….“Hai ragione quando dici che prima o poi si sente il bisogno
di sfogarsi, di parlare, solo che finora non ho mai trovato
la forza per farlo e soprattutto nessuno a cui rivolgermi. Quello
che mi è successo anni fa avrebbe dovuto essere già dimenti-
cato, avrei dovuto avere la forza di tornare a vivere ma in che
modo e che vita? Se a una persona le disgrazie corrono incontro,
cosa deve fare? Non basta subire la cattiva sorte, devi subire
anche l’inciviltà di chi ti circonda, di chi ti ha sopportato per
quieto vivere o paura e finalmente ha trovato la possibilità di
disprezzarti, giudicarti e punirti per il tuo peccato.
L’essermi innamorata di un uomo sposato, un amore ricambiato
e malvisto da chi crede in una religione che impone regole
inconcepibili in una società arcaica che si crede culla di
civiltà.
Allevare un figlio tra mille difficoltà e poi vedertelo morire
tra le braccia, con il corpo a pezzi, colpevole di essere passato
nel posto sbagliato nel momento sbagliato; ecco perché sono
qui, non per espiare colpe inesistenti ma per alleviare il dolore
di tante madri che hanno subito la mia stessa sorte.
Vedi, non voglio fare paragoni tra la mia e la tua sfortuna,
sempreché i paragoni siano ammessi e si possano fare, ma di
una cosa sono certa; se non ti avessi incontrato, avrei continuato
la mia esistenza cullandomi nella convinzione che fare l’infermiera
in questi posti potesse placare il mio tormento, quello
che mi tiene sveglia di notte, mi fa accarezzare le sue fotografie,
la sua ciocca di capelli e mi fa piangere al buio com’è
successo questa sera.”
Mi buttò le braccia al collo appoggiando il viso sulla mia
spalla, stavo per cingerle la vita con le mani quando fece un
passo indietro e, lentamente, cominciò a spogliarsi.
“Voglio fare subito l’amore, ti prego, abbiamo perso troppo
tempo tutti e due.”
Inutile continuare a rivivere vecchi ricordi, storie ormai
finite che avevano lasciato il segno, inutili pietismi consolatori
buoni solo per chi, vecchio, vuole ripercorrere la sua vita;
eravamo tornati a vivere due naufraghi scampati alla tempesta,
affrancati dalla guerra e dall’odio che non stavano cercando
solo la facile alternativa fisica ma erano tornati liberi; il sogno
si era tramutato in realtà e cancellava la realtà più cruda che ci
circondava e sulle confidenze che ci scambiammo quella notte
e sul passato scese il silenzio.
Il ghiaccio era rotto e, da quel momento, mi chiesi se era
giusto quello che stavo facendo; anch’io, come lei, spesso
ritornavo al tempo passato, ai giorni meravigliosi trascorsi con
Laura, anche se ormai non avevo più lacrime per piangere,
avevo avuto anch’io bisogno di sfogarmi e la serenità che mi
dava questo nuovo rapporto impensabile fino a ieri mi sembrava
un tradimento, ci sostenevamo l’uno con l’altra senza capire
se il nostro fosse amore o bisogno.
Non avevo mai avuto modo di apprezzare le qualità di una
donna mediorientale, la sua semplicità e sicurezza mi disarmava,
sapeva parlare e tacere usando allo stesso tempo una
pazienza e una sensibilità che mi lasciavano stupito; negli ultimi
due anni dal mio arrivo il mio carattere si era notevolmente
inselvatichito, mi ero creato un nuovo guscio più impermeabile
che mai, vinse lei e, come Laura a suo tempo, mi prese per
mano portandomi nella sua nuvola dove mi adagiai tranquillo.
Il sesso non era più una cosa particolarmente importante,
almeno per me, anche se con lei lo facevo volentieri. Mi mancava,
quello sì, il desiderio travolgente che aveva caratterizzato
il rapporto tra me e Laura, dettato non solo dall’affetto che
si era creato tra di noi ma dalla passione che c’era stata fin dall’inizio.
Con Sheila le cose erano diverse, diverso l’approccio, il
modo di fare l’amore, fatto di equilibrio che, anziché lasciarti
esausto, continuava nel tempo, anche dopo, come un dolce
sogno, un appagamento spontaneo che mi lasciava incerto da
principio e poi sempre più felice, non diventava più una necessità
ossessiva, meccanica; quando succedeva, erano i nostri
corpi che si parlavano e si cercavano, pochi gesti semplici,
spontanei, piccole carezze e poi il silenzio che faceva rivivere
il tempo appena passato come una clessidra che non si voleva
mai vedere capovolta. Comunque era una convivenza un po’
strana, ognuno continuava a svolgere il suo lavoro con la consueta
efficienza, lasciando le cose personali fuori dalla porta e
relegando a qualche ora notturna quell’intimità che a volte cercavamo
e aspettavamo con sofferenza.
D’altronde non vivevamo certo a Parigi o a Londra, sapevamo
benissimo tutte e due cosa eravamo venuti a fare in quel
posto e cosa ci si aspettava da noi. Cercammo di organizzarci
al meglio in maniera di avere più tempo possibile a nostra
disposizione, ma avevo capito che Sheila, pur nella sua silenziosa
discrezione, voleva ben altro che una relazione fugace
anche se di dominio pubblico, a lei quel menage non bastava
più, voleva ricrearsi una vita a tutti gli effetti.
Una volta sola parlò di suo figlio senza le inquietudini di un
tempo, lo fece con i dolci ricordi di una madre che immagina
il figlio adulto, proiettato verso un futuro di cose belle e importanti,
orgogliosa della sua bellezza, educazione, sincerità, della
donna con la quale voleva trascorrere la sua vita, dei figli che
avrebbe avuto. I suoi erano sogni fantastici ma non avevano
più niente della disperazione e dell’amarezza di una volta, di
quando l’avevo conosciuta.
“Sai, mi diceva, certe notti sogno di essere incinta, di te
naturalmente, e questo sogno mi eccita, mi fa tornare giovane
quando dissi al mio uomo - il primo amore della mia vita - ti
darò un figlio e sarà maschio e assieme lo cresceremo con
affetto, gli insegneremo le particelle elementari del vivere civile,
della tolleranza, dell’intelligenza, del rispetto, e faremo in
modo che queste particelle diventino atomi di una esplosione
universale, una epidemia gigantesca, incurabile e intaccabile
da qualsiasi vaccino, ma poi mi sveglio e la realtà mi fa ritornare
la memoria al tempo passato, al dolore di tanti anni fa e
all’orrore quotidiano. Sai, se ti avessi conosciuto prima, mi
sarebbe piaciuto avere un figlio da te, ma poi chi avrebbe potuto
darmi una garanzia che fosse vissuto fino a una dignitosa
vecchiaia, a volte faccio fatica a capire, farmene una ragione.
Il mondo è un vecchio animale ferito, circondato da sciacalli
che banchettano con i suoi resti; quando non ci sarà più nulla
da mangiare, non saranno morti solo gli umili, i deboli, moriranno
anche gli sciacalli e quello che mi dispiace è di non poter
essere in prima fila a battere le mani.”…
Tratto dal racconto "Salvatore Tono" nel libro "Luigia e altre storie"
di Francesco Danieletto
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