sabato 12 marzo 2016

Un D'Alema 'comunista' mena Renzi dimenticando i suoi errori

L'idea di D'Alema, espressa in una intervista al Corriere, è un mondo diviso in piani e lui naturalmente sta in quello nobile. Un mondo di persone di altissimo livello, che non ci sono più a dirigere la cosa pubblica, e i partiti; sempre per D'Alema, un mondo di persone di altissimo livello alla quale lui, l'ex premier, ritiene di appartenere. Lo stesso suo dire sul perché i padri nobili, dei quali lui ritiene di appartenere, non sono consultati, o l'idea che lui, D'Alema, si debba recare da Guerrini, vice segretario del Pd, in ginocchio, relegando Guerrini a poco più che un sottoposto, alto e basso di taglio dalemiano, danno spazi a schemi di gestione della politica che non esistono più. E infatti, in una intervista a Il Giorno, Velardi, capo storico dello staff di D'Alema alla Presidenza del Consiglio negli anni Novanta, afferma che "Sono stati e sono ancora comunisti. Loro conoscono solo la scuola del Pci. È una scuola unica che t'insegna un'unica cosa: la gestione del potere".
Il presidente della Fondazione Italianieuropei fa una analisi sbagliata da capo a piedi perché si dimentica dei suoi errori e non vede, oggi, quelli suoi e dei suoi compagni . A proposito di fondatori che non sono ascoltati: quando D'Alema fece dimettere Occhetto a noi non ci risulta che, negli anni seguenti, D'Alema abbia chiesto consiglio o abbia dato un ruolo di rilievo a quel segretario che ebbe il coraggio di trasformare il Pci. Sbagliamo nell'analisi?
Quindi, e questo è il nocciolo vero dell'intervista di D'Alema al Corriere, non è vero che c'è in atto una denigrazione 'coatta' nei confronti della vecchia classe dirigente Pd. Il punto è che proprio per quello che ricordava Velardi nella sua intervista, D'Alema, Bersani, tutta la minoranza delle minoranze Pd, non è capace di nulla se non gestisce il potere. E il lato oscuro di questo cammino sta nella mancata consapevolezza ed educazione di saper fare la minoranza dentro un partito senza denigrare e far la lotta continua al segretario premier e alla maggioranza che rappresenta.
Da quando è stato eletto segretario del Pd e premier, Renzi è stato il primo obiettivo della minoranza delle minoranze Pd e di tutta la vecchia classe dirigente che si è vista espropriata del potere. Era lo stesso potere che sostanziava quella classe dirigente del passato. Ritrovarsi in minoranza senza le leve del potere ha mandato in tilt il meccanismo. Non si davano pace. Sono impediti ed impossibilitati a trovar consenso dentro il partito per diventare un domani maggioranza. Troppa fatica. Con il rischio di non fare risultato.
Ora siamo al bivio. Renzi ha rottamato quell'impostazione lì. Non a caso altre minoranze dentro al Pd governano il partito insieme a Renzi, vedi Orfini. L'idea della politica come mediazione, più volte evocata da D'Alema al Corriere, l'idea di resuscitare il vecchio Ulivo, o il centrosinistra, non regge. E' così vero questo che la stessa minoranza delle minoranze di sinistra nel Pd ha minato di continuo il terreno dell'azione di Governo di Renzi: figuriamoci mettere insieme una coalizione multicolor che raggiunge gli estremi. Pensate quanta interdizione, quanti ricatti, quanto tempo perso. Qualcuno ricorda le grandi riforme dell'Ulivo? Si fa cenno all'economia, al debito: ma la congiuntura economica di quegli anni era splendida splendente, a parte qualche problema nell'area asiatica e in Russia.
E qui veniamo al Pd, quello che deve essere e che è. Renzi non può ripercorrere pari pari i passi del vecchio centrosinistra, cioè mettere insieme tanti pezzulli di qua e di là. Il Pd deve avere vocazione maggioritaria e dentro di se tenere anche la sinistra, e la sinistra-sinistra, come in tutti i partiti socialisti europei, e D'Alema che è presidente della Fondazione del PSE dovrebbe ben sapere.
Come sa che l'Italicum è una riforma elettorale frutto della 'mediazione' politica he all'ex presidente del consiglio piace tanto: è una mediazione non straordinaria ma sufficiente per avere un Paese mediamente funzionante con quei principi maggioritari che non ci obbligano a fare coalizioni patchwork. Poi se si vuole una riforma elettorale che vuole far vincere sempre il centrosinistra è un altro paio di maniche. Ed è proprio il Presidente Emerito della Repubblica Giorgio Napolitano a difendere questa riforma elettorale, anche se quest'ultimo - lo ricorda D'Alema al Corriere - ha inviato un articolo per la rivista della Fondazione Italianieuropei dal titolo "Elogio di una classe dirigente" (quella del 1946): un titolo che volendo potrebbe andare anche per la classe dirigente attuale che ha fatto una riforma dopo decenni, dopo l'inconcludente bicamerale sulle riforme di D'Alema.
Perché un politico-solo-politico come D'Alema non riconosce a Renzi la stoffa dell'ottimo politico quando riesce portare a casa un riforma attesa da decenni?
Vede, Presidente D'Alema, la 'vecchia' classe dirigente del Pd, come in qualsiasi paese normale, non deve andare sempre alla ricerca di cariche e ruoli, ma deve imparare a starsene anche in disparte, senza tramare, fare cospirazioni, stoppare, bloccare, fare trucchi di bassa lega. Quando si parla del 'tafazzismo' di sinistra si fa riferimento ad una condizione di gruppi minoritari di persone che fanno sempre comunque casino per farsi notare e condizionare. Più che tafazzismo è una condizione di 'disadattati della sinistra' o del centrosinistra, l'incapacità continuata di stare insieme a persone del tuo partito senza potere. E un errore della sua classe dirigente, presidente D'Alema, è non aver educato la sinistra rimanendo a quell'idea elitaria tipica delle classi dirigenti del Pci (alto e basso).
Si può recuperare? Pare che Renzi nella prossima direzione del partito metta di fronte la minoranza delle minoranze del Pd a un aut aut: o non fate la guerra oppure ognuno per suo conto. Noi avevamo auspicato un aut aut del genere molto ma molto tempo fa perché l'immagine del partito e l'immagine di governo che ne esce, oggi, è confusionaria e arrabattata. La chiarezza, presidente D'Alema, ci vuole e anche il coraggio. Ma vedrà, la minoranza delle minoranze del Pd non se ne andrà e rimarrà nel partito a far casino, come dice Velardi "D'Alema, ma anche Pier Luigi Bersani e Antonio Bassolino", spiega, "non possono andarsene dal partito perché non gli conviene. Se fanno la scissione come Fassina, chi li intervista e li riconosce più?".

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