Biografia
Nâzım Hikmet Ran, nasce a Salonicco il 20
novembre del 1901, anche
se la registrazione fu effettuata il 15 gennaio 1902, da un'agiata
famiglia aristocratica. Il padre, Hikmet Bey,
era un diplomatico, figlio di Çerkes
Nâzım Pascià, un console turco
oltreché autore di poesie e racconti
brevi (e da cui i genitori presero poi il nome per il
futuro poeta), mentre la madre, Ayşe Celile Hanım, era una pittrice,
appassionata di poesia francese, in particolar modo
di Lamartine e Baudelaire, proveniente da una
famiglia aristocratica di origini polacche.
A 18 anni si unì a Kemal Ataturk ccondividendo la
sua lotta di indipendenza ma ben presto fu attratto dalla rivoluzione d’ottobre
e si recò in Russia dove trascorse alcuni anni.
Dopo il suo ritorno in Turchia nel 1928, Hikmet aderì al Partito
Comunista turco, scrisse articoli, testi teatrali ed altri scritti. Fu condannato alla
prigione nel 1929 per affissione irregolare di manifesti politici e trascorse
circa cinque anni in carcere ma venne amnistiato nel 1935. In questo periodo scrisse nove
libri di poesie che avrebbero rivoluzionato la lirica moderna turca con l'uso
di versi liberi. Si sposa con una donna che aveva già dei figli e per mantenere
la famiglia e la madre rimasta vedova lavora anche come rilegatore di libri.
Dopo la morte del leader turco Kemal Atatürk (di cui Hikmet era uno strenuo critico, nonostante il suo appoggio
giovanile), il quale apprezzava le sue liriche non politiche, e, in qualche
modo, lo aveva difeso da una repressione eccessiva, il regime si irrigidì
ancora di più. Nel 1938 un suo poema venne accusato
di incitare i marinai alla rivolta; arrestato e processato, fu condannato a 28
anni e 4 mesi di prigione per le sue attività contro il regime, le sue idee
comuniste e le sue iniziative internazionali anti-naziste e anti-franchiste. Nel frattempo divorziò dalla moglie.
Alcune sue poesie di argomento politico furono proibite poiché considerate
sovversive e lesive dell'onore dell'esercito, e per questo fu anche torturato e
costretto a una dura detenzione, la quale culminò nel suo sciopero della fame di 18 giorni, che gli provocò
i problemi cardiaci che l'avrebbero portato alla morte. In carcere scrisse
molte altre poesie, tra cui la celebre lirica Alla vita. Scontò
quasi 12 anni in Anatolia, nel carcere di Bursa, nel corso dei quali venne colpito
dal primo infarto.
Fu l'intervento di una commissione internazionale
composta tra gli altri da Tristan Tzara, Pablo Picasso, Paul Robeson, Pablo Neruda e Jean-Paul Sartre nel 1949, a favorirne la scarcerazione
nel 1950, in seguito ad una nuova amnistia. Una volta libero il governo organizza
due attentati alla sua vita e tenta anche di arruolarlo nell'esercito
nonostante i suoi problemi di salute. Nuovo matrimonio con Münevver Andaç,
traduttrice in lingua francese e in lingua polacca, conosciuta quando lei lo
visitava in prigione, a cui dedicò diverse poesie. Da lei ebbe un figlio,
Mehmet.
Viene candidato nel frattempo al premio Nobel per la pace, all'equivalente sovietico (Premio Lenin) e vince il "World Peace
Council prize".
Nel 1951, a causa delle costanti pressioni,
fu costretto a ritornare a Mosca dove
scrisse anche "Ma è poi esistito Ivan Ivanovic?", satira contro la burocrazia e la dittatura stalinista, che avevano corrotto l'ideale socialista ma la moglie e il figlio non
poterono seguirlo.
Al figlio Mehmet dedicò una poesia carica di
speranza nei confronti dell'umanità "Prima di tutto l'uomo".
Nel 1960 si innamorò della giovane
Vera Tuljakova, e, annullato il precedente matrimonio, la sposò in quarte
nozze. Morì il 3 giugno 1963, a 61 anni, in seguito a una nuova crisi cardiaca
incorsa mentre usciva dalla porta di casa (il numero 6 della via Pesciànaya a
Mosca, dove si era trasferito dopo il matrimonio). Una delle sue ultime poesie
è dedicata alla moglie e al tema della morte.
Hikmet è ricordato principalmente per il suo
capolavoro, la raccolta Poesie
d'amore, che testimonia il suo grande impegno sociale e il suo profondo sentimento
poetico.
Nazim Hikmet, poeta
turco, ha avuto una larga diffusione in Italia. Molte sue opere si possono
trovare tradotte nella nostra lingua, lette in molte scuole mentre suoi poemi e
drammi sono stati rappresentati e recitati nei circuiti alternativi
democratici. Possiamo affermare con tranquillità che a partire dagli anni 50
gode di una certa popolarità nel nostro paese. Paradossalmente la critica
letteraria ufficiale lo ha sistematicamente ignorato forse perché sconcertata
dalla libertà delle sue forme poetiche, non riuscendo a catalogarlo in un
genere letterario considerato sconosciuto e fuori dai canoni classici e
istituzionali, dal canto suo il poeta ignorava sia i critici che la letteratura
classica. Non si riteneva un letterato, personaggio che, a suo dire, di solito
gode di una popolarità acquisita con il cumulo di libri scritti e magari messo a confronto con i
primi della classe. La genesi della sua poesia non deriva da un contesto
tipico ben definito, magari consolidato
da altri scrittori ma dalla coscienza storica e dalla lotta politica rivolta al
popolo di qualsiasi paese anche se analfabeta. Considerava la poesia un mezzo
utile a divulgare la cultura, le emozioni, nel maggiore numero di persone. E’
forse questa l’anima essenziale della sua opera, l’aver dato coscienza dell’utilità
della stessa non solo a una singola persona ma a quanti avevano voglia di
leggere e capire quanto scriveva.
“Detesto non solo le celle della prigione ma anche
quelle dell’arte, dove si sta in pochi o da soli. Sono per la chiarezza senza
ombre del sole allo zenit che non nasconde nulla del bene e del male. Se la
poesia regge a questa gran luce, allora è vera poesia. Credo che la forma sia
perfetta quando dà la possibilità di creare il ponte più solido e più comodo
tra me, poeta, e chi mi legge o mi ascolta.”
Nasce nel 1902 da
famiglia aristocratica a Salonicco, città che rimane sotto il dominio turco
fino al 1912, a 18 anni esce dall’Accademia di Marina e da tutte le tradizioni
che lo, legavano alla famiglia per arruolarsi nell’esercito di liberazione di
Kemal Ataturk che lotta per conquistare l’indipendenza dagli occupanti greci,
francesi, inglesi. L’arrivo in Anatolia fu una svolta decisiva nella sua esistenza. Vide per la prima volta
in faccia e con altri occhi, i contadini, gli stessi che si prostravano nella
polvere quando passava, lui bambino, nella carrozza del nonno. Entrò nelle
capanne di fango, nelle grotte, comprese la loro fame millenaria, il loro
linguaggio, scoprì i loro canti, dedicò a loro questa sua esperienza nel
poemetto ”Anatolia” pubblicato in Turchia nel 1922, ma tutta questa sua
attività da agitatore politico lo fa entrare nell’occhio della polizia che lo
segue. Inizia a sentire parlare di marxismo, dell’Unione Sovietica e della sua
rivoluzione, riesce in qualche modo a raggiungere clandestinamente Trebisonda e
alla fine del 1921 è a Mosca dove si iscrive al KUTV (Università comunista dei
lavoratori dell’oriente). Mosca in quegli anni era una fucina intellettuale,
perno della cultura rivoluzionaria appena nata. Dalla fantasia teatrale di
registi come Mayerhold e i suoi spettacoli che coinvolgevano attori e pubblico,
Chagall che affrescava il teatro di stato, Eisenstein che prepara il suo primo
film ma tanti altri che entusiasmano il giovane Hikmet. Purtroppo quando nel
1951 uscito dal carcere riesce a scappare dalla Turchia per ritornare a Mosca
trova un profondo cambiamento. Tutti gli attori di quel fantastico periodo di
innovazione rivoluzionaria erano stati cancellati dal socialismo conformista,
tanto da indurlo a scrivere il dramma satirico: “Ma è mai esistito Ivan
Ivanovich?” in cui attacca in modo spietato la nuova classe di burocrati che
ormai domina l’Unione Sovietica. Il dramma verrà messo in scena da una
compagnia di giovani attori ma dopo tre giorni sarà cancellato con motivazioni
evasive anche se tutto questo non procurò alcun fastidio a Hikmet, ormai troppo
conosciuto nel panorama letterario internazionale. L’amore nelle poesie di
Hikmet non è mai funzionale a una forma di erotismo oppure a un ossessivo
sentimentalismo, si inserisce nel suo vivere quotidiano senza grandi
sconvolgimenti, con un costante equilibrio personale. La sua visione di donna
fa parte di un mondo che completa il suo vivere. Amica, oltre che amante, non
solo figura, oggetto o stimolo sessuale. La sua “donna” riunisce tutte le cose
che ama, i suoi ideali, le lotte, il suo paese, la speranza di un amore che
coinvolga l’esistenza in modo tangibile e reale. Ecco perché lui dava il meglio
di se stesso nella poesia. Ricchissima la sua produzione poetica negli ultimi
anni di vita. Scriveva di getto senza ritornare su quanto scritto, a volte
imperfetto, scriveva in modo libero perché quello era il suo modo di
esprimersi. Era felice se i suoi versi piacevano, alzava le spalle incurante
del contrario. Regalava poesie alla gente perché ne facesse quel che voleva,
importante era che servissero a una causa. Legatissimo alla sua terra scrisse
sempre in turco e gli ultimi 12 anni che trascorse in esilio senza poter più
rivedere il suo paese furono all’insegna della nostalgia anche se Mosca “la
bianca città dei suoi sogni più belli”, come amava dire, lo aveva adottato. Si
era sposato con una giovane sovietica, Vera, e nelle ultime poesie il pensiero
della morte ritornava prepotente e accettato malvolentieri. Non moriva da
rivoluzionario o in carcere dove aveva passato 13 anni della sua vita, vittima
di una dittatura, per lui la morte ormai era fatale, poteva succedere ora o fra
pochi mesi, qualche anno. Non ne aveva paura, la considerava una spiacevole
umiliazione tanto che il dialogo che lui stesso aveva con lei si trasforma in
un inno alla vita, tranquillo, solare. Morì il 3 giugno 1963 a Mosca in un
appartamento dove abitava con la moglie Vera. Stava uscendo per fare una
camminata nella bella giornata di sole ma l’infarto era stato fulminante, il
primo lo aveva colpito vent’anni prima nel carcere di Bursa in Anatolia. Diceva
che morire è indispensabile e di conseguenza si augurava una morte rapida, decisa
come la sua vita. Alcuni giorni prima di morire aveva scritto la sua ultima
poesia: “Il mio funerale”.
Hikmet è ricordato principalmente per il suo
capolavoro, la raccolta Poesie
d'amore, che testimonia il suo grande impegno sociale e il suo profondo sentimento
poetico.
Da questo libro che consiglio vivamente a tutti di
leggere ho tratto poco più di una decina di poesie. Non dico le migliori, sono
tutte belle, ma le più significative per rendere omaggio a un grande poeta,
forse poco conosciuto dai media ma sicuramente presente nel cuore di chi ama la
poesia.
Francesco Danieletto
Poesie tratte da:
“Poesie d’amore”
Di Nazim Hikmet
Oscar Mondadori Libri
Nella mia nota d’autore mi sono avvalso di alcuni
spunti tratti dalla prefazione di Joyce Lussu
presente in:
“Hikmet”
Poesie
Grandi tascabili economici
Newton poesia
POESIE
Il mio funerale
Maggio 1963
Il mio funerale partirà
dal nostro cortile?
Come mi farete scendere
giù dal terzo piano?
La bara nell’ascensore
non c’entra
e la scala è tanto
stretta.
Il cortile sarà, forse,
pieno di sole, di piccioni
forse nevicherà, i
bambini giocheranno strillando
forse sull’asfalto
bagnato cadrà la pioggia
e al solito ci saranno i
bidoni per l’immondezza.
Se mi tiran su nel furgone
col viso scoperto, come usa qui,
forse mi cadrà in fronte qualcosa di un piccione,
porta fortuna,
che ci sia o no la fanfara, i bambini accorreranno
i bambini sono sempre curiosi dei morti.
La finestra della nostra cucina mi seguirà con lo
sguardo
il nostro balcone mi accompagnerà col bucato steso.
Sono stato felice in questo cortile, pienamente
felice.
Vicini miei del cortile, vi auguro lunga vita, a
tutti.
Poesie pessimiste
Le piante, da quelle di
seta fino alle più arruffate
gli animali, da quelli a
pelo fino a quelli a scaglie
le case, dalle tende di
crine fino al cemento armato
le macchine, dagli
aeroplani al rasoio elettrico
e poi gli oceani e poi
l’acqua nel bicchiere
e poi le stelle
e poi il sonno delle
montagne
e poi dappertutto
mescolato a tutto l’uomo
ossia il sudore della
fronte
ossia la luce nei libri
ossia la verità e la
menzogna
ossia l’amico e il
nemico
ossia la nostalgia la
gioia il dolore
sono passato attraverso
la folla
insieme alla folla che
passa.
1959
Non ha strappato le ali
alle mosche quando era piccolo
non ha legato barattoli
alla coda dei gatti
né imprigionato
scarafaggi
nelle scatole di fiammiferi
non ha distrutto le case
delle formiche.
E’ diventato grande.
E vedete il male che gli
hanno fatto.
Quando è morto ero al
suo capezzale
e mi ha detto: “leggimi
una poesia
che canti il sole e il
mare
le officine atomiche la
luna artificiale
che canti la grandezza
dell’uomo”
Foglie morte
Lipsia, settembre 1961
Veder cadere le foglie
mi lacera dentro
soprattutto le foglie
dei viali
soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano
dei bimbi
soprattutto se il cielo
è sereno
soprattutto se ho avuto,
quel giorno,
una buona notizia
soprattutto se il cuore
quel giorno
non
mi fa male
soprattutto se credo,
quel giorno,
che quella che amo mi ami
soprattutto se quel
giorno
mi sento d’accordo
con gli uomini e con me stesso
veder cadere le foglie
mi lacera dentro
soprattutto le foglie
dei viali
dei viali di ippocastani.
Mosca 1961
Le sei del mattino.
Ho aperto la porta del
giorno ci sono entrato
ho assaporato
l’azzurro nuovo delle
finestre
le rughe della mia
fronte di ieri
sono rimaste sullo
specchio
sulla mia nuca una voce
di donna
tenera peluria di pesca
e le notizie del mio
paese alla radio
vorrei correre d’albero
in albero
nel frutteto delle ore
verrà il tramonto, mia
rosa
al di là della notte
mi aspetterà
spero
il sapore di un nuovo
azzurro.
Berlino 1961
Nelle mie braccia tutta
nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore
dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso
Di chi è questo cuore
che batte
più forte delle voci e dell’ansito?
è tuo è della città è
della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?
Dove finisce la notte
dove comincia la città?
dove finisce la città
dove cominci tu?
dove comincio e finisco io stesso?
Berlino 1961
Anche questa mattina mi sono svegliato
e il muro la coperta i
vetri la plastica il legno
si sono buttati addosso
a me alla rinfusa
e la luce d’argento
annerito della lampada
mi si è buttato addosso
anche un biglietto di tram
e il giallo della parete
e tre righe di scritto
e la camera d’albergo e
questo paese nemico
e la metà del sogno
caduta in questo lato si è spenta
mi si è buttata addosso
la fronte bianca del tempo
e i ricordi più vecchi e
la tua assenza nel letto
e la nostra separazione
e quello che siamo
mi sono svegliato anche
questa mattina
e ti amo.
1942
Il più bello dei nostri
mari
è quello che non
navigammo.
il più bello dei nostri
figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri
giorni
non li abbiamo ancora
vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più
bello
non te l’ho ancora
detto.
1943
Guardo in ginocchio la
terra
guardo l’erba
guardo l’insetto
guardo l’istante fiorito
e azzurro
sei come la terra di
primavera, amore,
io ti guardo.
Sdraiato sul dorso vedo
il cielo
vedo i rami degli alberi
vedo le cicogne che
volano
sei come il cielo di
primavera, amore,
io ti vedo.
Ho acceso un fuoco di
notte in campagna
tocco il fuoco
tocco l’acqua
tocco la stoffa e
l’argento
Sei come un fuoco di
bivacco all’addiaccio
io ti tocco.
Sono tra gli uomini amo
gli uomini
amo l’azione
amo il pensiero
amo la mia lotta
sei un essere umano
nella mia lotta
ti amo.
1947
Il vento cala e se ne va
lo stesso vento non
agita
due volte lo stesso ramo
di ciliegio
gli uccelli cantano
nell’albero
ali che vogliono volare
la porta è chiusa
bisogna forzarla
bisogna vederti, amor
mio
sia bella come te, la
vita
sia amica e amata come
te
so che ancora non è
finito
il banchetto della
miseria
ma finirà…
1948
I questa notte d’autunno
sono pieno delle tue
parole
parole eterne come il
tempo
come la materia
Parole pesanti come la
mano
scintillanti come le
stelle.
Dalla tua testa dalla
tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue
parole
le tue parole, cariche
di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di
speranza
erano coraggiose,
eroiche
le tue parole
erano uomini.
1949
Sei la mia schiavitù sei
la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Alla vita
1948
La vita non è uno
scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’aldilà.
Non avrai altro da fare
che vivere.
La vita non è uno
scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un
muro, ad esempio le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano
gli uomini
gli uomini di cui non
conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello,
più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad
esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai
tuoi figli
ma perché non crederai alla
morte
pur temendola,
e la vita peserà di più
sulla bilancia.
In questa poesia troviamo
l’eredità spirituale che Nazim Hikmet lascia a suo figlio, quale insegnamento
eterno. “Spero che la Turchia e il popolo turco, come tutte le nazioni e i
popoli del mondo, un giorno sappiano parlare un unico linguaggio comune: quello
della pace, della verità, della libertà, dell’eguaglianza, della dignità,
dell’amore, della giustizia.”
Prima di tutto l'uomo (ultima lettera al figlio)
Non vivere su questa terra
come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all'uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l'uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell'astro che si spegne,
dell'animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza
e il dolore dell'uomo.
Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l'ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l'uomo!