L’Italia mostri dignità, coerenza e coraggio, o in
Li·
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ASSOCIATED PRESS
Il presidente del
Consiglio Giuseppe Conte, intervistato a margine dei lavori del forum di
Pechino sulla Via della Seta, ha affermato che l'Italia nella crisi libica non
sostiene né al-Serraj né Haftar, avendo preoccuazione solo per il popolo
libico.
Una posizione
inutilmente neutra, che riflette il profondo disorientamento del governo
italiano in merito alla questione libica, e che rischia soprattutto di
determinare un danno di proporzioni inimmaginabili per l'interesse nazionale.
Il
contesto della crisi
L'attuale dinamica di
crisi in Libia è stata determinata dal proditorio e unilaterale attacco del
generale Khalifa Haftar contro Tripoli all'inizio di aprile. Un vero e proprio
tradimento degli impegni assunti con la controparte del Governo di Accordo Nazionale
(GNA) e con la comunità internazionale – l'ultimo di una interminabile serie di
tradimenti, per la verità – poco prima della programmata conferenza di Ghadames
per avviare il processo di riconciliazione nazionale.
Il generale ha tradito
tutti ancora una volta per una ragione precisa: la conferenza di Ghadames lo
avrebbe consacrato nel ruolo di vertice delle forze armate libiche che da
sempre chiede, ma che non corrisponde al suo reale obiettivo. L'ambizione
personale di Khalifa Haftar è infatti quella di assumere il comando politico
del paese, diventandone di fatto una sorta di nuovo raìs.
Il messaggio che manda
alla comunità internazionale è tanto chiaro quanto semplice: la Libia ha
bisogno di un uomo forte, altrimenti sprofonderà nel caos, e l'uomo forte è
lui. È solo lui.
Appoggiano la linea di
Haftar – anzi, ne sono i veri e propri manovratori – gli Emirati Arabi Uniti,
l'Egitto e, in misura minore, l'Arabia Saudita. Gli Emirati puntano ad
eradicare la presenza della Fratellanza Musulmana dovunque essa sia, e quindi
concedono all'Egitto di al-Sisi soldi e copertura politica per poter sostenere
il generale Haftar. L'Egitto, con un'economia a dir poco disastrata e il comune
obiettivo di dare la caccia alla Fratellanza Musulmana, appoggia la linea degli
Emirati tanto per interesse economico quanto per quello politico, assumendo
l'improbabile ruolo di attore-chiave regionale. I sauditi sono interessati a
puntellare la stabilità egiziana, per impedirne il collasso ed evitare
l'apertura del vaso di Pandora che ne seguirebbe, e si interessano solo
marginalmente alla Libia, più per sostenere le posizioni degli alleati
emiratini che non per un proprio interesse diretto.
In questo quadro si
inserisce infine la Francia, ormai un attore politico di modestissime dimensioni
– al pari dell'Italia – gravato da una crisi economica che spera di riuscire a
contenere anche grazie alle generose commesse garantitegli dalle monarchie del
Golfo Persico.
La Francia è forse oggi
l'attore meno trasparente e più spregiudicato dell'intero schieramento che
sostiene Haftar. Mentre gli Emirati e l'Egitto non hanno peli sulla lingua nel
chiarire quale sia il piano dei propri interessi e delle proprie alleanze, la
Francia continua ad impostare la sua politica su un'insostenibile posizione di
neutralità, spudoratamente assicurando tanto al governo di al-Serraj, quanto
all'ONU e all'Italia di riconoscere il GNA quale entità legittima e di operare
nel perseguimento della stabilità.
Dall'altra parte, a
sostenere il governo del GNA di Fayez al-Serraj sono rimaste formalmente solo
le Nazioni Unite, praticamente evanescenti ormai, del tutto ignorate e
delegittimate dalla stessa comunità internazionale, l'Italia, che ha dimostrato
di essere un vero pigmeo politico anche nelle questioni di politica estera che
dovrebbero costituire la prima linea dell'interesse nazionale italiano, la
Turchia, le cui dinamiche di politica interna non consentono di operare una più
attiva strategia sulla Libia, e il Qatar, che è il vero dominus degli interessi
che ruotano intorno alle componenti politiche tripoline e che rappresenta in
vero antagonista degli Emirati Arabi Uniti. L'Unione Europea, in merito alla
questione libica, è, se possibile, ancora più eterea ed inconsistente delle
Nazioni Unite. Praticamente un non-attore.
La triste deriva
dell'Europa è percepibile anche sul piano delle singole narrative nazionali.
Paesi come la Francia e l'Italia continuano a considerarsi attori rilevanti
della crisi libica, riempendo pagine intere di giornali con le dichiarazioni e
gli impegni dei propri vertici politici, senza la benché minima capacità di
comprendere come ormai siano stati declassati al rango di proxy, e cioè meri
vassalli dei veri attori che si contendono la Libia.
Ultimo, ma non per
ultimo, ci sono poi gli Stati Uniti e la Russia. Per entrambi la Libia è più un
problema che un'opportunità, e sino ad oggi ne sono stati alla larga come
meglio hanno potuto. Dopo la disastrosa gestione di Hillary Clinton del dossier
libico, gli Stati Uniti si sono di fatto defilati, appoggiando ad intermittenza
l'Italia ma senza alcuna convinzione. L'unica certezza in questo momento sembra
essere quella di voler restare al di fuori della crisi libica, evitando
categoricamente di farsi trascinare dagli europei e dalle monarchie del Golfo
in un nuovo, potenzialmente disastroso, conflitto civile.
Posizione analoga quella
dalla Russia, che manifesta il suo blando sostegno ad Haftar senza tradurlo in
alcuna concreta e coerente politica di investimento sulla Libia. Lo stato
dell'economia russa non sembra in alcun modo far ritenere possibile alcuna
forma di reale coinvolgimento nella questione libica, con il risultato di un
sostegno ad Haftar di fatto solo nominale. Operano certamente in Libia al
fianco di Haftar alcune società di contractor russe, ma questo è ben lontano
dal rappresentare un vero e proprio endorsement di Putin.
È quindi chiaro che, in
un quadro di tale complessità, la conferenza d Ghadames si poneva come un
rischio concreto per il generale Haftar, che l'ha quindi deliberatamente
sabotata, con l'intento di porre la comunità internazionale di fronte al fatto
compiuto della guerra. O con lui, o contro di lui.
Nell'intraprendere
questa strada, tuttavia, il generale ha determinato un profondo mutamento nella
natura del conflitto libico. In primo luogo ha del tutto cancellato ogni
possibile futura ipotesi di compromesso e negoziato, mettendo in pericolo anche
la propria personale posizione. È chiaro che nessuno, ormai, accetterà ma più
di sedersi al tavolo con Haftar per definire un accordo, e, per la prima volta,
il palese tradimento del generale è riuscito a determinare una vera alleanza
tra le eterogenee milizie che compongono il sistema di difesa di Tripoli e del
GNA.
Tertium non datur,
quindi, e l'unica soluzione adesso possibile è quella militare. Da questa fase
del conflitto si dovrà uscire con un vincitore ed un vinto, e se Haftar non
riuscirà a conquistare Tripoli la sua carriera politica e militare finirà
disastrosamente.
L'Italia
mostri dignità, coerenza e coraggio, o in Libia sarà annientata
Quello che l'Italia
percepisce oggi come il tradimento di Donald Trump – a seguito della
dichiarazione di sostegno fatta dal presidente USA ad Haftar per lotta al
terrorismo – è al contrario la dimostrazione di come e quanto anche a Washington
non si riesca più a comprendere quale sia la posizione dell'Italia e la sua
strategia sulla Libia.
L'amministrazione
statunitense è stata costantemente sollecitata dagli Emirati Arabi Uniti e
dall'Egitto a sostenere le proprie prerogative a sostegno di Haftar, senza
tuttavia mai ottenere un chiaro e soprattutto concreto appoggio sul piano
politico e militare.
Il recente sostegno
verbale di Donald Trump ad Haftar è stato di fatto estorto in modo subdolo ed
ambiguo dal generale. Haftar ha chiesto a Trump di appoggiarlo nella sua lotta
al terrorismo, e il presidente USA non ha potuto quindi fare a meno di dare la
sua benedizione – assolutamente generica – nei confronti di quella causa che
rappresenta uno dei pilastri della strategia globale di sicurezza statunitense.
Il problema è che quando Haftar parla di terrorismo non si riferisce ad Al
Qaeda o all'ISIS, quanto piuttosto alla Fratellanza Musulmana e quindi ai suoi
antagonisti politici di Tripoli, che il generale cerca di presentare alla
comunità internazionale come un coacervo di pericolosi jihadisti.
In questo contesto,
l'Italia ha reagito alle affermazioni di Trump con stupore e sdegno, senza
tuttavia porsi il problema di chiarire la propria posizione e soprattutto la
strategia che intende perseguire nella complessa vicenda libica.
Questo è oggi il cuore
del problema: l'Italia non ha alcuna capacità di definire il proprio interesse
nazionale, gestendo la politica estera in costante situazione di emergenza. Il
governo italiano assume in tal modo una postura talmente vaga e contraddittoria
da confondere i suoi stessi alleati, tanto in Libia quanto al di là
dell'Atlantico.
Roma riconosce il
governo di Fayez al-Serraj e il GNA, ma pubblicamente afferma di non essere
dalla parte di nessuno, sostenendo un mieloso quanto ipocrita interesse
"per il popolo libico". Manda un contingente militare a Misurata ma
non sa né come inquadrarlo politicamente né come gestirlo operativamente,
facendo calare il più assoluto silenzio sulla sua presenza. Ha contezza della
sistematica violazione dell'embargo da parte dei dante causa del generale
Haftar ma non trova mai il coraggio di denunciare vocalmente e platealmente
tanto i paesi europei quanto quelli arabi che si rendono artefici di questa
palese violazione delle disposizioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Non
riesce ad impostare una politica forte e di reciproco rispetto con le monarchie
del Golfo perché è terrorizzata dalla possibilità di perdere contratti nella
regione, ipotecando in tal modo gli interessi di lungo periodo e mantenendo una
postura politica giudicata in loco ambigua e debole.
Le parole pronunciate
dal presidente del Consiglio Conte a Pechino vengono quindi intrepretate da
Haftar e dai suoi alleati come una palese dimostrazione di debolezza. La
riconferma che l'Italia non ha la forza ma soprattutto il coraggio di difendere
le proprie prerogative politiche, economiche e strategiche in Libia, di fatto
facendo comprendere che non opporrà alcuna resistenza all'attuale spregiudicato
tentativo di sovvertire gli equilibri locali.
Un rischio colossale per il nostro paese,
che in questo modo favorisce concretamente la possibilità di un'evoluzione
degli eventi del tutto contraria ai nostri interessi di breve, medio e lungo
periodo. Sia ben chiaro tuttavia al vertice del sistema politico nazionale,
però, che se il generale Haftar dovesse trionfare in questo conflitto,
all'Italia non resterà alcuno spazio di manovra in Libia.
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Il presidente del
Consiglio Giuseppe Conte, intervistato a margine dei lavori del forum di
Pechino sulla Via della Seta, ha affermato che l'Italia nella crisi libica non
sostiene né al-Serraj né Haftar, avendo preoccuazione solo per il popolo
libico.
Una posizione
inutilmente neutra, che riflette il profondo disorientamento del governo
italiano in merito alla questione libica, e che rischia soprattutto di
determinare un danno di proporzioni inimmaginabili per l'interesse nazionale.
Il
contesto della crisi
L'attuale dinamica di
crisi in Libia è stata determinata dal proditorio e unilaterale attacco del
generale Khalifa Haftar contro Tripoli all'inizio di aprile. Un vero e proprio
tradimento degli impegni assunti con la controparte del Governo di Accordo Nazionale
(GNA) e con la comunità internazionale – l'ultimo di una interminabile serie di
tradimenti, per la verità – poco prima della programmata conferenza di Ghadames
per avviare il processo di riconciliazione nazionale.
Il generale ha tradito
tutti ancora una volta per una ragione precisa: la conferenza di Ghadames lo
avrebbe consacrato nel ruolo di vertice delle forze armate libiche che da
sempre chiede, ma che non corrisponde al suo reale obiettivo. L'ambizione
personale di Khalifa Haftar è infatti quella di assumere il comando politico
del paese, diventandone di fatto una sorta di nuovo raìs.
Il messaggio che manda
alla comunità internazionale è tanto chiaro quanto semplice: la Libia ha
bisogno di un uomo forte, altrimenti sprofonderà nel caos, e l'uomo forte è
lui. È solo lui.
Appoggiano la linea di
Haftar – anzi, ne sono i veri e propri manovratori – gli Emirati Arabi Uniti,
l'Egitto e, in misura minore, l'Arabia Saudita. Gli Emirati puntano ad
eradicare la presenza della Fratellanza Musulmana dovunque essa sia, e quindi
concedono all'Egitto di al-Sisi soldi e copertura politica per poter sostenere
il generale Haftar. L'Egitto, con un'economia a dir poco disastrata e il comune
obiettivo di dare la caccia alla Fratellanza Musulmana, appoggia la linea degli
Emirati tanto per interesse economico quanto per quello politico, assumendo
l'improbabile ruolo di attore-chiave regionale. I sauditi sono interessati a
puntellare la stabilità egiziana, per impedirne il collasso ed evitare
l'apertura del vaso di Pandora che ne seguirebbe, e si interessano solo
marginalmente alla Libia, più per sostenere le posizioni degli alleati
emiratini che non per un proprio interesse diretto.
In questo quadro si
inserisce infine la Francia, ormai un attore politico di modestissime dimensioni
– al pari dell'Italia – gravato da una crisi economica che spera di riuscire a
contenere anche grazie alle generose commesse garantitegli dalle monarchie del
Golfo Persico.
La Francia è forse oggi
l'attore meno trasparente e più spregiudicato dell'intero schieramento che
sostiene Haftar. Mentre gli Emirati e l'Egitto non hanno peli sulla lingua nel
chiarire quale sia il piano dei propri interessi e delle proprie alleanze, la
Francia continua ad impostare la sua politica su un'insostenibile posizione di
neutralità, spudoratamente assicurando tanto al governo di al-Serraj, quanto
all'ONU e all'Italia di riconoscere il GNA quale entità legittima e di operare
nel perseguimento della stabilità.
Dall'altra parte, a
sostenere il governo del GNA di Fayez al-Serraj sono rimaste formalmente solo
le Nazioni Unite, praticamente evanescenti ormai, del tutto ignorate e
delegittimate dalla stessa comunità internazionale, l'Italia, che ha dimostrato
di essere un vero pigmeo politico anche nelle questioni di politica estera che
dovrebbero costituire la prima linea dell'interesse nazionale italiano, la
Turchia, le cui dinamiche di politica interna non consentono di operare una più
attiva strategia sulla Libia, e il Qatar, che è il vero dominus degli interessi
che ruotano intorno alle componenti politiche tripoline e che rappresenta in
vero antagonista degli Emirati Arabi Uniti. L'Unione Europea, in merito alla
questione libica, è, se possibile, ancora più eterea ed inconsistente delle
Nazioni Unite. Praticamente un non-attore.
La triste deriva
dell'Europa è percepibile anche sul piano delle singole narrative nazionali.
Paesi come la Francia e l'Italia continuano a considerarsi attori rilevanti
della crisi libica, riempendo pagine intere di giornali con le dichiarazioni e
gli impegni dei propri vertici politici, senza la benché minima capacità di
comprendere come ormai siano stati declassati al rango di proxy, e cioè meri
vassalli dei veri attori che si contendono la Libia.
Ultimo, ma non per
ultimo, ci sono poi gli Stati Uniti e la Russia. Per entrambi la Libia è più un
problema che un'opportunità, e sino ad oggi ne sono stati alla larga come
meglio hanno potuto. Dopo la disastrosa gestione di Hillary Clinton del dossier
libico, gli Stati Uniti si sono di fatto defilati, appoggiando ad intermittenza
l'Italia ma senza alcuna convinzione. L'unica certezza in questo momento sembra
essere quella di voler restare al di fuori della crisi libica, evitando
categoricamente di farsi trascinare dagli europei e dalle monarchie del Golfo
in un nuovo, potenzialmente disastroso, conflitto civile.
Posizione analoga quella
dalla Russia, che manifesta il suo blando sostegno ad Haftar senza tradurlo in
alcuna concreta e coerente politica di investimento sulla Libia. Lo stato
dell'economia russa non sembra in alcun modo far ritenere possibile alcuna
forma di reale coinvolgimento nella questione libica, con il risultato di un
sostegno ad Haftar di fatto solo nominale. Operano certamente in Libia al
fianco di Haftar alcune società di contractor russe, ma questo è ben lontano
dal rappresentare un vero e proprio endorsement di Putin.
È quindi chiaro che, in
un quadro di tale complessità, la conferenza d Ghadames si poneva come un
rischio concreto per il generale Haftar, che l'ha quindi deliberatamente
sabotata, con l'intento di porre la comunità internazionale di fronte al fatto
compiuto della guerra. O con lui, o contro di lui.
Nell'intraprendere
questa strada, tuttavia, il generale ha determinato un profondo mutamento nella
natura del conflitto libico. In primo luogo ha del tutto cancellato ogni
possibile futura ipotesi di compromesso e negoziato, mettendo in pericolo anche
la propria personale posizione. È chiaro che nessuno, ormai, accetterà ma più
di sedersi al tavolo con Haftar per definire un accordo, e, per la prima volta,
il palese tradimento del generale è riuscito a determinare una vera alleanza
tra le eterogenee milizie che compongono il sistema di difesa di Tripoli e del
GNA.
Tertium non datur,
quindi, e l'unica soluzione adesso possibile è quella militare. Da questa fase
del conflitto si dovrà uscire con un vincitore ed un vinto, e se Haftar non
riuscirà a conquistare Tripoli la sua carriera politica e militare finirà
disastrosamente.
L'Italia
mostri dignità, coerenza e coraggio, o in Libia sarà annientata
Quello che l'Italia
percepisce oggi come il tradimento di Donald Trump – a seguito della
dichiarazione di sostegno fatta dal presidente USA ad Haftar per lotta al
terrorismo – è al contrario la dimostrazione di come e quanto anche a Washington
non si riesca più a comprendere quale sia la posizione dell'Italia e la sua
strategia sulla Libia.
L'amministrazione
statunitense è stata costantemente sollecitata dagli Emirati Arabi Uniti e
dall'Egitto a sostenere le proprie prerogative a sostegno di Haftar, senza
tuttavia mai ottenere un chiaro e soprattutto concreto appoggio sul piano
politico e militare.
Il recente sostegno
verbale di Donald Trump ad Haftar è stato di fatto estorto in modo subdolo ed
ambiguo dal generale. Haftar ha chiesto a Trump di appoggiarlo nella sua lotta
al terrorismo, e il presidente USA non ha potuto quindi fare a meno di dare la
sua benedizione – assolutamente generica – nei confronti di quella causa che
rappresenta uno dei pilastri della strategia globale di sicurezza statunitense.
Il problema è che quando Haftar parla di terrorismo non si riferisce ad Al
Qaeda o all'ISIS, quanto piuttosto alla Fratellanza Musulmana e quindi ai suoi
antagonisti politici di Tripoli, che il generale cerca di presentare alla
comunità internazionale come un coacervo di pericolosi jihadisti.
In questo contesto,
l'Italia ha reagito alle affermazioni di Trump con stupore e sdegno, senza
tuttavia porsi il problema di chiarire la propria posizione e soprattutto la
strategia che intende perseguire nella complessa vicenda libica.
Questo è oggi il cuore
del problema: l'Italia non ha alcuna capacità di definire il proprio interesse
nazionale, gestendo la politica estera in costante situazione di emergenza. Il
governo italiano assume in tal modo una postura talmente vaga e contraddittoria
da confondere i suoi stessi alleati, tanto in Libia quanto al di là
dell'Atlantico.
Roma riconosce il
governo di Fayez al-Serraj e il GNA, ma pubblicamente afferma di non essere
dalla parte di nessuno, sostenendo un mieloso quanto ipocrita interesse
"per il popolo libico". Manda un contingente militare a Misurata ma
non sa né come inquadrarlo politicamente né come gestirlo operativamente,
facendo calare il più assoluto silenzio sulla sua presenza. Ha contezza della
sistematica violazione dell'embargo da parte dei dante causa del generale
Haftar ma non trova mai il coraggio di denunciare vocalmente e platealmente
tanto i paesi europei quanto quelli arabi che si rendono artefici di questa
palese violazione delle disposizioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Non
riesce ad impostare una politica forte e di reciproco rispetto con le monarchie
del Golfo perché è terrorizzata dalla possibilità di perdere contratti nella
regione, ipotecando in tal modo gli interessi di lungo periodo e mantenendo una
postura politica giudicata in loco ambigua e debole.
Le parole pronunciate
dal presidente del Consiglio Conte a Pechino vengono quindi intrepretate da
Haftar e dai suoi alleati come una palese dimostrazione di debolezza. La
riconferma che l'Italia non ha la forza ma soprattutto il coraggio di difendere
le proprie prerogative politiche, economiche e strategiche in Libia, di fatto
facendo comprendere che non opporrà alcuna resistenza all'attuale spregiudicato
tentativo di sovvertire gli equilibri locali.
Un rischio colossale per il nostro paese,
che in questo modo favorisce concretamente la possibilità di un'evoluzione
degli eventi del tutto contraria ai nostri interessi di breve, medio e lungo
periodo. Sia ben chiaro tuttavia al vertice del sistema politico nazionale,
però, che se il generale Haftar dovesse trionfare in questo conflitto,
all'Italia non resterà alcuno spazio di manovra in Libia.
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