venerdì 3 maggio 2019

L'Italia mostri dignità, coerenza e coraggio, o in Libia sarà annientata


L’Italia mostri dignità, coerenza e coraggio, o in Li·          
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·         Nicola Pedde Direttore Institute of Global Studies
ASSOCIATED PRESS
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervistato a margine dei lavori del forum di Pechino sulla Via della Seta, ha affermato che l'Italia nella crisi libica non sostiene né al-Serraj né Haftar, avendo preoccuazione solo per il popolo libico.
Una posizione inutilmente neutra, che riflette il profondo disorientamento del governo italiano in merito alla questione libica, e che rischia soprattutto di determinare un danno di proporzioni inimmaginabili per l'interesse nazionale.
Il contesto della crisi
L'attuale dinamica di crisi in Libia è stata determinata dal proditorio e unilaterale attacco del generale Khalifa Haftar contro Tripoli all'inizio di aprile. Un vero e proprio tradimento degli impegni assunti con la controparte del Governo di Accordo Nazionale (GNA) e con la comunità internazionale – l'ultimo di una interminabile serie di tradimenti, per la verità – poco prima della programmata conferenza di Ghadames per avviare il processo di riconciliazione nazionale.
Il generale ha tradito tutti ancora una volta per una ragione precisa: la conferenza di Ghadames lo avrebbe consacrato nel ruolo di vertice delle forze armate libiche che da sempre chiede, ma che non corrisponde al suo reale obiettivo. L'ambizione personale di Khalifa Haftar è infatti quella di assumere il comando politico del paese, diventandone di fatto una sorta di nuovo raìs.
Il messaggio che manda alla comunità internazionale è tanto chiaro quanto semplice: la Libia ha bisogno di un uomo forte, altrimenti sprofonderà nel caos, e l'uomo forte è lui. È solo lui.
Appoggiano la linea di Haftar – anzi, ne sono i veri e propri manovratori – gli Emirati Arabi Uniti, l'Egitto e, in misura minore, l'Arabia Saudita. Gli Emirati puntano ad eradicare la presenza della Fratellanza Musulmana dovunque essa sia, e quindi concedono all'Egitto di al-Sisi soldi e copertura politica per poter sostenere il generale Haftar. L'Egitto, con un'economia a dir poco disastrata e il comune obiettivo di dare la caccia alla Fratellanza Musulmana, appoggia la linea degli Emirati tanto per interesse economico quanto per quello politico, assumendo l'improbabile ruolo di attore-chiave regionale. I sauditi sono interessati a puntellare la stabilità egiziana, per impedirne il collasso ed evitare l'apertura del vaso di Pandora che ne seguirebbe, e si interessano solo marginalmente alla Libia, più per sostenere le posizioni degli alleati emiratini che non per un proprio interesse diretto.
In questo quadro si inserisce infine la Francia, ormai un attore politico di modestissime dimensioni – al pari dell'Italia – gravato da una crisi economica che spera di riuscire a contenere anche grazie alle generose commesse garantitegli dalle monarchie del Golfo Persico.
La Francia è forse oggi l'attore meno trasparente e più spregiudicato dell'intero schieramento che sostiene Haftar. Mentre gli Emirati e l'Egitto non hanno peli sulla lingua nel chiarire quale sia il piano dei propri interessi e delle proprie alleanze, la Francia continua ad impostare la sua politica su un'insostenibile posizione di neutralità, spudoratamente assicurando tanto al governo di al-Serraj, quanto all'ONU e all'Italia di riconoscere il GNA quale entità legittima e di operare nel perseguimento della stabilità.
Dall'altra parte, a sostenere il governo del GNA di Fayez al-Serraj sono rimaste formalmente solo le Nazioni Unite, praticamente evanescenti ormai, del tutto ignorate e delegittimate dalla stessa comunità internazionale, l'Italia, che ha dimostrato di essere un vero pigmeo politico anche nelle questioni di politica estera che dovrebbero costituire la prima linea dell'interesse nazionale italiano, la Turchia, le cui dinamiche di politica interna non consentono di operare una più attiva strategia sulla Libia, e il Qatar, che è il vero dominus degli interessi che ruotano intorno alle componenti politiche tripoline e che rappresenta in vero antagonista degli Emirati Arabi Uniti. L'Unione Europea, in merito alla questione libica, è, se possibile, ancora più eterea ed inconsistente delle Nazioni Unite. Praticamente un non-attore.
La triste deriva dell'Europa è percepibile anche sul piano delle singole narrative nazionali. Paesi come la Francia e l'Italia continuano a considerarsi attori rilevanti della crisi libica, riempendo pagine intere di giornali con le dichiarazioni e gli impegni dei propri vertici politici, senza la benché minima capacità di comprendere come ormai siano stati declassati al rango di proxy, e cioè meri vassalli dei veri attori che si contendono la Libia.
Ultimo, ma non per ultimo, ci sono poi gli Stati Uniti e la Russia. Per entrambi la Libia è più un problema che un'opportunità, e sino ad oggi ne sono stati alla larga come meglio hanno potuto. Dopo la disastrosa gestione di Hillary Clinton del dossier libico, gli Stati Uniti si sono di fatto defilati, appoggiando ad intermittenza l'Italia ma senza alcuna convinzione. L'unica certezza in questo momento sembra essere quella di voler restare al di fuori della crisi libica, evitando categoricamente di farsi trascinare dagli europei e dalle monarchie del Golfo in un nuovo, potenzialmente disastroso, conflitto civile.
Posizione analoga quella dalla Russia, che manifesta il suo blando sostegno ad Haftar senza tradurlo in alcuna concreta e coerente politica di investimento sulla Libia. Lo stato dell'economia russa non sembra in alcun modo far ritenere possibile alcuna forma di reale coinvolgimento nella questione libica, con il risultato di un sostegno ad Haftar di fatto solo nominale. Operano certamente in Libia al fianco di Haftar alcune società di contractor russe, ma questo è ben lontano dal rappresentare un vero e proprio endorsement di Putin.
È quindi chiaro che, in un quadro di tale complessità, la conferenza d Ghadames si poneva come un rischio concreto per il generale Haftar, che l'ha quindi deliberatamente sabotata, con l'intento di porre la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto della guerra. O con lui, o contro di lui.
Nell'intraprendere questa strada, tuttavia, il generale ha determinato un profondo mutamento nella natura del conflitto libico. In primo luogo ha del tutto cancellato ogni possibile futura ipotesi di compromesso e negoziato, mettendo in pericolo anche la propria personale posizione. È chiaro che nessuno, ormai, accetterà ma più di sedersi al tavolo con Haftar per definire un accordo, e, per la prima volta, il palese tradimento del generale è riuscito a determinare una vera alleanza tra le eterogenee milizie che compongono il sistema di difesa di Tripoli e del GNA.
Tertium non datur, quindi, e l'unica soluzione adesso possibile è quella militare. Da questa fase del conflitto si dovrà uscire con un vincitore ed un vinto, e se Haftar non riuscirà a conquistare Tripoli la sua carriera politica e militare finirà disastrosamente.
L'Italia mostri dignità, coerenza e coraggio, o in Libia sarà annientata
Quello che l'Italia percepisce oggi come il tradimento di Donald Trump – a seguito della dichiarazione di sostegno fatta dal presidente USA ad Haftar per lotta al terrorismo – è al contrario la dimostrazione di come e quanto anche a Washington non si riesca più a comprendere quale sia la posizione dell'Italia e la sua strategia sulla Libia.
L'amministrazione statunitense è stata costantemente sollecitata dagli Emirati Arabi Uniti e dall'Egitto a sostenere le proprie prerogative a sostegno di Haftar, senza tuttavia mai ottenere un chiaro e soprattutto concreto appoggio sul piano politico e militare.
Il recente sostegno verbale di Donald Trump ad Haftar è stato di fatto estorto in modo subdolo ed ambiguo dal generale. Haftar ha chiesto a Trump di appoggiarlo nella sua lotta al terrorismo, e il presidente USA non ha potuto quindi fare a meno di dare la sua benedizione – assolutamente generica – nei confronti di quella causa che rappresenta uno dei pilastri della strategia globale di sicurezza statunitense. Il problema è che quando Haftar parla di terrorismo non si riferisce ad Al Qaeda o all'ISIS, quanto piuttosto alla Fratellanza Musulmana e quindi ai suoi antagonisti politici di Tripoli, che il generale cerca di presentare alla comunità internazionale come un coacervo di pericolosi jihadisti.
In questo contesto, l'Italia ha reagito alle affermazioni di Trump con stupore e sdegno, senza tuttavia porsi il problema di chiarire la propria posizione e soprattutto la strategia che intende perseguire nella complessa vicenda libica.
Questo è oggi il cuore del problema: l'Italia non ha alcuna capacità di definire il proprio interesse nazionale, gestendo la politica estera in costante situazione di emergenza. Il governo italiano assume in tal modo una postura talmente vaga e contraddittoria da confondere i suoi stessi alleati, tanto in Libia quanto al di là dell'Atlantico.
Roma riconosce il governo di Fayez al-Serraj e il GNA, ma pubblicamente afferma di non essere dalla parte di nessuno, sostenendo un mieloso quanto ipocrita interesse "per il popolo libico". Manda un contingente militare a Misurata ma non sa né come inquadrarlo politicamente né come gestirlo operativamente, facendo calare il più assoluto silenzio sulla sua presenza. Ha contezza della sistematica violazione dell'embargo da parte dei dante causa del generale Haftar ma non trova mai il coraggio di denunciare vocalmente e platealmente tanto i paesi europei quanto quelli arabi che si rendono artefici di questa palese violazione delle disposizioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Non riesce ad impostare una politica forte e di reciproco rispetto con le monarchie del Golfo perché è terrorizzata dalla possibilità di perdere contratti nella regione, ipotecando in tal modo gli interessi di lungo periodo e mantenendo una postura politica giudicata in loco ambigua e debole.
Le parole pronunciate dal presidente del Consiglio Conte a Pechino vengono quindi intrepretate da Haftar e dai suoi alleati come una palese dimostrazione di debolezza. La riconferma che l'Italia non ha la forza ma soprattutto il coraggio di difendere le proprie prerogative politiche, economiche e strategiche in Libia, di fatto facendo comprendere che non opporrà alcuna resistenza all'attuale spregiudicato tentativo di sovvertire gli equilibri locali.
Un rischio colossale per il nostro paese, che in questo modo favorisce concretamente la possibilità di un'evoluzione degli eventi del tutto contraria ai nostri interessi di breve, medio e lungo periodo. Sia ben chiaro tuttavia al vertice del sistema politico nazionale, però, che se il generale Haftar dovesse trionfare in questo conflitto, all'Italia non resterà alcuno spazio di manovra in Libia.

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·         Nicola Pedde Direttore Institute of Global Studies




Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervistato a margine dei lavori del forum di Pechino sulla Via della Seta, ha affermato che l'Italia nella crisi libica non sostiene né al-Serraj né Haftar, avendo preoccuazione solo per il popolo libico.

Una posizione inutilmente neutra, che riflette il profondo disorientamento del governo italiano in merito alla questione libica, e che rischia soprattutto di determinare un danno di proporzioni inimmaginabili per l'interesse nazionale.

Il contesto della crisi

L'attuale dinamica di crisi in Libia è stata determinata dal proditorio e unilaterale attacco del generale Khalifa Haftar contro Tripoli all'inizio di aprile. Un vero e proprio tradimento degli impegni assunti con la controparte del Governo di Accordo Nazionale (GNA) e con la comunità internazionale – l'ultimo di una interminabile serie di tradimenti, per la verità – poco prima della programmata conferenza di Ghadames per avviare il processo di riconciliazione nazionale.

Il generale ha tradito tutti ancora una volta per una ragione precisa: la conferenza di Ghadames lo avrebbe consacrato nel ruolo di vertice delle forze armate libiche che da sempre chiede, ma che non corrisponde al suo reale obiettivo. L'ambizione personale di Khalifa Haftar è infatti quella di assumere il comando politico del paese, diventandone di fatto una sorta di nuovo raìs.

Il messaggio che manda alla comunità internazionale è tanto chiaro quanto semplice: la Libia ha bisogno di un uomo forte, altrimenti sprofonderà nel caos, e l'uomo forte è lui. È solo lui.

Appoggiano la linea di Haftar – anzi, ne sono i veri e propri manovratori – gli Emirati Arabi Uniti, l'Egitto e, in misura minore, l'Arabia Saudita. Gli Emirati puntano ad eradicare la presenza della Fratellanza Musulmana dovunque essa sia, e quindi concedono all'Egitto di al-Sisi soldi e copertura politica per poter sostenere il generale Haftar. L'Egitto, con un'economia a dir poco disastrata e il comune obiettivo di dare la caccia alla Fratellanza Musulmana, appoggia la linea degli Emirati tanto per interesse economico quanto per quello politico, assumendo l'improbabile ruolo di attore-chiave regionale. I sauditi sono interessati a puntellare la stabilità egiziana, per impedirne il collasso ed evitare l'apertura del vaso di Pandora che ne seguirebbe, e si interessano solo marginalmente alla Libia, più per sostenere le posizioni degli alleati emiratini che non per un proprio interesse diretto.

In questo quadro si inserisce infine la Francia, ormai un attore politico di modestissime dimensioni – al pari dell'Italia – gravato da una crisi economica che spera di riuscire a contenere anche grazie alle generose commesse garantitegli dalle monarchie del Golfo Persico.

La Francia è forse oggi l'attore meno trasparente e più spregiudicato dell'intero schieramento che sostiene Haftar. Mentre gli Emirati e l'Egitto non hanno peli sulla lingua nel chiarire quale sia il piano dei propri interessi e delle proprie alleanze, la Francia continua ad impostare la sua politica su un'insostenibile posizione di neutralità, spudoratamente assicurando tanto al governo di al-Serraj, quanto all'ONU e all'Italia di riconoscere il GNA quale entità legittima e di operare nel perseguimento della stabilità.

Dall'altra parte, a sostenere il governo del GNA di Fayez al-Serraj sono rimaste formalmente solo le Nazioni Unite, praticamente evanescenti ormai, del tutto ignorate e delegittimate dalla stessa comunità internazionale, l'Italia, che ha dimostrato di essere un vero pigmeo politico anche nelle questioni di politica estera che dovrebbero costituire la prima linea dell'interesse nazionale italiano, la Turchia, le cui dinamiche di politica interna non consentono di operare una più attiva strategia sulla Libia, e il Qatar, che è il vero dominus degli interessi che ruotano intorno alle componenti politiche tripoline e che rappresenta in vero antagonista degli Emirati Arabi Uniti. L'Unione Europea, in merito alla questione libica, è, se possibile, ancora più eterea ed inconsistente delle Nazioni Unite. Praticamente un non-attore.

La triste deriva dell'Europa è percepibile anche sul piano delle singole narrative nazionali. Paesi come la Francia e l'Italia continuano a considerarsi attori rilevanti della crisi libica, riempendo pagine intere di giornali con le dichiarazioni e gli impegni dei propri vertici politici, senza la benché minima capacità di comprendere come ormai siano stati declassati al rango di proxy, e cioè meri vassalli dei veri attori che si contendono la Libia.

Ultimo, ma non per ultimo, ci sono poi gli Stati Uniti e la Russia. Per entrambi la Libia è più un problema che un'opportunità, e sino ad oggi ne sono stati alla larga come meglio hanno potuto. Dopo la disastrosa gestione di Hillary Clinton del dossier libico, gli Stati Uniti si sono di fatto defilati, appoggiando ad intermittenza l'Italia ma senza alcuna convinzione. L'unica certezza in questo momento sembra essere quella di voler restare al di fuori della crisi libica, evitando categoricamente di farsi trascinare dagli europei e dalle monarchie del Golfo in un nuovo, potenzialmente disastroso, conflitto civile.

Posizione analoga quella dalla Russia, che manifesta il suo blando sostegno ad Haftar senza tradurlo in alcuna concreta e coerente politica di investimento sulla Libia. Lo stato dell'economia russa non sembra in alcun modo far ritenere possibile alcuna forma di reale coinvolgimento nella questione libica, con il risultato di un sostegno ad Haftar di fatto solo nominale. Operano certamente in Libia al fianco di Haftar alcune società di contractor russe, ma questo è ben lontano dal rappresentare un vero e proprio endorsement di Putin.

È quindi chiaro che, in un quadro di tale complessità, la conferenza d Ghadames si poneva come un rischio concreto per il generale Haftar, che l'ha quindi deliberatamente sabotata, con l'intento di porre la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto della guerra. O con lui, o contro di lui.

Nell'intraprendere questa strada, tuttavia, il generale ha determinato un profondo mutamento nella natura del conflitto libico. In primo luogo ha del tutto cancellato ogni possibile futura ipotesi di compromesso e negoziato, mettendo in pericolo anche la propria personale posizione. È chiaro che nessuno, ormai, accetterà ma più di sedersi al tavolo con Haftar per definire un accordo, e, per la prima volta, il palese tradimento del generale è riuscito a determinare una vera alleanza tra le eterogenee milizie che compongono il sistema di difesa di Tripoli e del GNA.

Tertium non datur, quindi, e l'unica soluzione adesso possibile è quella militare. Da questa fase del conflitto si dovrà uscire con un vincitore ed un vinto, e se Haftar non riuscirà a conquistare Tripoli la sua carriera politica e militare finirà disastrosamente.

L'Italia mostri dignità, coerenza e coraggio, o in Libia sarà annientata

Quello che l'Italia percepisce oggi come il tradimento di Donald Trump – a seguito della dichiarazione di sostegno fatta dal presidente USA ad Haftar per lotta al terrorismo – è al contrario la dimostrazione di come e quanto anche a Washington non si riesca più a comprendere quale sia la posizione dell'Italia e la sua strategia sulla Libia.

L'amministrazione statunitense è stata costantemente sollecitata dagli Emirati Arabi Uniti e dall'Egitto a sostenere le proprie prerogative a sostegno di Haftar, senza tuttavia mai ottenere un chiaro e soprattutto concreto appoggio sul piano politico e militare.

Il recente sostegno verbale di Donald Trump ad Haftar è stato di fatto estorto in modo subdolo ed ambiguo dal generale. Haftar ha chiesto a Trump di appoggiarlo nella sua lotta al terrorismo, e il presidente USA non ha potuto quindi fare a meno di dare la sua benedizione – assolutamente generica – nei confronti di quella causa che rappresenta uno dei pilastri della strategia globale di sicurezza statunitense. Il problema è che quando Haftar parla di terrorismo non si riferisce ad Al Qaeda o all'ISIS, quanto piuttosto alla Fratellanza Musulmana e quindi ai suoi antagonisti politici di Tripoli, che il generale cerca di presentare alla comunità internazionale come un coacervo di pericolosi jihadisti.

In questo contesto, l'Italia ha reagito alle affermazioni di Trump con stupore e sdegno, senza tuttavia porsi il problema di chiarire la propria posizione e soprattutto la strategia che intende perseguire nella complessa vicenda libica.

Questo è oggi il cuore del problema: l'Italia non ha alcuna capacità di definire il proprio interesse nazionale, gestendo la politica estera in costante situazione di emergenza. Il governo italiano assume in tal modo una postura talmente vaga e contraddittoria da confondere i suoi stessi alleati, tanto in Libia quanto al di là dell'Atlantico.

Roma riconosce il governo di Fayez al-Serraj e il GNA, ma pubblicamente afferma di non essere dalla parte di nessuno, sostenendo un mieloso quanto ipocrita interesse "per il popolo libico". Manda un contingente militare a Misurata ma non sa né come inquadrarlo politicamente né come gestirlo operativamente, facendo calare il più assoluto silenzio sulla sua presenza. Ha contezza della sistematica violazione dell'embargo da parte dei dante causa del generale Haftar ma non trova mai il coraggio di denunciare vocalmente e platealmente tanto i paesi europei quanto quelli arabi che si rendono artefici di questa palese violazione delle disposizioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Non riesce ad impostare una politica forte e di reciproco rispetto con le monarchie del Golfo perché è terrorizzata dalla possibilità di perdere contratti nella regione, ipotecando in tal modo gli interessi di lungo periodo e mantenendo una postura politica giudicata in loco ambigua e debole.

Le parole pronunciate dal presidente del Consiglio Conte a Pechino vengono quindi intrepretate da Haftar e dai suoi alleati come una palese dimostrazione di debolezza. La riconferma che l'Italia non ha la forza ma soprattutto il coraggio di difendere le proprie prerogative politiche, economiche e strategiche in Libia, di fatto facendo comprendere che non opporrà alcuna resistenza all'attuale spregiudicato tentativo di sovvertire gli equilibri locali.

Un rischio colossale per il nostro paese, che in questo modo favorisce concretamente la possibilità di un'evoluzione degli eventi del tutto contraria ai nostri interessi di breve, medio e lungo periodo. Sia ben chiaro tuttavia al vertice del sistema politico nazionale, però, che se il generale Haftar dovesse trionfare in questo conflitto, all'Italia non resterà alcuno spazio di manovra in Libia.


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