L'idea di D'Alema, espressa in una intervista al Corriere, è
un mondo diviso in piani e lui naturalmente sta in quello nobile. Un
mondo di persone di altissimo livello, che non ci sono più a dirigere la
cosa pubblica, e i partiti; sempre per D'Alema, un mondo di persone di
altissimo livello alla quale lui, l'ex premier, ritiene di appartenere.
Lo stesso suo dire sul perché i padri nobili, dei quali lui ritiene di
appartenere, non sono consultati, o l'idea che lui, D'Alema, si debba
recare da Guerrini, vice segretario del Pd, in ginocchio, relegando
Guerrini a poco più che un sottoposto, alto e basso di taglio
dalemiano, danno spazi a schemi di gestione della politica che non
esistono più. E infatti, in una intervista a Il Giorno, Velardi, capo
storico dello staff di D'Alema alla Presidenza del Consiglio negli anni
Novanta, afferma che "Sono stati e sono ancora comunisti. Loro
conoscono solo la scuola del Pci. È una scuola unica che t'insegna
un'unica cosa: la gestione del potere".
Il presidente della
Fondazione Italianieuropei fa una analisi sbagliata da capo a piedi
perché si dimentica dei suoi errori e non vede, oggi, quelli suoi e dei
suoi compagni . A proposito di fondatori che non sono ascoltati: quando
D'Alema fece dimettere Occhetto a noi non ci risulta che, negli anni
seguenti, D'Alema abbia chiesto consiglio o abbia dato un ruolo di
rilievo a quel segretario che ebbe il coraggio di trasformare il Pci.
Sbagliamo nell'analisi?
Quindi, e questo è il nocciolo vero
dell'intervista di D'Alema al Corriere, non è vero che c'è in atto una
denigrazione 'coatta' nei confronti della vecchia classe dirigente Pd.
Il punto è che proprio per quello che ricordava Velardi nella sua
intervista, D'Alema, Bersani, tutta la minoranza delle minoranze Pd, non
è capace di nulla se non gestisce il potere. E il lato oscuro di questo
cammino sta nella mancata consapevolezza ed educazione di saper fare la
minoranza dentro un partito senza denigrare e far la lotta continua al
segretario premier e alla maggioranza che rappresenta.
Da quando è
stato eletto segretario del Pd e premier, Renzi è stato il primo
obiettivo della minoranza delle minoranze Pd e di tutta la vecchia
classe dirigente che si è vista espropriata del potere. Era lo stesso
potere che sostanziava quella classe dirigente del passato. Ritrovarsi
in minoranza senza le leve del potere ha mandato in tilt il meccanismo.
Non si davano pace. Sono impediti ed impossibilitati a trovar consenso
dentro il partito per diventare un domani maggioranza. Troppa fatica.
Con il rischio di non fare risultato.
Ora siamo al bivio. Renzi ha
rottamato quell'impostazione lì. Non a caso altre minoranze dentro al
Pd governano il partito insieme a Renzi, vedi Orfini. L'idea della
politica come mediazione, più volte evocata da D'Alema al Corriere,
l'idea di resuscitare il vecchio Ulivo, o il centrosinistra, non regge.
E' così vero questo che la stessa minoranza delle minoranze di sinistra
nel Pd ha minato di continuo il terreno dell'azione di Governo di
Renzi: figuriamoci mettere insieme una coalizione multicolor che
raggiunge gli estremi. Pensate quanta interdizione, quanti ricatti,
quanto tempo perso. Qualcuno ricorda le grandi riforme dell'Ulivo? Si
fa cenno all'economia, al debito: ma la congiuntura economica di quegli
anni era splendida splendente, a parte qualche problema nell'area
asiatica e in Russia.
E qui veniamo al Pd, quello che deve
essere e che è. Renzi non può ripercorrere pari pari i passi del vecchio
centrosinistra, cioè mettere insieme tanti pezzulli di qua e di là. Il
Pd deve avere vocazione maggioritaria e dentro di se tenere anche la
sinistra, e la sinistra-sinistra, come in tutti i partiti socialisti
europei, e D'Alema che è presidente della Fondazione del PSE dovrebbe
ben sapere.
Come sa che l'Italicum è una riforma elettorale
frutto della 'mediazione' politica he all'ex presidente del consiglio
piace tanto: è una mediazione non straordinaria ma sufficiente per avere
un Paese mediamente funzionante con quei principi maggioritari che non
ci obbligano a fare coalizioni patchwork. Poi se si vuole una riforma
elettorale che vuole far vincere sempre il centrosinistra è un altro
paio di maniche. Ed è proprio il Presidente Emerito della Repubblica
Giorgio Napolitano a difendere questa riforma elettorale, anche se
quest'ultimo - lo ricorda D'Alema al Corriere - ha inviato un articolo
per la rivista della Fondazione Italianieuropei dal titolo "Elogio di
una classe dirigente" (quella del 1946): un titolo che volendo potrebbe
andare anche per la classe dirigente attuale che ha fatto una riforma
dopo decenni, dopo l'inconcludente bicamerale sulle riforme di D'Alema.
Perché un politico-solo-politico come D'Alema non riconosce a Renzi la
stoffa dell'ottimo politico quando riesce portare a casa un riforma
attesa da decenni?
Vede, Presidente D'Alema, la 'vecchia' classe
dirigente del Pd, come in qualsiasi paese normale, non deve andare
sempre alla ricerca di cariche e ruoli, ma deve imparare a starsene
anche in disparte, senza tramare, fare cospirazioni, stoppare, bloccare,
fare trucchi di bassa lega. Quando si parla del 'tafazzismo' di
sinistra si fa riferimento ad una condizione di gruppi minoritari di
persone che fanno sempre comunque casino per farsi notare e
condizionare. Più che tafazzismo è una condizione di 'disadattati della
sinistra' o del centrosinistra, l'incapacità continuata di stare insieme
a persone del tuo partito senza potere. E un errore della sua classe
dirigente, presidente D'Alema, è non aver educato la sinistra rimanendo a
quell'idea elitaria tipica delle classi dirigenti del Pci (alto e
basso).
Si può recuperare? Pare che Renzi nella prossima direzione
del partito metta di fronte la minoranza delle minoranze del Pd a un
aut aut: o non fate la guerra oppure ognuno per suo conto. Noi avevamo
auspicato un aut aut del genere molto ma molto tempo fa perché
l'immagine del partito e l'immagine di governo che ne esce, oggi, è
confusionaria e arrabattata. La chiarezza, presidente D'Alema, ci vuole
e anche il coraggio. Ma vedrà, la minoranza delle minoranze del Pd non
se ne andrà e rimarrà nel partito a far casino, come dice Velardi
"D'Alema, ma anche Pier Luigi Bersani e Antonio Bassolino", spiega, "non
possono andarsene dal partito perché non gli conviene. Se fanno la
scissione come Fassina, chi li intervista e li riconosce più?".
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