Di solito
scrivo per un piacere mio personale ma è evidente che quando un lettore, oltre tutto mio caro amico, mi offre un suo
personale giudizio su quanto scritto e soprattutto sapendo che lui, per primo,
non è abituato a dare giudizi accomodanti anche se si tratta di amici, il
piacere diventa maggiore e si intuisce il giudizio sincero. Grazie Vincenzo non sei l’unico ad
avere versato una lacrima, me lo hanno detto anche altri dopo aver letto questo
libro e francamente in un periodo dove
da qualsiasi parte si volga lo sguardo o, meglio ancora l’orecchio, si vedono e
si sentono solo inni all’odio, un velo di ottimismo copre il mio innato
pessimismo come in tanti giudicano il
mio scrivere.
Se non
avessi conosciuto Francesco Danieletto avrei pensato in maniera diversa
sull’incipit: “Era da parecchio tempo che accarezzavo l’idea di scrivere un
romanzo”.
Avendolo
conosciuto e sapendolo duro , testardo, determinato, volitivo, sono certo che
quell’”idea” non solo gli ha turbato i sogni, ma non l’ha fatto nemmeno dormire
sino a quando non ha scritto l’ultima parola di “Lusin” .
Un romanzo
che ha il merito di puntare dritto al cuore del problema ‘’immigrazione’’,
senza troppi giri di parole e mettere a nudo l’incapacità della politica a
imbastire una soluzione reale, concreta, umana, e non da acqua lavata, tanto
per dare una sistemata alla propria coscienza.
L’ultima
fatica letteraria di Danieletto è di una attualità sferzante, concreta, viva, raccontata
attraverso la ‘’fuga’’ dal loro mondo, quello armeno e quello turco, la lotta
per la ‘’sopravvivenza’’, il desiderio di essere ‘’ ribelli ‘’ nella libertà, di essere ‘’ amore’’ e
non “sesso’’, di essere ‘’felici’’ in
terra straniera di due ragazzi, Lusin e Daniel, sempre alle prese con le loro
contraddizioni, frutto di una conflittualità caratteriale mai sopita.
Lusin si
legge tutto d’un fiato, senza soluzione di continuità.
Ti trasporta
in un vortice di emozioni e di sensazioni, in un rapporto di fraterna amicizia
con i due protagonisti fino a farti esplodere in un ‘’nooooo!’’ di disappunto
nel non aver visto coronare positivamente la loro storia e aver assistito alla
tragedia che li ha investiti.
E qui il
merito va tutto ascritto all’autore che, con uno stile secco e non ridondante,
riesce a far vibrare i cuori e a rigarti il viso di qualche lacrima.
Del resto,
come puoi non piangere di fronte a un amico che vedi distrutto da un tumore e
un’amica che si suicida ‘’per un maledetto turco che finalmente era riuscito a
farla felice’’?
Vincenzo
Fiore
Mariotto-Bitonto
Bari
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