le
dinamiche di questa area, e provi a stabilizzarle a tuo favore.
Salvini
invece ha fatto il contrario: ne è uscito fuori. Con dichiarazioni
pubbliche ha ribaltato lo schema, rifiutando Romani, così da dare
soddisfazione alle richieste M5s (e ottenerne i voti), e dando conto
alla pubblica opinione di quello che faceva, con un indovinato refrain
politico di fedeltà al centrodestra "Noi non chiediamo poltrone per noi:
stiamo solo mettendo alla prova il M5S, che fin qui ha rifiutato
Romani, e lavorando a raggiungere l'obiettivo che Berlusconi vuole, la
presidenza del Senato a uno dei suoi". Una sorta di "disobbedire
obbedendo", o viceversa.
Ci
sono voluti, ovviamente, più passaggi per portare al termine
l'operazione sui nomi finali ma l'operazione ha mantenuto il metodo:
tutto in chiaro sotto le luci delle Tv e davanti ai taccuini dei
giornalisti.
Che
è, poi, il metodo praticato da Matteo fin dalla sua entrata in scena:
rivolgersi, nel corso di una campagna politica permanente, al voto di
opinione, predicare cioè al "fuori" della politica, riversando poi il
peso di questo voto di opinione sul "dentro" del circuito politico.
Infatti,
anche questa volta, dopo l'apertura delle urne è ripartito per una coda
di tour elettorale, invece di sedersi a tavoli, o caminetti. Facendo
montare il suo consenso pubblico, allargando il suo perimetro a vere e
proprie trattative con i pentastellati mentre Silvio Berlusconi li
attaccava. E quando gli accordi su chi votare alle presidenze si sono
avviati, li ha virtualmente condotti tutti fuori dalle mura di Palazzo
Grazioli.
Il
risultato finale ha un doppio e forse triplo segno per tutti i
protagonisti: Forza Italia ha avuto al Senato, come aveva chiesto, una
berlusconiana di ferro, ma il Cavaliere ha subito un bel taglio di
unghie. I Pentastellati, come volevano, hanno ottenuto la cancellazione
di Romani e alla Camera hanno eletto Fico. Ma le prove d'amore di
Salvini hanno avuto il caro prezzo di ridurli al traino di quel che
succedeva dentro il centrodestra. Una sminuizione di ruolo.
Ovviamente,
come sempre in politica, nel risultato finale c'è da valutare che
prezzo futuro avrà per Salvini la disponibilità dei Pentastellati a
seguirlo; e, va presa in considerazione la possibilità che Silvio
Berlusconi più che ridimensionato, sia stato complice del percorso.
Qualunque
sia il retroscena, oggi il leader leghista può dire di aver guadagnato
per sè e per la sua coalizione la posizione migliore per l'incarico al
centrodestra, quando inizieranno le consultazioni.
Dimostrando,
anche, che il centro destra è oggi l'area, e l'arena dentro cui si
stanno decidendo i giochi. che la partita delle leadership tra Lega e
Forza Italia è il motore che può sbloccare una situazione di governo,
per ora inchiodata. E, infine, che il cosiddetto metodo Salvini altro
non è che la differenza tra il populismo e la politica.